segnali dalle città invisibili
  Giro98 Risonanze
BOWLING FOR COLOMBINE

di cristina papa

[Ringraziamo Cristina Papa (per contatti: womenews@womenews.net) per aver
scritto questo articolo. Cristina Papa e' tra le animatrici del sito "Il paese delle donne" (www.womenews.net), un punto di riferimento per tutte e tutti. Il pezzo è stato diffuso nelle liste di PeaceLink]

Il 20 aprile 1999, due ragazzi di un normale liceo della profonda provincia
americana entrano nella loro scuola e iniziano a sparare sulla folla di
quelli che, probabilmente, potrebbero essere considerati loro amici/che.
Quando la polizia arriva conta 900 bossoli e alcuni giovani corpi. Da questo
episodio, che ha turbato profondamente l'America, prede spunto il film di
Philip Moore, Bowling for Colombine, premio speciale a Cannes 2002, che
procede, con la curiosita' di un entomologo, all'osservazione dell'americano
maschio bianco possessore di armi. I volti di giovani e meno giovani
americani che raccontano il loro rapporto con fucili e pistole si alternano
al ricordo di agghiaccianti episodi di cronaca nera, il piu' tremendo forse
quello di un bambino di sei anni che ha ucciso una sua compagna di classe
con un colpo di pistola. In un veloce montaggio di interviste si susseguono,
come in un teatrino, delle maschere che producono in chi guarda un effetto
spesso tragicamente
esilarante: un ragazzo cieco che imbraccia il suo fucile e posa orgoglioso
davanti alla sagoma del tiro al bersaglio su cui ha messo a segno colpi
tutti mortali (impossibile non chiedersi come avra' fatto) e che
accarezzando la canna del fucile dice "quando sono con lui mi sento al
sicuro"; un ragazzo che la polizia della sua citta' ha a lungo considerato
come il pericolo pubblico numero due, purtroppo non il numero uno aggiunge,
e che vezzosamente spiega che in effetti non ha mai prodotto le cose grosse
che avrebbe potuto realizzare seguendo le ricette di un manuale che ha a
casa, si e' infatti limitato a produrre "solo" un ordigno da 20 chili
utilizzando del napalm, ma, specifica con una punta di orgoglio, napalm
fatto in casa, e via via in un crescendo dall'effetto sempre piu' surreale.
"Moore sembra un idiota e fa l'indiano, ed e' questo che gli permette di
fare domande a cui nessuno si sogna piu' di rispondere, come quando chiede a
un poliziotto se a Los Angeles si potrebbe arrestare qualcuno per il grande
inquinamento atmosferico". Nella sua opera di decostruzione di luoghi comuni
Moore ci conduce prima all'interno delle piu' importanti fabbriche di armi,
dove un direttore con una faccia serena e tranquillizzante cerca di
convincere chi ascolta che la sua azienda e' poco piu' pericolosa di una
fabbrica di marmellate, e poi sui luoghi del degrado sociale e ambientale,
sfatando via via l'idea che la violenza sia come un virus che si trasmette
per contagio guardando film violenti o vivendo in una famiglia appena appena
dissimile da quella di Barbie. Ed e' dopo aver fatto giustizia di questi che
sono solo banali luoghi comuni che Moore, famoso in America per il suo
decennale lavoro di denuncia delle speculazioni e licenziamenti dell'ex
presidente della General Motors Roger Smith, che il film dimostra
l'originalita' del suo approccio. Con l'innocenza di un bambino il regista
si pone infatti una domanda
cruciale: come mai nel vicino Canada circolano molte piu' armi che negli Usa
ma nello scorso anno i morti per armi da fuoco si contano sulle dita? Forse
nel Canada non ci sono famiglie povere o disgregate? Forse nel Canada i
giovani non hanno ragione di essere incerti del loro futuro o motivi per
essere arrabbiati? Ed ha senso dire che la violenza e' una caratteristica
intrinseca alla cultura americana, o questa violenza non deve essere invece
attribuita al fatto che tutto negli USA sembra contribuire all'affermarsi
della cultura del nemico, con il suo inevitabile strascico di paura? E basta
a spiegare questa paura il bombardamento, in senso quasi letterale, che
l'american@ medi@ subisce da tutti i media, anche quando, apparentemente
trasmettono spettacoli di intrattenimento? Si', basta, e' la tesi di Moore,
che noi non possiamo non condividere. Per averne conferma basta guardare in
successione un notiziario canadese, dove la guerra viene presentata come una
cosa da scongiurare a tutti i costi, e uno americano, o ascoltare le
esperienze di vita degli abitanti dei due stati. Sereni e sorridenti
canadesi, uomini e donne, raccontano di come l'aver subito furti o
aggressioni non abbia per loro significato automaticamente avvertire
"l'altro" come minaccia, le porte continuano a rimanere aperte. Non la
poverta', dunque, o la disoccupazione, maggiore in Canada che negli USA, non
il numero di armi, proporzionalmente piu' diffuse in Canada, non la visione
di film violenti che anche i ragazzini canadesi sembrano seguire con
entusiasmo, fa la differenza. Quel che veramente rende il popolo americano
violento e' l'essere totalmente in balia della propria paura, l'incertezza
di un sistema sociale che rende la vita di ciascun@ un percorso ad ostacoli,
un campo minato in cui una banale malattia, un imprevisto, possono
significare la fine di un'esistenza tranquilla. E non v'e' dubbio che chi
guadagna da questa paura e' la potente industria bellica che questa paura
fomenta e rende, se possibile, sempre piu' irrazionale e bestiale. Un film
complesso e bellissimo, ironico e didattico senza mai essere didascalico, un
documentario multimediale che intreccia diversi generi, cartoni animati,
telegiornali, fiction, spot pubblicitari e testimonianze orali, per dare
vita ad un solo messaggio: "non dar retta a chi ti dice che l'unico modo per
sopravvivere alle presunte minacce del mondo che ti circonda e' renderlo
sempre piu' armato e minaccioso. Se vuoi la pace costruisci la pace,
sociale, ambientale, esistenziale". Un film da vedere per ricordarci quanto,
nonostante i nostri sforzi, sia facile cadere nella trappola di chi vuole
che la paura ci trasformi in animali senza testa guidati solo dall'istinto
di morte. Michael Moore infatti diserta davvero quando, presentandosi in
giro come un idiota e un ignorante, mostra come in realta' idiota sia
chiunque continui a trovare finte scuse per accettare di vivere nella paura
e nell'odio. Un film che, purtroppo, Bush e i suoi elettori non andranno mai
a vedere.

 

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