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"Abbiamo attraversato il Niger, poi il deserto..."

Il viaggio di M. dal Mali all’Italia è durato più di un anno. Il racconto a cura di Emergency.

di Redazione - venerdì 17 aprile 2015 - 2948 letture

EMERGENCY-POLIBUS

“Abbiamo attraversato il Niger, poi il deserto” racconta M. “In quattro giorni nel deserto abbiamo mangiato una volta sola. Potevamo bere due volte al giorno, non una di più. Ci hanno fatto lavorare in tutti i Paesi che abbiamo attraversato”. Il viaggio di M. dal Mali all’Italia è durato più di un anno. “Il peggio è stato in Libia, ci facevano lavorare e poi ci rubavano tutto quello che guadagnavamo. Vivevamo ammassati in una casa piccola, troppo piccola… Nessuno dei miei familiari ha mie notizie, non sono ancora riuscito a chiamarli…”

“Nemmeno i tuoi genitori?” chiedo. Le lacrime scendono sul viso di M. Come si consola un uomo?

Le sue lacrime scendono lente, ha un maglione col collo alto, le lascia scivolare fino a metà guancia e le asciuga allungando il collo del maglione. Ho lo stomaco chiuso e le gambe pesanti. Fatico a trattenere le lacrime, ho anch’io il collo alto, faccio a mia volta come lui, le lascio scendere a metà guancia e poi le asciugo.

M. ci racconta dello sfruttamento e delle violenze subìte. Ne porta i segni, in gran parte sul torace; i piedi sono gonfi. Negli ultimi due giorni del suo viaggio, durante la traversata del Mediterraneo, hanno cambiato scafo. Quello con cui sono arrivati era talmente piccolo che si sono ritrovati seduti uno sull’altro. Le mani sono quelle di chi ha lavorato sodo la terra, le riconosco, vengono da lontano nella mia memoria, dai miei nonni forse.

Quando sono partita per questa esperienza, diversi tra conoscenti e parenti continuavano a “mettermi in guardia” sulle malattie diffusive o infettive che a loro detta avrei rischiato di contrarre. Io, controbattendo con informazioni scientifiche, facevo notare l’insensatezza di questi allarmismi.

Queste persone avevano però in parte ragione. In effetti un contagio è avvenuto: di comunità. Di spirito di consapevole e comune uguaglianza, di consapevolezza dei diritti inalienabili, di informazione continua, di accoglienza, di semplicità, di umanità. Mentre sono in viaggio per rientrare a casa a fine missione, nel mio piccolo paese che a sua volta ospita una comunità di ragazzi richiedenti asilo, sento questa “malattia” espandersi e mi domando come diffonderla. Quella sì che sarebbe una bella epidemia».

— Gessica, mediatrice del team di Emergency presso il Centro Umberto I a ‪‎Siracusa‬, dove il nostro staff offre assistenza sanitaria gratuita ai migranti che sbarcano sulle coste del sudest siciliano.

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