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Giro91
Tribeart
Graffiti: opere d'arte o atti vandalici?
di vanessa viscogliosi
Il
loro acceso cromatismo cattura immediatamente
la nostra attenzione. Il loro intenso simbolismo
stimola la nostra fantasia e ci porta lontano.
Di cosa stiamo parlando? Dei graffiti, una realtà
metropolitana (o per usare un termine più
appropriato underground), spesso sottovalutata
e associata al luogo comune del writer/vandalo.
È
vero che alcuni writers danno sfogo al loro fervore
artistico non curandosi di ciò che gli
capita sotto tiro: vuoi sia un vagone della metropolitana
o del treno, vuoi sia un'elegante palazzina. Quante
volte nei brevi o lunghi tragitti in metropolitana,
ci è capitato di lamentarci o di sentire
lamentare il nostro vicino per via di quelle "scritte"
che non ci permettono di leggere la fermata? Accade
di sovente. L'io creativo dei writers sembra sprigionarsi
dalle loro bombolette e impossessarsi di intere
superfici sulle quali ci raccontano, sotto forma
di confessione visiva, i loro problemi, il loro
stato d'animo, le loro riflessioni sulla vita
e sul mondo che li circonda o, semplicemente,
lasciano la loro "firma", che li identifica
e li lega a un determinato gruppo (crew).
L'arte
è creazione; è il "mezzo"
che ci permette di esprimere il nostro estro.
La domanda, come direbbe qualcuno, nasce spontanea:
i graffiti possono essere considerati quindi opere
d'arte o atti vandalici? La risposta non è
immediata e semplice come l'interrogativo che
ci siamo posti. Certamente, molti graffiti potrebbero
entrare a far parte di qualche collezione o mostra
se non fosse che, al chiuso delle sale non raggiungerebbero
il loro obiettivo, ovvero comunicare, fra colori
e con un po' di fantasia, in assoluta libertà.
È anche vero che imbrattare a caso, tanto
per farlo, non è corretto ed è soprattutto
controproducente. Come in tutte le cose ci vorrebbe
il buon senso. Potremmo quindi concludere che
la soluzione al problema cambia a seconda del
contesto e del graffito.
La tecnica del graffito nasce in
California, più precisamente a Los Angeles.
I lustrascarpe della città, per evitare
che qualcuno occupi la loro zona di lavoro, siglano
il muro dove praticano la loro attività
per sancire la "proprietà" della
zona. Questo rito viene seguito imitato dalle
gang di cultura ispanica che iniziano a dipingere
il loro nome sui muri delimitanti i quartieri
di appartenenza per dimostrare alle gang concorrenti
la potenza ed il controllo sul territorio. Corre
l'anno 1930. Trent'anni più tardi, a New
York, un giovane ragazzo greco, Julio 204, firma
l'interno di un vagone della metropolitana: un
nuovo embrione di arte sta crescendo. Barbara
62 ed Eva 62 introducono il colore. Nel 1972 Superkool
223 realizza il primo master piece, ovvero un
grande dipinto realizzato con tre colori spray
diversi, caratterizzato da lettere tridimensionali
stampigliate su una sorta di fondo. Nasce il writing.
Negli anni ottanta del secolo da
poco concluso, i writers continuano a esprimersi
nelle vie più disparate dando luogo a una
sorta di "guerra" tra gli stili. I mass
media iniziano a interessarsi al fenomeno artistico.
L'Hip Hop contribuisce a diffondere l'Aerosol
Culture: Writing, Breaking e Rap si fanno espressione
della realtà urbana.
Speriamo vivamente che il wildstyle (o stile selvaggio)
non continui ad essere praticato. E, soprattutto,
che le istituzioni, o chi per loro, incomincino
a dare spazio a questi artisti, la cui arte è
molto spesso ignorata poiché non se ne
intuisce la giusta valenza pittorica e creativa.
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