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Giro89
Girogirotondo se casca
la scuola...
Per un sapere "no logo"
di Paolo b. Vernaglione, ricercatore
(del Consiglio Nazionale di ATTAC Italia), da Granello
di sabbia 43, by Attac Italia.
Apprendiamo in questi giorni che
il CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione, il "parlamento" in cui sono
rappresentate tutte le componenti,
dalle famiglie agli insegnanti, alle associazioni
di varia ispirazione) ha
bocciato la riforma della scuola della ministra
Moratti - del resto già
contestata a dicembre scorso durante gli Stati
Generali che dovevano
rappresentare il tentativo, fallito, di attuazione
del pensiero e della
prassi aziendalista nella scuola pubblica.
In contemporanea, ma non per caso, anche intorno
alla scuola e all'
Università, come per la giustizia, l'informazione
e il lavoro, si va
formando una protesta generalizzata che si esprime
in varie forme, dai
"girotondi" della società civile
al no al liberismo. Non tutte con lo stesso
senso, ma tutte per stigmatizzare il carattere
regressivo del progetto
governativo su scuola e ricerca.
Gli è che, dalla riforma universitaria,
al riordino dei cicli, al taglio di
fondi per la ricerca, l'intero paesaggio della
formazione subisce un grave
deterioramento e un asservimento sempre più
deliberato alle logiche
mercantili.
Svetta su tutto l'atto compiuto non da questo
governo ma del precendente,
quella legge di parità che, aggirando la
Costituzione, rende legale la
"sussidiarietà", parifica i titoli
di studio e impone ai contribuenti il
finanziamento regionale alla scuola privata in
nome di un malintesa
"libertà" di scelta di famiglie-utenti.
Se qui in Italia Confindustria e Vaticano, nonché
cattolici e destre di
governo spingono da alcuni anni per la riduzione
e il passaggio obbligato
della scuola ad azienda e per il finanziamento
pubblico forzoso alle scuole
cattoliche, (nonché per l'istruzione federalista,
leggi razzista, nel nord
di Bossi), ciò è stato possibile
per la mancanza assoluta di una politica di
cui anzitutto i governi di centrosinistra sono
responsabili; e per il
silenzio-assenso dei sindacati confederali, trasformati
in indicatori
concertativi del regime dell'istruzione, ammaliati
dalle sirene della
modernizzazione del sistema.
Sicché le denunce di Tranfaglia, Vattimo,
Hack e Starnone, della
subordinazione del sistema educativo e formativo
ad uno sventato e misero
aziendalismo, tacciono, per urgenza e necessità
immediata, questa mancanza.
Infatti il riordino retrogado di scuola e università
non si è determinato
con il governo Berlusconi.
La riforma Zecchino che discrimina sulla base
del reddito l'accesso alle
facoltà e queste sulla capacità
di accesso ai soldi e agli sponsor; l'
autonomia scolastica firmata Berlinguer, il tentativo
di riordino dei cicli
di De Mauro sono pilastri di un piano che era
ancora parte integrante del
programma elettorale dell'Ulivo alle elezioni
del Maggio scorso.
Cosa è cambiato da allora? Che oggi si
vedono gli effetti devastanti dell'
imposizione delle leggi di autonomia nel territorio,
il cui risultato è la
crescita zero delle iscrizioni, la razionalizzazione
delle scuole (leggi
chiusura), l'intrusione dell'azienda nei Dipartimenti,
il taglio dei fondi
alla ricerca, che però prima di Berlusconi
non è che fosse florida. L'
Università autonoma è lottizzata
e sponsorizzata, la ricerca orientata in
direzione di una tecnoscenza armata e pericolosa.
Moratti ha trovato campo
libero.
Va da sé che tali scelte hanno alimentato
un pensiero unico di marca
neoliberale e una coscienza sociale in direzione
privatistica che sono cause
non effetti, dell'immiserirsi della formazione
e dell'educazione in sé.
Si assiste poi all'immiserimento e la resa di
discipline umanistiche e
scienze sociali ad una tecnoscienza aggressiva,
con aziende di guerra come l
'Alenia che orientano la ricerca di interi dipartimenti
alla "Sapienza" di
Roma e le lauree brevi che moltiplicano l'esamicificio
e danno voce all'
ansia di profitto di imprese cui serve forza lavoro
sempre meno addestrata.
In un bell'articolo Bruno Accarino sul Manifesto
del 2 Aprile scorso, parla
della crisi della filosofia ridotta a scienza
della vita, ed è semplice
scovare in questo emergere così presuntuoso
il successo della biotecnica che
alla vita si applica, senza ripetere in nome di
quale logica.
Ad essa obbedisce il riordino Moratti: il territorio
(leggi aziende) si
impadronisce di forza lavoro13-14enne tramite
la formazione professionale,
dopo averla separata dall'istruzione per pochi;
il valore legale del titolo
di studio è abolito. Gli organi collegiali
riformati in funzione manageriale
e l'esame di stato consente di risparmiare gli
insegnanti e alle private di
emettere diplomi senza che vi sia alcuna interlocuzione
con uno straccio di
Stato. Saltano cattedre, gli organici dei docenti
sono ridotti, con classi
di 28-29 alunni, i concorsi universitari laddove
si fanno sono ormai a
"chiamata" e le facoltà non sono
finanziate se non svolgono ricerca
orientata e mai pura.
Su questa deriva di lunga data dell'istruzione
bisogna ragionare. Anzitutto
sgombrando il campo da illusioni riformiste, come
da politiche concertative
in nome di una modernità che ha prodotto
disastri.
Mentre in nome casomai di una post-modernità
si avviano questi processi,
laddove essa si declina con la riformulazione
di una cittadinanza, che
sembra essere l'elemento cardine, dall'illuminismo
ad oggi, di qualsiasi
politica per la ricerca e l'educazione.
Parliamo del luogo sociale della cittadinanza,
quello per cui scuola e
Università sono fatte, acquisendo la critica
radicale alla globalizzazione
neoliberista quale centro di una politica di riordino.
Ammettiamo cioè che
scuola e Università formano cittadinanza
critica e consapevole dei processi
universali che investono la cultura come il lavoro,
lo spettacolo come le
scienze, denunciando un sistema che agisce nei
luoghi di produzione del
sapere e della vita.
Illuminante è Scienza Spa, un libro da
poco edito da Derive/Approdi, in cui
L.A.S.E.R., un collettivo di ricercatori, biologi,
fisici e informatici,
indica, attraverso un diario di ricognizione dell'
esperienza di facoltà, il
nodo della relazione scienza-ricerca-mercato.
Una riflessione sulle
istituzioni del sapere prevede una assunzione
della forma immateriale delle
merci, prodotte in misura sempre maggiore; per
questo è essenziale che la
difesa di ciò che è comune acquisisca
la realtà del post-fordismo e la
virtualità dell'attuale immaginario, immergendovisi,
non rimanendone fuori.
Altrimenti qualsiasi battaglia in nome del "pubblico"
è persa in partenza.
Solo in quanto concretamente interna alla formazione
di soggettività il
progetto di un'altra scuola e un'altra università
sono possibili.
Perché già sono in costruzione sulle
linee di fuga in cui è immerso il
sapere. Questa scuola e questa Università
non passano dunque semplicemente
per la protesta "civile" contro l'esistente
ma per l'esodo dalla produzione
mercantile di cultura e per la facoltà
di fuga da quei processi, per
reinventarli.
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