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Ritagli di giornale [2]

da La Sicilia, 12 luglio 2002

"Livatino? Non era un giudice ragazzino"
PALERMO - «Cari signori Vincenzo e Rosalia Livatino, e, permettetemi di chiamarvi così, Cari Amici! Ho usato, evvero!, questo termine: "giudici ragazzini" ma mai l' ho fatto rivolgendomi a vostro figlio». Con queste parole l' ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga si rivolge ai genitori di Rosario Livatino, il giudice assassinato dalla mafia dell' Agrigentino il 21 settembre di dodici anni fa, in una lettera pubblicata stamane dal "Giornale di Sicilia". «Non ho mai risposto prima - scrive Cossiga - all' ingiusta accusa di aver formulato nei confronti della nobilissima figura del vostro amato figliolo Rosario (...) il giudizio in senso dispregiativo di "giudice ragazzino", accusa che mi è stata mossa più volte e che ha dato persino occasione di titolare in questo modo un film, che io ritengo non del tutto adeguato alla sua vita e al suo sacrificio». «Lo faccio ora - aggiunge l' ex presidente della Repubblica - perchè questa accusa mi è stata nuovamente rivolta».
Ai genitori di Livatino, nella sua affettuosa lettera, Cossiga spiega di aver usato, in occasione dell' inaugurazione del Tribunale di Gela, quel termine «in senso affettuoso e comprensivo nei confronti di giovanissimi giudici che l'insipienza del Consiglio superiore della magistratura mandò allo sbando destinandoli a prestar servizio, quasi appena terminato l' uditorato!, nel nuovo tribunale di Gela».
«Ricordo invece il giorno triste - prosegue l' ex capo dello Stato - in cui venni a Canicattì per partecipare alle esequie e alle onoranze del vostro caro figlio.(...) Ricordo come voi voleste raggiungermi nella chiesa dove io sostavo di fronte alla bara in cui erano ricomposte le spoglie mortali del vostro amato figliolo, vilmente assassinato, raggiungendomi a piedi in essa e non aspettando, come io mi ero proposto di fare, la visita che avevo previsto, per rendervi onore, nella vostra abitazione». «E' solo il giudizio della mia coscienza e il vostro che mi interessa - sottolinea Cossiga - le ingiuste accuse, anche di recente rivoltemi da alcuni magistrati e da parte di volgari pennaioli, non mi riguardano». «In coscienza - conclude - io mi sento tranquillo. E lo sarei ancora di più se, come spero, pur nel silenzio, voi mi giudicaste nella vostra coscienza quale ammiratore del vostro figliolo e vostro fedele e riconoscente amico».

 

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