segnali dalle città invisibili
 

Giro91 Mafie da morire
"Noi siciliani dovremmo avere in questo giorno il pudore di starcene zitti"

di riccardo orioles, dalla Catena di San Libero n. 127

Falcone. Nessun popolo ha mai avuto giudici tanto appassionati e fedeli
quanto il popolo siciliano. Nessuno li ha mai traditi tanto. Noi
siciliani, che un tempo - nella nostra rozzezza - non cedevamo ad
alcuno in dignita' e coraggio, oggi ci spintoniamo l'un con l'altro per
giungere primi a leccare le scarpe dei nemici di Falcone.
Per questo, fra tante voci di ipocriti e di patteggiatori che con
commosse parole celebrano l'anniversario di Falcone, non ci sara' la
nostra. Noi siciliani dovremmo infatti avere in questo giorno il pudore
- almeno quello - di starcene zitti; o di covare in silenzio il dolore
e la determinazione.
Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Di Cillo,
Antonio Montinaro, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano,
Walter Cusina, Vincenzo Li Muri e Claudio Traina: questi nomi -
magistrati famosi e umili soldati - sono l'unica cosa che un siciliano
possa scrivere oggi, dieci anni dopo, per ricordare e per continuare.
* * *
Dieci anni dopo la morte di Falcone, mezza Sicilia e' - come sempre -
in rivolta per l'acqua. L'acqua non mancherebbe, che' non mancano i
fiumi. Ma la speculazione sull'acqua e' sempre stata uno dei business
della mafia. Pochi mesi fa, nella diga dell'Ancipa - la principale -
diversi milioni di metri cubi d'acqua sono stati scaricati in mare per
il mancato funzionamento di una valvola da dieci euri.
Questa notizia, che i nostri lettori avevano avuto tempestivamente, e'
stata a suo tempo ignorata dalla stampa nazionale. In Sicilia, e' stata
data solo dall'edizione regionale di Repubblica. Poiche'
quest'edizione, per accordi con l'editore Ciancio, non viene diffusa a
Catania, ecco che meta' dei siciliani (e tutti gli altri italiani) sono
stati tenuti all'oscuro di cio' che succedeva alla loro acqua.
Cosi' come e' stata tenuta sottotono la polemica fra il governo
regionale e il generale dei carabinieri Jucci, cui il precedente
governo (di centrosinistra) aveva affidato l'emergenza acqua. Jucci
aveva lavorato presto e bene, denunciando gli interessi e proponendo
sanzioni e provvedimenti. I siciliani, pero', avevano votato
massicciamente per gli esponenti di Berlusconi ("convivere con la
mafia") i quali, per prima cosa, avevano mandato a casa Jucci. Anche
Dalla Chiesa, appena arrivato a Palermo, per prima cosa aveva fatto
censire i pozzi della provincia per mettere in piedi un
approvvigionamento regolare.
Le proteste dell'ufficiale avevano trovato pochissima udienza sulla
stampa locale e nazionale. Oggi in meta' delle citta' siciliane l'acqua
arriva poche ore al giorno, e i contadini sono costretti a comprarla
dai mafiosi. Il resto sono chiacchiere: i siciliani, del resto, hanno
diritto di voto e hanno votato - nella loro furbesca coglionaggine -
per restare all'asciutto.
* * *
Come si stava bene in Sicilia quando c'erano i Cavalieri (quelli
dell'apocalisse mafiosa), dice l'editorialista del principale giornale
siciliano, Zermo; e non gli risponde nessuno, salvo il solito
"ossessionato dalla mafia" Claudio Fava. Che fesseria in sostanza
l'illusione (dice l'editorialista del principale giornale italiano,
Merlo) dei "professionisti dell'antimafia" di cui gia' parlava
Sciascia. Che belli quei vecchi pezzi da novanta del "Giorno della
Civetta": mafiosi si' ma insomma "uomini di rispetto" con cui si poteva
dialogare alla pari, guardandosi rispettosamente negli occhi da baffo a
baffo. E che bella antimafia, quella di Sciascia! Nobile, attenta al
folklore, elegante nei circoli perbene; nemicissima dell'illusione (da
"professionisti") che il potere mafioso si potesse abbattere per
davvero, e tutti insieme.
* * *
Non c'era solo Sciascia in Sicilia, che mori' ricco e rispettatissimo e
a tarda eta' e nel suo letto. C'erano anche altri scrittori. Che
morivano poveri, dopo essersi venduti la casa per fare i loro giornali.
Morivano per la strada, a colpi di pistola. E un'ora dopo la loro morte
la mafia giornalista cominciava gia' a calunniarli per cancellarne
anche il ricordo dalla faccia della terra. Anch'essi avevano qualcosa
da dire, sui mafiosi. Scriveva - per esempio - Giuseppe Fava:
< Sciascia e' convinto che la mafia sia un sottile gioco di cervello.
La condizione umana non e' influente: la poverta', l'ignoranza, il
dolore non entrano nel gioco. In nessuno dei personaggi di Sciascia,
dietro la violenza, ci sono mai la sofferenza sociale dell'uomo, il
dolore dell'individuo, la sua disperazione di potere altrimenti
modificare il destino, e cioe' gli antichi ed immutati dolori del Sud:
miseria, solitudine, ignoranza.
I personaggi entrano in scena e sono gia' disegnati, con tutti i loro
abiti indosso, ognuno deve recitare la sua parte gia' scritta, senza
mai spiegare il perche', essi sono il buono, il cattivo, l'uccisore, il
testimone, la vittima, senza mai dare spiegazione, com'e' accaduto: per
quale dolore, ribellione o inganno quel tale sia nel ruolo di assassino
e l'altro in quello della vittima.
Sciascia non narra mai di grandi passioni sentimentali. Nel suo
universo la donna, come costante essenziale di tutte le altre vicende
umane, non esiste. Protagonisti sono i capipopolo e gli assassini, i
cardinali, i ruffiani, i colonnelli dei carabinieri, i ministri, i
confidenti di polizia, i teologi, i vicere', gli accattoni: la donna
mai!
Sciascia non ha un'idea politica precisa. Quasi certamente e' convinto
che la politica sia un mezzo che la societa' offre all'uomo per
realizzarsi come individuo, non certo uno strumento della societa' per
risolvere i suoi problemi. E' una specie di liberale di sinistra,
politicamente fermo alla Sicilia del dopo Crispi, nella quale i grandi
problemi della societa' potevano essere risolti dal superiore talento
di alcuni uomini, mai dalla trascinante violenza o dalla ribellione e
disperazione delle masse.
Queste grandi forze possono essere utilizzate storicamente da alcuni
individui, mai essere protagoniste. Anche la politica dunque non e' uno
scontro dei bisogni popolari dell'umanita', che non ha percio' cicli
politici in evoluzione, l'uno diverso dall'altro e determinati da
nuove, profonde necessita' storiche, da un eterno gioco di poche
intelligenze opposte. >
* * *
Facile fare antimafia alla moda, fra scetticismi e cerimonie, alla
maniera di Merlo o Sciascia. Facile, e popolare, perche' non fa male a
nessuno. Difficile invece, e impopolare come poche altre cose al mondo,
fare antimafia vera e concreta - e dunque potenzialmente "eversiva" -
seguendo l'insegnamento di uomini come Giuseppe Fava. Eppure, alla
lunga, l'antimafia difficile fa piu' strada. Con quale attenzione e
rispetto ascoltavano il nome e le idee di Giuseppe Fava i ragazzi di
Catania e Palermo ieri, i giovani matematici della Normale di Parigi o
i liceali del "profondo Veneto" di Valdagno oggi!
In questi ragazzi, ieri come oggi, c'e' tutta la speranza che ci fa
respirare. Questione di non disperdersi, di mantenere il filo, non
mollare. Ma finche' sulla terra ci saranno menti giovani e cuori non
ancora venduti, la lotta contro i poteri inumani - fra cui quello
mafioso - non sara' mai chiusa. A queste menti e cuori vale la pena di
affidarsi fiduciosamente, con serenita'. Un giorno riusciremo a far
sgorgare l'acqua dai rubinetti di Caltanissetta.
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Mafia 1. Secondo Piero Grasso, procuratore capo a Palermo, gran parte
degli appalti siciliani sono ancora in mano alla mafia. "Le indagini
hanno svelato la presenza di un diffuso sistema di manipolazione
illecita, non riconducibili come in altre regioni italiane solo a
fenomeni di malcostume".
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Mafia 2. Settantadue testimoni, non mafiosi "pentiti" ma cittadini che
hanno civilmente collaborato con la giustizia, hanno scritto a Ciampi
per denunciare la drammatica situazione in cui vivono da quando lo
stato italiano ha deciso di abbandonarli al loro destino. "Signor
presidente, in uno stato civile i testimoni non dovrebbero andare in
esilio", "Perche' chi ha testimoniato contro i criminali deve vivere
nascondendosi?", "Lo stato non ci tutela", "Una volta dovetti chiedere
l'elemosina", "Limoni spremuti, dopo un poco la protezione viene meno".
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Mafia 3. E' possibile che venga prossimamente assassinato l'avvocato
Guarnera Enzo, da Catania. Questa valutazione si basa sui seguenti
elementi oggettivi e a conoscenza di tutti:
1) L'avvocato Guarnera e' uno dei pochissimi legali siciliani che si
siano resi disponibili ad assistere in giudizio pentiti e dissociati di
mafia. Questo ha concentrato sulla sua persona un numero assolutamente
inusuale - circa centocinquanta in tutto - di incarichi giudiziari
molto scomodi per Cosa Nostra. Solo in questo momento, sta fornendo
assistenza giuridica a trentanove pentiti: altrettante mine vaganti per
i boss mafiosi, ciascuna delle quali puo' essere disinnescata (specie
con la nuova legislazione) privando i pentiti del difensore di cui si
fidano e costringendoli dunque a ritrattare.
2) Almeno uno di questi assistiti ha dichiarato a Guarnera che "Le
vogliono fare la pelle; se ne vada da Catania".
3) L'avvocato Guarnera e' altresi' uno dei testimoni nell'inchiesta
mafia-imprenditori di San Giovanni La Punta, di cui abbiamo riferito in
passato.
4) La scorta dell'avvocato Guarnera gli e' stata tolta il 20 aprile di
quest'anno. Il ritiro della scorta e' stato disposto con l'assenso del
prefetto Alberto Di Pace (che non ha ricevuto Guarnera, che chiedeva di
essere ascoltato) e dei dirigenti della Procura di Catania (alcuni dei
quali citati nell'inchiesta di cui Guarnera e' testimone).
5) Le misure di protezione di cui l'avvocato Guarnera attualmente
dispone sono le seguenti:
- un'automobile passa occasionalmente sotto casa sua ("Ma scusate,
perche' allora non ritirate anche questa?". "Sa, e' per rassicurare i
condomini");
- i poliziotti gia' membri della sua scorta, in segno di stima, lo
hanno portato "informalmente" al poligono di tiro per insegnargli a
sparare.
Tutti questi punti sono perfettamente noti alle autorita' preposte alla
sicurezza fisica dell'avvocato Guarnera, e in genere alla tutela
dell'ordine pubblico a Catania e in Italia. Se l'avvocato Guarnera, a
causa della sua attivita' antimafiosa, venisse assassinato, le
autorita' di cui sopra non potrebbero pertanto ad alcun titolo invocare
l'ignoranza della situazione.

 

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