segnali dalle città invisibili
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Graffiti: opere d'arte o atti vandalici?

di vanessa viscogliosi

Il loro acceso cromatismo cattura immediatamente la nostra attenzione. Il loro intenso simbolismo stimola la nostra fantasia e ci porta lontano. Di cosa stiamo parlando? Dei graffiti, una realtà metropolitana (o per usare un termine più appropriato underground), spesso sottovalutata e associata al luogo comune del writer/vandalo.

È vero che alcuni writers danno sfogo al loro fervore artistico non curandosi di ciò che gli capita sotto tiro: vuoi sia un vagone della metropolitana o del treno, vuoi sia un'elegante palazzina. Quante volte nei brevi o lunghi tragitti in metropolitana, ci è capitato di lamentarci o di sentire lamentare il nostro vicino per via di quelle "scritte" che non ci permettono di leggere la fermata? Accade di sovente. L'io creativo dei writers sembra sprigionarsi dalle loro bombolette e impossessarsi di intere superfici sulle quali ci raccontano, sotto forma di confessione visiva, i loro problemi, il loro stato d'animo, le loro riflessioni sulla vita e sul mondo che li circonda o, semplicemente, lasciano la loro "firma", che li identifica e li lega a un determinato gruppo (crew).

L'arte è creazione; è il "mezzo" che ci permette di esprimere il nostro estro. La domanda, come direbbe qualcuno, nasce spontanea: i graffiti possono essere considerati quindi opere d'arte o atti vandalici? La risposta non è immediata e semplice come l'interrogativo che ci siamo posti. Certamente, molti graffiti potrebbero entrare a far parte di qualche collezione o mostra se non fosse che, al chiuso delle sale non raggiungerebbero il loro obiettivo, ovvero comunicare, fra colori e con un po' di fantasia, in assoluta libertà. È anche vero che imbrattare a caso, tanto per farlo, non è corretto ed è soprattutto controproducente. Come in tutte le cose ci vorrebbe il buon senso. Potremmo quindi concludere che la soluzione al problema cambia a seconda del contesto e del graffito.

La tecnica del graffito nasce in California, più precisamente a Los Angeles. I lustrascarpe della città, per evitare che qualcuno occupi la loro zona di lavoro, siglano il muro dove praticano la loro attività per sancire la "proprietà" della zona. Questo rito viene seguito imitato dalle gang di cultura ispanica che iniziano a dipingere il loro nome sui muri delimitanti i quartieri di appartenenza per dimostrare alle gang concorrenti la potenza ed il controllo sul territorio. Corre l'anno 1930. Trent'anni più tardi, a New York, un giovane ragazzo greco, Julio 204, firma l'interno di un vagone della metropolitana: un nuovo embrione di arte sta crescendo. Barbara 62 ed Eva 62 introducono il colore. Nel 1972 Superkool 223 realizza il primo master piece, ovvero un grande dipinto realizzato con tre colori spray diversi, caratterizzato da lettere tridimensionali stampigliate su una sorta di fondo. Nasce il writing.

Negli anni ottanta del secolo da poco concluso, i writers continuano a esprimersi nelle vie più disparate dando luogo a una sorta di "guerra" tra gli stili. I mass media iniziano a interessarsi al fenomeno artistico. L'Hip Hop contribuisce a diffondere l'Aerosol Culture: Writing, Breaking e Rap si fanno espressione della realtà urbana.
Speriamo vivamente che il wildstyle (o stile selvaggio) non continui ad essere praticato. E, soprattutto, che le istituzioni, o chi per loro, incomincino a dare spazio a questi artisti, la cui arte è molto spesso ignorata poiché non se ne intuisce la giusta valenza pittorica e creativa.

 

Il Progetto
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