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Giro93
Cosa succede in città...
Ritagli di giornale [2]
da La Sicilia, 12 luglio 2002
"Livatino? Non era
un giudice ragazzino"
PALERMO - «Cari signori
Vincenzo e Rosalia Livatino, e, permettetemi di
chiamarvi così, Cari Amici! Ho usato, evvero!,
questo termine: "giudici ragazzini"
ma mai l' ho fatto rivolgendomi a vostro figlio».
Con queste parole l' ex presidente della Repubblica
Francesco Cossiga si rivolge ai genitori di Rosario
Livatino, il giudice assassinato dalla mafia dell'
Agrigentino il 21 settembre di dodici anni fa,
in una lettera pubblicata stamane dal "Giornale
di Sicilia". «Non ho mai risposto prima
- scrive Cossiga - all' ingiusta accusa di aver
formulato nei confronti della nobilissima figura
del vostro amato figliolo Rosario (...) il giudizio
in senso dispregiativo di "giudice ragazzino",
accusa che mi è stata mossa più
volte e che ha dato persino occasione di titolare
in questo modo un film, che io ritengo non del
tutto adeguato alla sua vita e al suo sacrificio».
«Lo faccio ora - aggiunge l' ex presidente
della Repubblica - perchè questa accusa
mi è stata nuovamente rivolta».
Ai genitori di Livatino, nella sua affettuosa
lettera, Cossiga spiega di aver usato, in occasione
dell' inaugurazione del Tribunale di Gela, quel
termine «in senso affettuoso e comprensivo
nei confronti di giovanissimi giudici che l'insipienza
del Consiglio superiore della magistratura mandò
allo sbando destinandoli a prestar servizio, quasi
appena terminato l' uditorato!, nel nuovo tribunale
di Gela».
«Ricordo invece il giorno triste - prosegue
l' ex capo dello Stato - in cui venni a Canicattì
per partecipare alle esequie e alle onoranze del
vostro caro figlio.(...) Ricordo come voi voleste
raggiungermi nella chiesa dove io sostavo di fronte
alla bara in cui erano ricomposte le spoglie mortali
del vostro amato figliolo, vilmente assassinato,
raggiungendomi a piedi in essa e non aspettando,
come io mi ero proposto di fare, la visita che
avevo previsto, per rendervi onore, nella vostra
abitazione». «E' solo il giudizio
della mia coscienza e il vostro che mi interessa
- sottolinea Cossiga - le ingiuste accuse, anche
di recente rivoltemi da alcuni magistrati e da
parte di volgari pennaioli, non mi riguardano».
«In coscienza - conclude - io mi sento tranquillo.
E lo sarei ancora di più se, come spero,
pur nel silenzio, voi mi giudicaste nella vostra
coscienza quale ammiratore del vostro figliolo
e vostro fedele e riconoscente amico».
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