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L’impatto emotivo con gli "orrori" della tv

di Vanessa Viscogliosi

Morti, sangue, omicidi, infanticidi, stupri collettivi. Non è il sunto dell’ultimo film horror di Dario Argento ma è, semplicemente, l’aberrante realtà degli ultimi giorni, se non degli ultimi mesi.
Ragazzi che uccidono i propri genitori per futili motivi.
Madri depresse che soffocano i figli.
Padri e figli che sparano all’impazzata sulla folla solo per gioco.
Adolescenti che si muovono in branco, magari guidati da un adulto, che stuprano e poi uccidono le compagne di scuola con cui hanno studiato il pomeriggio prima.
Tragedie che fanno riflettere e che ci inorridiscono.
La crudezza delle immagini e delle parole con cui molti giornalisti televisivi confezionano i loro articoli, sicuri di suscitare l’interesse nello spettatore in modo da alzare lo share, è tale che mi domando spesso: “Come possono reagire le persone più “sensibili” o, peggio, quelle affette da patologie psichiatriche particolari a questi drammatici servizi giornalistici?”
Per puro caso sono venuta a conoscenza di uno studio, di prossima pubblicazione, effettuato dal Centro Cefalee e Neuropsichiatria di Ostuni, proprio su questo argomento. Sono stati esaminati due gruppi di soggetti: il primo, composto da 50 elementi affetti da depressione, attacchi di panico, disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi di ansia; l’altro, di egual numero, caratterizzato da individui “normali”.
Dopo la visione degli orripilanti servizi, gli esperti hanno sottoposto i due gruppi campione a dei test psicologici per valutare l’impatto emotivo e la reazione di ciascuno.
In entrambi i gruppi si è verificato uno stato di ansia più o meno accentuato. Nel primo gruppo, la cui patologia spesso è legata a fantasie suicide, si sono riscontrate chiare condizioni di identificazione con le persone che hanno commesso il reato o che hanno compiuto il suicidio. Nelle mamme, in particolar modo, lo stato di ansia è diventato particolarmente serio e drammatico e riconducibile al terrore di divenire esse stesse le assassine dei loro figli.
I risultati di questo primo test erano più o meno prevedibili. La parte interessante dell’indagine condotta dal Centro di Ostuni risiede, soprattutto, nello studio della risposta emotiva che i due gruppi hanno avuto di fronte alle stesse notizie ma, questa volta, ricevute in occasione di dibattiti svoltisi in alcuni talk-show televisivi, ai quali hanno preso parte degli esperti che hanno spiegato le ragioni che muovono certi comportamenti.
I soggetti dei due gruppi hanno avuto la medesima reazione: hanno mostrato, infatti, un’inquietudine minore e un maggiore equilibrio.
Questo secondo caso ha messo in luce un aspetto molto importante. Comunicare agli spettatori eventi tragici senza alterare la sensibilità o aggravare malattie specifiche di qualcuno è possibile se fatto con criterio, rispetto e saggezza.
Occorre, quindi, un’informazione televisiva corretta che tenga conto dei problemi che alcune notizie possono suscitare in determinate persone.

 

Il Progetto
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