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Giro99
Wu Ming project
"Si comincia con l'Autore, e si finisce con
l'Autorità"
Intervista a Wu Ming 1 - Roberto
Bui. - a cura di ugo giansiracusa
Leggendo la vostra dichiarazione
d'intenti sembrerebbe che l'attività di
narratore sia da associare ad un qualsiasi altro
mestiere. E sembra anche che il progetto Wu Ming
sia, di per se, una struttura "commerciale"
sia pur di nicchia e sia pur diversa. E' realmente
così?
Se per "commerciale"
intendi dire che, in quanto artigiani, ci poniamo
il problema di vendere i nostri manufatti, l'epiteto
e' corretto anche se suona strano per via dell'uso
che ne e' stato fatto in decenni di anatemi contro
i "venduti" veri e presunti. Ad ogni
modo, non definirei la nostra attivita' "di
nicchia": siamo tra gli scrittori italiani
che vendono di piu', in Italia e in giro per il
mondo. Quanto al "diversa", e' senz'altro
diversa la rappresentazione che abbiamo di noi
stessi: rifiutiamo la proprieta' intellettuale,
rifiutiamo le mitologie correnti sull'Autore,
quindi siamo contrari a piu' o meno tutte le "normali"
strategie di marketing. Pur accedendo di riffa
o di raffa ai media ufficiali (ma senza apparire
in tivù né posare per fotografie),
tendiamo a costruire e mantenere reti alternative
e il piu' possibile autonome, di rapporto diretto
tra scrittori e lettori, fino a relativizzare
questa distinzione, a instaurare dinamiche di
interazione *comunitaria* tra gli uni e gli altri:
moltissime persone partecipano alla nostra newsletter
e al miglioramento/aggiornamento del nostro sito;
insieme a diversi lettori abbiamo scritto il romanzo
"Ti chiamerò Russell"...
Essere narratori di mestiere significa confrontarsi
con il mercato culturale, che senza giri di parole,
è sempre più il mercato tout court.
Le posizioni che il progetto Wu Ming ha preso
in proposito sono abbastanza chiare e radicali
- ad esempio il rifiuto del copyright e della
propietà intellettuale - eppure viene da
chiedere se non sia già di per se una posizione
di compromesso?
Senz'altro. Siamo contro la "purezza"
inconcludente. Siamo per i compromessi onorevoli,
quelli che *noi* imponiamo alla controparte, ogni
volta guadagnando centimetri. Qui ci sarebbe da
fare il famoso "discorso dei centimetri"
di Al Pacino in "Ogni maledetta domenica",
o quello di Gramsci sulla "egemonia"
e la "guerra di posizione"... I nostri
editori sono scesi a compromessi con noi accettando
la dicitura copyleft, accettando la nostra partecipazione
al processo produttivo dell'oggetto-libro (facciamo
noi le copertine, Cinzia Di Celmo è a tutti
gli effetti parte del collettivo), accettando
le nostre strategia di marketing eterodosse...
Se ci fossimo fatti dei problemi a, per così
dire, "sporcarci le mani", tu non avresti
mai potuto leggere niente di nostro.
Quali sono gli elementi dell'industria culturale
che rifiutate categoricamente?
L'industria culturale come la intendiamo
oggi ha già iniziato il proprio declino.
Vista la rapidità degli eventi, se ti dicessi
quali elementi vorremmo cambiare o riformare rischierei
di fare considerazioni di retroguardia. Internet,
la "pirateria", il copyleft, la formazione
di comunità autogestionarie che si riappropriano
delle tecnologie per la ri/produzione della cultura...
Tutto questo sta già sconvolgendo il quadro.
Si tratta di accompagnare questo processo, premendo
dall'interno e dall'esterno, sburocratizzando,
"disintermediando", degerarchizzando,
*espropriando*.
Nella "Dichiarazione dei diritti (e doveri)
del narratore" si citano i griot, i bardi
e gli aedi come forme di quella necessità,
di ogni società, di avere degli uomini
(o donne) capaci di tramandare e raccontare storie,
la necessità di avere nei narratori di
sè stessi e della propria cultura. Eppure,
nelle intenzioni del progetto Wu Ming, c'è
il distacco da quell'aurea di sacralità
e di unicità che queste figure hanno sempre
rappresentato per i loro contemporanei e per gli
altri membri della società. E' realmente
possibile arrivare a considerare il narratore
come un semplice artigiano o lo scontro con un
sistema culturale profondamente radicato lo rende
impossibile?
Sulla sacralità dei narratori
e degli sciamani si aprirebbe un contenzioso di
etnologia e antropologia comparata che in questa
sede mi pare inaffrontabile. Basti dire che esistono
diverse leggende in cui le comunità, insoddisfatte
dell'operato dei loro sciamani, li "rimuovono
dall'incarico". Ovviamente noi crediamo sia
possibile considerare il narratore come un artigiano,
a dire il vero diversi narratori si sono considerati
o tuttora si considerano "onesti mestieranti"
(moltissimi autori di narrativa di genere hanno
usato locuzioni simili a questa per descriversi),
diciamo che noi abbiamo fatto un passo in avanti,
mettendo su una vera e propria bottega artigiana.
Quanto all'aura dei prodotti culturali, come insegna
Benjamin, non è nelle nostre "intenzioni",
è già un dato di fatto da diverse
decadi, per via delle tecnologia che hanno permesso
la riproducibilità dell'opera d'arte.
In fondo, per molti, l'essere artisti non è
che un grado alto dell'artigianato... che è
sempre artigianato ma con un "valore aggiunto"
che rende il simbiotico forma/contenuto un qualcosa
di unico, grazie al lavoro che vi viene prodotto
dall'individuo, artista o artigiano che si voglia
chiamare.
Punto fondamentale del processo di elaborazione
del progetto Wu Ming è la progressiva smaterializzazione
del culto della personalità dell'artista.
Tant'è che wu ming nel dialetto mandarino
della lingua cinese significa proprio "nessun
nome". Eppure sembra inconcepibile, date
quelle che sono le nostre basi culturali, non
pensare alla funzione dell'autore come ci è
stata insegnata. Anche solo pensando al lavoro
di elaborazione mentale che esso svolge. Di scelte
di materiali, di stile, di forme, di contenuti
etc etc
Il narratore non è comunque autore?
Certamente sì, ma il punto
è che non è (non dovrebbe concepirsi
in quanto) Autore. In quella maiuscola reverenziale
(che c'è e pesa anche se non la si scrive
e non la si può pronunciare) risiede il
problema. E' la stessa maiuscola che stabilisce
d'arbitrio la differenza tra le arti e l'Arte,
tra l'artista e l'artigiano. Sostanzialmente,
gli autori dovrebbero tirarsela di meno, e capire
che non sono affatto esseri fuori del comune,
anzi, sono "dentro il comune", nel regno
di ciò che è condiviso da una società.
Come ha scritto Stewart Home: "Si comincia
con l'Autore, e si finisce con l'Autorità".
Noi pensiamo che partendo dagli autori (al plurale
e senza la maiuscola) si arrivi tutt'al più
all'autorevolezza, quel punto in cui esiste sì
un "valore aggiunto" (quello di un lavoro
fatto bene) ma non c'è alcun tipo di imposizione
né di coercizione.
Ho sempre pensato che uno degli impulsi fondamentali
dello scrivere/narrare fosse la necessità
della comunicazione. Avere voglia di dire qualcosa
a qualcuno. A chi parla Wu Ming e cosa sta dicendo?
Da dove nasce, in voi, questo bisogno di comunicare?
E' lo stesso bisogno di comunicare
di qualunque altro essere umano, non esiste umanità
senza il racconto e la condivisione di storie.
Abbiamo la smisurata ambizione di voler parlare
all'elemento umano che delle storie si nutre,
quindi non abbiamo un target preciso. Il nostro
lavoro ha come riferimento la comunita' umana
che, come ha scritto Wu Ming 5, "è
il nostro ghetto di riferimento". Quanto
a quello che diciamo, direi che tutte le nostre
storie hanno un comune denominatore: la lotta
per affermare la dignità (individuale e
collettiva).
C'è la tentazione di credere che le
possibilità di comunicare, con i nuovi
mezzi, siano pressochè illimitate. Eppure
al dato pratico ci si scontra con un sistema dove
la comunicazione (e la narrazione come processo
comunicativo) sono molto difficili, almeno su
larga scala. Una situazione in cui i fatti vengono
spesso mistificati, elaborati, trasformati o,
paradossalmente, in cui la proliferazione esponenziale
delle informazioni le rende quasi inutilizzabili.
Una situazione in cui l'esperienza della narrazione
sarebbe fondamentale per la sua funzione di svelamento
del reale e delle sue dinamiche. Il progetto Wu
Ming è una risposta praticabile a questa
realtà?
Il progetto Wu Ming da solo certamente
no, la risposta praticabile - anzi, praticata
- è in quello a cui il progetto Wu Ming
allude costantemente: la mitopoiesi, quel processo
in cui un'intera comunità si fa carico
dell'elaborazione e dell'imposizione dal basso
di un immaginario (fatto anche e soprattutto di
storie) che cambia lo stato di cose presenti.
Assistiamo già allo scontro di due universi,
da un lato c'è l'universo della comunicazione
piramidale e di massa, dall'altra c'è quello
delle comunità che si federano in networks
alternativi capillari. E' in questa "capillarità"
il segreto dell'inestirpabilità di certe
pratiche, come appunto la "pirateria".
Puoi ostruire una grossa arteria ma coi capillari
c'è poco da fare, sono completamente innervati
nella carne del mondo, e portano sangue fresco
ai tessuti culturali.
Che ruolo hanno, in generale, i mezzi comunicazione
nella formazione di una "coscienza"
e qual'è, a vostro avviso, questo ruolo
nella situazione italiana attuale?
La "coscienza" dipende
*interamente* dai mezzi di comunicazione, in ogni
senso, ma i mezzi di comunicazione non sono solo
i media elettronici, la definizione include tutta
la sfera del linguaggio e dei segni in generale:
il corpo è un mezzo di comunicazione (anzi,
è *tanti* mezzi di comunicazione, che vengono
studiati dalla neurofisiologia e dalla biologia
dei comportamenti); lo spazio intorno a noi è
un mezzo di comunicazione; i mezzi di trasporto
sono mezzi di comunicazione; la velocità
stessa è un mezzo di comunicazione (sul
contenuto di quest'ultima frase Paul Virilio ha
costruito la nuova scienza che definisce "dromologia")...
Tutto questo, non solo la TV e i giornali, influisce
sulla formazione della "coscienza" (che
poi, come diceva Henri Laborit, è l'insieme
dei nostri automatismi culturali, quindi in realtà
è "inconscia"). Ma la "coscienza"
non viene affatto condizionata in maniera univoca,
bensì in maniera contraddittoria, polisemica,
caotica... Si creano continuamente nuovi spazi
e nuove occasioni per la lotta contro il nemico
o per la fuga creatrice.
Dichiarate che Wu Ming è una "impresa
politica autonoma". Di conseguenza, in quanto
politici, non vi astraete dal reale ma cercate
di lavorarlo anche con interventi che esulano
la pura narrazione per incanalarsi verso processi
di divulgazione di tematiche non direttamente
collegate al vostro lavoro di narratori. Dunque
una coabitazione del "cittadino" come
membro della comunità e del "narratore"
come portavoce delle istanze della comunità
stessa?
Non c'è niente che esuli
dalla narrazione, e non esiste narrazione "pura".
Tutte le posizioni che prendiamo, tutto ciò
di cui ci occupiamo è direttamente collegato
al nostro lavoro di narrazione, che è sempre
"spuria" perché si nutre di tutto,
attinge alle fonti più disparate, cerca
di realizzare sintesi - per quanto precarie -
tra le varie suggestioni che troviamo nell'aria.
Abbiamo più volte descritto noi stessi
come "spugne", assorbiamo ciò
che ci circonda e in qualche modo lo utilizziamo
per le nostre narrazioni. Anche il nostro essere
"cittadini" finisce nelle nostre narrazioni.
Per concludere, come usa dire una delle icone
dell'immaginario collettivo: si faccia una domanda
e si dia una risposta...
Che ore sono? Più
o meno l'una e trenta.
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