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Mai dire Concorso

Migliaia di giovani laureati disoccupati a Roma per 90 posti all’INPS
di angelo luca pattavina

Cosa ci fanno 2000 giovani laureati alla Fiera di Roma?
E gli altri 2000 davanti all’Ergife?
No, non sono lì per un censimento generale dei graduati d’Italia, e non sono lì neanche per un convegno nazionale dove discutere del futuro del mondo del lavoro.
Sono lì semplicemente per partecipare ad un concorso.
Non un concorso di bellezza, nè di intelligenza, nè di bravura, un concorso pubblico per avere un lavoro. Sì, un lavoro. Quello che la nostra Costituzione pone, con malcelata ipocrisia, alla base del nostro Stato: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Mai nessun incipit fu così sbagliato.

Certo, tentar non nuoce, e poi, penserà qualcuno, se uno il concorso lo vince si sistema a vita. E invece no. Quello che questi poveri disgraziati si contendono non è altro che un misero contratto di formazione e lavoro della durata di due anni per lavorare all’INPS, l’Istituto che un giorno forse darà loro la tanto sudata pensione (anche se, vista l’evoluzione in corso, mi sa tanto che questi giovani laureati la pensione non la vedranno mai).
Ma voi vi chiederete: “Quanti posti ci saranno disponibili per quest’orda di partecipanti?” 1000? 500? 200? No, semplicemente 90 posti. Vi rendete conto? 90 posti per migliaia di persone! Una probabilità di successo vicina a quella di un terno al lotto.

Ma facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio.
Esce il concorso sulla Gazzetta della Repubblica - Serie Speciale Concorsi. Passano mesi e finalmente riesci a scoprire che sono state stabilite le date in cui devono effettuarsi le prove. Nel frattempo, ci si prepara cercando di studiare nove materie i cui libri potrebbero riempire una casa ma che, nell’illusione che possa bastare e nella realistica considerazione del tempo a disposizione, si riducono ad uno solo di quelli che le “prestigiose” case editrici del settore preparano ad hoc millantando una preparazione adeguata per il concorso. Poi, dopo aver speso una fortuna (sì perchè questi libri costano sempre e solo una fortuna) cerchi di studiarli e ci ritrovi errori, inesattezze, incongruenze e tutto ciò che ti può solo confondere le quattro idee chiare che avevi prima di aprire il libro (sto volontariamente esagerando, ma il fondo di verità rimane).

Arriva finalmente il gran giorno, e tutta l’Italia che per anni ha studiato per ottenere quel pezzo di carta così importante (la laurea) si ritrova sotto il sole caldo della capitale in fila per conquistarsi un posto al sole (che paradosso!).
Quanto tempo ci vuole per una prova scritta? Dalle 11.00 alle16.30. Più di 5 ore chiusi in un padiglione gigante a sopportare una voce che dall’altoparlante non fa altro che richiamare al silenzio (neanche fossimo all’asilo, o in caserma) e perdere tempo e fiato a leggere inutilmente delle istruzioni che tutti i candidati hanno sotto gli occhi (manco fosse un concorso per analfabeti e rincoglioniti).
Non si comincia se prima non sono pronti tutti nei padiglioni della Fiera e dell’Ergife. Assoluto rigore procedurale. Un rispetto della sincronia che neanche sui campi di calcio dell’ultima partita del campionato di serie A con la sfida in sospeso per lo scudetto tra Inter e Juventus.

Piccola nota di servizio. Per evitare che qualcuno morisse disidratato c’era (intelligentemente) un piccolo carrello che forniva bibite fresche ai candidati “sequestrati” a prezzi, bisogna dire, veramente modici: 1 euro una bottiglietta d’acqua piccola. Approfittatori!

Ma la cosa più interessante da sottolineare in questo clima di perfezione organizzativa è il rispetto di una regola madre di tutti i concorsi: la trasparenza.
Non c’era nessuna modalità che garantisse che la scheda con le risposte segnate potesse essere collegata alla scheda con i dati anagrafici ed il numero di codice di ciascun candidato. Per la serie, c’è sempre la possibilità di mischiare le carte come e quando si vuole. Ma ancor più beffarda è la risposta che viene data dalla Commissione quando viene fatto notare questo problema: “Noi non possiamo farci nulla, comunque per chi è interessato l’apposizione del codice del candidato sulla scheda delle risposte verrà fatto successivamente, in seduta pubblica”, (una seduta pubblica che mi ricorda tanto quella per il sorteggio degli scrutatori in occasione delle elezioni, dove stranamente c’è qualcuno che ha una fortuna così grande da essere “casualmente” estratto ad ogni consultazione elettorale). Ma siamo proprio sicuri che non c’è un metodo più trasparente (e forse anche più semplice) per organizzare questo tipo di operazioni?

Comunque. Consegnati a tutti i candidati i fogli con le domande, il tempo, che fino ad allora era passato con una lentezza esasperante, diventa improvvisamente inesorabile. Un’ora e mezza per rispondere a cento quesiti che, tra l’articolazione della domanda stessa e la lunghezza delle risposte, a mala pena bastava per cercare di non dare delle risposte non ragionate e casuali.
Un’ora e mezza volata via sotto il controllo dei “cecchini” sorveglianti.

Alla fine dei conti, quando tutto è finito, il popolo del maxi-concorso si ritrova tutto compatto alla fermata del bus che porta alla stazione. Si ritorna tutti a casa. Con un’unanime considerazione, dai dottori in legge a quelli in economia: qual’è la ratio per cui è necessario fare domande assolutamente specifiche in ciascuna delle materie oggetto d’esame?
A voi la risposta.
E, con rispetto e stima (e un pizzico d’invidia), ai novanta cervelli che hanno saputo rispondere.

 

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