segnali dalle città invisibili
  Giro86 Il Vittorini
Un 'chierico' irregolare
Intervista a Manlio Sgalambro, nella sua casa catanese. A cura di Demma Nalini, III L

Mi riceve in una stanza dalle alte pareti, totalmente ricoperte di libri. Manlio Sgalambro appare molto cordiale. Scambiamo qualche battuta, lui mi stupisce con un divertente aneddoto su Byron e Schopenhauer. Ecco che inizia il mio compito: scoprire quest'uomo.

Professore, quando nasce il suo amore per la filosofia?
Già all'età di nove anni avverto un amore dissennato per qualcosa che non conoscevo. M'incapriccio del mistero che rappresentava la parola 'filosofia', in una Lentini di tanti anni fa. Scopro che facevo già filosofia senza saperlo, che dentro di me vi era un fuoco che bruciava, come in quella splendida immagine in cui S. Tommaso equipara l'inferno ad un luogo in cui l'uomo brucia alla semplice visione del fuoco.

E poi, cosa succede?
Prendo i primi contatti con l'Università e conosco un professore che parlava, con un ridicolo accento napoletano, dell'Uno di Plotino. Ne avverto l'assurdità, di natura estetica! Da giovani certe cose urtano con la propria sensibilità, per una mancanza di eleganza interna.

Naturalmente, la filosofia è un'altra cosa!
Ritengo che bisogna tornare al concetto di "natura filosofica", una disposizione misteriosa a filosofare, che non vuole essere spiegata, e che ci porta continuamente a trasformare il problema di ordine generale in particolare e viceversa. Allora bisogna lottare per raggiungere un equilibrio all'interno di questo tramutarsi delle cose nelle loro ombre, nelle idee.

Quando ha iniziato a scrivere?
Avevo già circa vent'anni e pubblicavo degli articoli dai temi forti, su una rivista romana, diretta da Vittorio Chiaromonte e Ignazio Silone, "Tempo presente", che tra l'altro pagava piuttosto bene, per quei tempi, mi davano 20.000 lire a colonna, poi sono passato ai saggi e .....

Ha mai percepito la dimensione siciliana come un limite, anche solo geografico?
No, noi siamo isolati per il fatto che riteniamo di esserlo e condividiamo una sensazione che ci tramandano, che viene ben prima del reale isolamento.

Mi racconta com'è avvenuto il suo incontro con la musica e con Franco Battiato?
È stato, come spesso accade, un caso. Ci fu commissionata un'opera dalla Regione Siciliana: "Il cavaliere dell'intelletto". Franco fece le musiche ed io scrissi il libretto in pochissimo, una nuova febbre, una nuova malattia. Abbiamo fatto 28 recite, in diverse parti d'Italia. Poi gli proposi un disco di musica pop e lui volle musicare tali e quali alcuni miei testi, che riconosco erano un po' difficoltosi, così nacque il CD "L'ombrello e la macchina da cucire", al quale fecero seguito alcuni altri, cui ho contribuito anche con la mia voce "truce".

Questo episodio mi ricorda una sua frase: "getta la vita lontano da te e va a riprenderla"….
Sì, accade quando la disperazione dell'uomo diventa tale che si tramuta in senso dell'avventura, in una gioia dionisiaca, e cerca un obiettivo sempre più lontano. È la saggezza dei tempi in cui il soggetto è solo, e la società è 'dissocietà'.

Quali progetti ha in cantiere, adesso?
Ho in uscita un poemetto ed un nuovo saggio, "De mundo pessimo", mentre con Battiato abbiamo ricevuto una proposta per un film. Dovremmo curare insieme la sceneggiatura e Franco dovrebbe occuparsi della regia.

Il Progetto
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