segnali dalle città invisibili
 

Giro88 Punto G
Dario Fo recita Ubu Roi

introduzione allo spettacolo tenuto il 28 marzo 2002 al teatro Strehler di milano

Qualche giorno fa, a Parigi c'e' stato un grosso dibattito a
proposito di quanto ha dichiarato il nostro Presidente del
Consiglio. Gli intellettuali italiani ed anche alcuni
francesi avevano rilasciato dichiarazioni piuttosto dure
sull'atteggiamento del nostro Governo. Il Premier per
commentare queste loro esternazioni ha detto con disprezzo
che sono tutti clown.
Ora, la cosa veramente straordinaria e' il semplicismo con
cui il nostro rappresentante del Governo usa questo termine.
Io che modestamente credo di essere un vero clown, non mi
sento per niente offeso, anche perche' da quasi
cinquant'anni a questa parte mi sono letto qualcosa su
queste figure e sulle loro origini e ho scoperto che questi
personaggi, queste maschere, hanno ricoperto un ruolo
davvero importante nella storia del teatro e della cultura,
non solo europea, ma di tutto il mondo. Tanto per
cominciare, ricordiamo che in India ancora oggi viene
rispettata l'antica tradizione per cui quando si e' deciso
che in un certo luogo si debba innalzare o costruire un
edificio sacro o importante per la comunita', ecco che si
fanno arrivare dei clown seguiti da una marea di ragazzini
che si sistemano nello spazio dove si poseranno le
fondamenta. I clown si esibiscono in lazzi, acrobazie e
giochi comici. I bambini cominciano a ridere...il riso
cresce sempre piu'. Quando si arriva allo "sganascio",
quello e' il segnale che il luogo si e' liberato da ogni
possibile clima malefico: lo spazio e' purificato.
I clown sono quindi coloro che riportano l'equilibrio, la
logica attiva e non passiva delle cose e degli avvenimenti.
Ma proviamo a considerare la figura dei clown, o meglio dei
giullari, nei riti religiosi della nostra cultura. Nelle
rappresentazioni sacre del Medioevo ci capita spesso di
incontrare un giullare che nelle vesti di "Matto" gioca a
carte sotto la croce con i crociatori. All'inizio il Matto
perde, ma poi, grazie all'aiuto di Cristo, comincia a
vincere e, partita dopo partita, spoglia letteralmente i
compari. Il Matto a 'sto punto contratta la restituzione di
tutti i denari guadagnati in cambio della vita di Gesu'.
Cioe' a dire, pretende di tirarlo giu' dalla croce ancora
vivo. I crociatori accettano. Il Matto afferra una scala,
l'appoggia alla croce, monta fino al Cristo e cerca di
convincerlo a scendere di li' e rinunciare al "sacrificio"
per la salvezza dell'umanita'. Il Cristo non ne vuol sapere:
"Per favore, lascia stare i chiodi... lasciami dove sono,
grazie!" "Ma sei fuori... dicono che io sia un pazzo... sei
tu qui, il pazzo. Ora dimmi le ragioni chiare del perche' e
chi vuoi salvare! Guardatela bene questa umanita'... gente
che si scanna, che truffa e inganna; ognuno che pensa ai
propri interessi, che arraffa denari e potere... e tu
davvero vuoi ancora sacrificarti per loro!"
Esplode un serrato diverbio. Alla fine Cristo si tace. Il
Matto inizia un soliloquio rivolto al pubblico e si intuisce
che e' il Figlio di Dio a dettargli i propri pensieri
perche' giungano chiari e definitivi al popolo dei fedeli.
Questo vi fa capire quanta importanza abbia la figura del
giullare, del clown, nell'antico rito popolare cristiano.
Non parliamo poi della sua importanza durante i riti della
Pasqua: il cosiddetto "risus pascalis" era tenuto proprio
dai clown, dai giullari i quali entravano in chiesa e
cominciavano a danzare, a ballare festosamente. Il loro
compito era quello di portare festosita' ai fedeli,
coinvolgerli nella risata, condurli verso un'allegria
collettiva, all'abbracciarsi e volersi bene: la liberazione
attraverso il rito del riso. Il tutto per esaltare insieme
la felicita' per la Resurrezione di Cristo.
Tutto questo accadeva ancora quattro o cinque secoli fa.
Anche nel teatro shakesperiano troviamo i clown come
personaggi di contrappunto scenico. Nell'Amleto i becchini
sono infatti due clown che discutono della morte e della sua
imponderabilita', della paura e del condizionamento che la
morte porta con se', arrivando ad "investire" gli uomini
all'improvviso, piu' veloce della follia. Shakesperare offre
ai suoi clown la possibilita' di dettare l'umore, il gioco
di paradosso che emerge dalla tragedia.
Anche in Molie're ritroviamo la chiave del pazzo, del
pagliaccio e cosi' nelle commedie dei nostri autori del
Cinquecento. Ruzzante e' gia' di per se' un clown...
pensiamo ai suoi discorsi sulla guerra... e se vogliamo fare
un salto mortale sempre parlando di guerra, torniamo sino
agli autori delle commedie greche letteralmente invase di
clown. Pensiamo alla "Pace" di Aristofane: il clown
protagonista conduce gli spettatori alla ricerca della dea
della Pace volando su un possente scarabeo-stercorario.
Danzando nell'aria, issato su una specie di immaginaria gru,
si getta quasi a capofitto sulla platea terrorizzando gli
spettatori e provocandoli con insulti e minacce: "Bastardi,
cacasotto, che vi fate quattrini e provviste sul sangue e le
interiora scaraventate qua e la' a ingrassare i vostri
campi!" Insomma, sviluppa una situazione paradossale di
accusa: una collana di lazzi provocatori alla volta di
personaggi di potere, contornati da ruffiani, poeti
d'accatto, intellettuali leccapiedi, cioe' tutta la massa di
"paraculi" che portano avanti la logica della vita con
ipocrisia da spacciatori di truffalderie.
Tutto questo ci dice che il nostro Presidente e' un profondo
ignorante, con tutto che, fatto incredibile, si ritrovi ad
essere il piu' importante editore italiano. Nella sua
produzione di testi puo' vantare collane ricchissime di
opere che trattano del teatro satirico e in particolare
proprio dei clown.
A proposito di paradossi, voglio segnalavi il di Franca e
mio: i nostri testi da oltre quarant'anni sono editi da
Einaudi. Quando abbiamo scoperto che Berlusconi si era
comprato la maggioranza delle azioni della nostra Casa
Editrice, potete ben immaginare come siamo rimasti.
Berlusconi nostro padrone?! Abbiamo pianto.
L'unica era andarsene, lasciando purtroppo tutti i testi,
piu' di cinquanta commedie, nelle sue mani.

Dario Fo e Franca Rame

 

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