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Giro94
Risonanze
Tragedia pop a Gibellina
22 agosto 2002. Riedizione
di Edipo Re sui ruderi di Gibellina per la XXI edizione
delle Orestiadi
di Lorenzo Misuraca
Le
Orestiadi di Gibellina, manifestazione culturale
creata per ridare un ampio respiro culturale ad
una città costretta a reinventarsi d'accapo
dopo il terremoto del Sessantotto, continuano
il percorso di sperimentazione teatrale portato
avanti da anni. "Tragedia a Gibellina"
di Alfonso Santagata è la versione riveduta
della trilogia di Edipo, a cura della compagnia
katzenmacher, composta in buona parte da attori
siciliani.Il nome dello spettacolo, nonostante
il tentativo -secondo il parere del regista- di
evitare ogni nesso, ci riporta inevitabilmente
all'altra tragedia che, visto il luogo di rappresentazione
-i ruderi abbandonati di Gibellina, forse più
che "altra" è da considerarsi
"la" tragedia: Il terremoto che nel
1968 distrusse paesi e vite nell'area della valle
del Belice.
Tebe
e Gibellina, l'antica Grecia e la vecchia Sicilia,
la distruzione operata dalla cecità dell'uomo
e quella ineluttabile dovuta alla natura, passato
remoto e passato recente s'intrecciano tormentati
e rendono a chi è venuto ad assistere un
enigma di sentimenti irrisolti, che sarebbe stupido
considerare appartenere ormai ad un'imprecisata
archeologia del dramma umano. I corsi e ricorsi
del destino,o caso che si voglia, la brama del
potere che conduce a guerre fratricide, la pietà
per i morti -anche quelli che sono caduti dalla
parte "sbagliata",i rapporti d'amore
che legano madri e figli in maniera morbosa sono
sono topos dell'esistenza umana, al di là
dei secoli. E probabilmente sulla continuità
e sull'aderenza di passioni tra il passato e il
presente il regista Santagata ha basato la messa
in scena dello spettacolo, e per renderlo attuale
ha lavorato molto sui mezzi espressivi. Non dimentichiamo
che la tragedia greca, opera teatrale agli occhi
dei più adatta a noiose signore impellicciate
e pedanti intellettuali di sinistra, era per i
contemporanei una rappresentazione prettamente
popolare, tanto quanto le commedie.
Santagata ha pensato bene di ri-attualizzarla
tramite l'uso di miti e figure della cultura pop(olare)
contemporanea. Come non notare, soprattutto per
i più giovani, un richiamo al Rock satanico
stile Marilyn Manson nel dannato nudo e cadaverico
che si contorce in lontananza sotto una torre
con due parabole in cima con un tappeto sonoro
haevy metal, e nel papa emaciato e spettrale addetto
ai vaticini, entrambi in apertura di spettacolo.
Il rock come nuovo rito sacro è presente
durante la confessione di omicidio di Edipo, che
avviene su un immaginario palcoscenico in cima
alle rovine, in cui accompagnato dalla chitarra
distorta suonata da una dark lady alterna le sue
ammissioni a slogan esaltati, che riportano alla
struttura di una canzone, piuttosto che di un
credo religioso.
Il coro greco si trasforma in quattro
ragazze che dall'alto di una roccia recitano le
battute in perfetto stile eroine dei cartoon tipo
Sailor Moon. Le guide fittizie allo spettacolo,
coloro che introducono alla storia, sembrano uscite
da uno dei tanti cabaret televisivi di comune
memoria, col loro forte accento siciliano e l'italiano
sgrammaticato. E poi Creonte che, per convincere
Edipo a tornare in città, si presenta come
un commissario davanti al rapinatore con tanto
di auto rombante e megafono, Edipo-Santagata che
recita come un ciarlatano di paesino, i fratelli
Eteocle e Polinice che simboleggiano la lotta
per la conquista di Tebe danzando un tango furioso
con la dea dell'ambizione, e su tutto l'ombra
della spettacolarizzazione televisiva del dramma.
Quasi come un videoclip, lo spettacolo
di Santagata ci colpisce per la potenza visiva,
per l'insieme di frammenti d'immagini che rimane
impresso nella memoria, il tutto coadiuvato dall'eccellente
uso della locazione: i ruderi. La compagnia usa
agevolmente le nicchie e le stanze vuote, residui
delle abitazioni crollate, le rupi spoglie, e
il bellissimo cretto di Burri, l'enorme colata
di calce che ha ricoperto le macerie di Gibellina,
riproducendone con innumerevoli sochi le antiche
vie, rese così eterne (indimenticabile
l'assedio di Tebe, con decine di fiaccole impazzite
che corrono in lontananza nel cretto oscuro).
Eppure qualcosa non convince
di questa "Tragedia a Gibellina". Come
avviene sempre più spesso nel campo della
sperimentazione artistica -visiva, musicale, o
plastica che sia- il furore espressivo, oscillante
tra la voglia di spiazzare lo spettatore e quella
di strizzare l'occhio ai suoi gusti, sostitisce
o, quantomeno, trascura la necessaria compiutezza
dell'opera. Come se puntare sugli "effetti
speciali" distogliesse dal giudizio di merito
sul contenuto. Discorso ancora più calzante
se si parla di un testo antico, bisognoso di rivitalizzazione.
La storia di Edipo, assassino del padre,divenuto
re e amante della madre contro il volere degli
dei, e causa perciò di guerre fratricide
e terribili pesti all'interno di Tebe, meriterebbe
ben altri profondi rimandi all'attualità
che non il semplice richiamo alla cultura pop
contemporanea.
Un'opera, dunque, interessante
ma riuscita a metà. Anche se, se è
vero come dicono le guide dello spettacolo che
Gibellina un tempo fu Tebe, i due popoli vittime
ciascuno della loro tragedia, sono destinati a
portare un carico di sentimenti e drammi irrisolti
che nessuna opera potrà mai svelare e pacificare.
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