segnali dalle città invisibili
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Tragedia pop a Gibellina

22 agosto 2002. Riedizione di Edipo Re sui ruderi di Gibellina per la XXI edizione delle Orestiadi
di Lorenzo Misuraca

Le Orestiadi di Gibellina, manifestazione culturale creata per ridare un ampio respiro culturale ad una città costretta a reinventarsi d'accapo dopo il terremoto del Sessantotto, continuano il percorso di sperimentazione teatrale portato avanti da anni. "Tragedia a Gibellina" di Alfonso Santagata è la versione riveduta della trilogia di Edipo, a cura della compagnia katzenmacher, composta in buona parte da attori siciliani.Il nome dello spettacolo, nonostante il tentativo -secondo il parere del regista- di evitare ogni nesso, ci riporta inevitabilmente all'altra tragedia che, visto il luogo di rappresentazione -i ruderi abbandonati di Gibellina, forse più che "altra" è da considerarsi "la" tragedia: Il terremoto che nel 1968 distrusse paesi e vite nell'area della valle del Belice.

Tebe e Gibellina, l'antica Grecia e la vecchia Sicilia, la distruzione operata dalla cecità dell'uomo e quella ineluttabile dovuta alla natura, passato remoto e passato recente s'intrecciano tormentati e rendono a chi è venuto ad assistere un enigma di sentimenti irrisolti, che sarebbe stupido considerare appartenere ormai ad un'imprecisata archeologia del dramma umano. I corsi e ricorsi del destino,o caso che si voglia, la brama del potere che conduce a guerre fratricide, la pietà per i morti -anche quelli che sono caduti dalla parte "sbagliata",i rapporti d'amore che legano madri e figli in maniera morbosa sono sono topos dell'esistenza umana, al di là dei secoli. E probabilmente sulla continuità e sull'aderenza di passioni tra il passato e il presente il regista Santagata ha basato la messa in scena dello spettacolo, e per renderlo attuale ha lavorato molto sui mezzi espressivi. Non dimentichiamo che la tragedia greca, opera teatrale agli occhi dei più adatta a noiose signore impellicciate e pedanti intellettuali di sinistra, era per i contemporanei una rappresentazione prettamente popolare, tanto quanto le commedie.

Santagata ha pensato bene di ri-attualizzarla tramite l'uso di miti e figure della cultura pop(olare) contemporanea. Come non notare, soprattutto per i più giovani, un richiamo al Rock satanico stile Marilyn Manson nel dannato nudo e cadaverico che si contorce in lontananza sotto una torre con due parabole in cima con un tappeto sonoro haevy metal, e nel papa emaciato e spettrale addetto ai vaticini, entrambi in apertura di spettacolo. Il rock come nuovo rito sacro è presente durante la confessione di omicidio di Edipo, che avviene su un immaginario palcoscenico in cima alle rovine, in cui accompagnato dalla chitarra distorta suonata da una dark lady alterna le sue ammissioni a slogan esaltati, che riportano alla struttura di una canzone, piuttosto che di un credo religioso.

Il coro greco si trasforma in quattro ragazze che dall'alto di una roccia recitano le battute in perfetto stile eroine dei cartoon tipo Sailor Moon. Le guide fittizie allo spettacolo, coloro che introducono alla storia, sembrano uscite da uno dei tanti cabaret televisivi di comune memoria, col loro forte accento siciliano e l'italiano sgrammaticato. E poi Creonte che, per convincere Edipo a tornare in città, si presenta come un commissario davanti al rapinatore con tanto di auto rombante e megafono, Edipo-Santagata che recita come un ciarlatano di paesino, i fratelli Eteocle e Polinice che simboleggiano la lotta per la conquista di Tebe danzando un tango furioso con la dea dell'ambizione, e su tutto l'ombra della spettacolarizzazione televisiva del dramma.

Quasi come un videoclip, lo spettacolo di Santagata ci colpisce per la potenza visiva, per l'insieme di frammenti d'immagini che rimane impresso nella memoria, il tutto coadiuvato dall'eccellente uso della locazione: i ruderi. La compagnia usa agevolmente le nicchie e le stanze vuote, residui delle abitazioni crollate, le rupi spoglie, e il bellissimo cretto di Burri, l'enorme colata di calce che ha ricoperto le macerie di Gibellina, riproducendone con innumerevoli sochi le antiche vie, rese così eterne (indimenticabile l'assedio di Tebe, con decine di fiaccole impazzite che corrono in lontananza nel cretto oscuro).

Eppure qualcosa non convince di questa "Tragedia a Gibellina". Come avviene sempre più spesso nel campo della sperimentazione artistica -visiva, musicale, o plastica che sia- il furore espressivo, oscillante tra la voglia di spiazzare lo spettatore e quella di strizzare l'occhio ai suoi gusti, sostitisce o, quantomeno, trascura la necessaria compiutezza dell'opera. Come se puntare sugli "effetti speciali" distogliesse dal giudizio di merito sul contenuto. Discorso ancora più calzante se si parla di un testo antico, bisognoso di rivitalizzazione. La storia di Edipo, assassino del padre,divenuto re e amante della madre contro il volere degli dei, e causa perciò di guerre fratricide e terribili pesti all'interno di Tebe, meriterebbe ben altri profondi rimandi all'attualità che non il semplice richiamo alla cultura pop contemporanea.

Un'opera, dunque, interessante ma riuscita a metà. Anche se, se è vero come dicono le guide dello spettacolo che Gibellina un tempo fu Tebe, i due popoli vittime ciascuno della loro tragedia, sono destinati a portare un carico di sentimenti e drammi irrisolti che nessuna opera potrà mai svelare e pacificare.

 

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