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Régis Debray “Du Bon Usage des Catastrophes” (Gallimard)

Un saggio contro-corrente da parte di un maitre à penser della cultura francese

di Emanuele G. - martedì 13 settembre 2011 - 3800 letture

Régis Debray è uno dei più raffinati intellettuali francesi del secondo dopoguerra. Mente splendida. Spesso fuori dal coro. Grande amico di Che Guevara. E tanto altro. Questa personalità che ha pochi eguali nell’attuale panorama culturale europeo ci regala un saggio “breve”. Breve nella foliazione. Poderoso nei contenuti. Con un titolo intrigante: “Du Bon Usage des Catastrophes”. Cioè come far buon uso delle catastrofi e del catastrofismo. Tematica di precipua impellenza visto i tempi.

Si inizia con un’introduzione ficcante come poche. Ci fa subito capire il gusto del saggio. Infatti, Debray puntualizza quanto segue:

1. Le catastrofi svelano il rovescio della bella confezione, ossia il lato nero del progresso tecnico. La catastrofe assume pertanto il valore di avvertimento;

2. Mette a nudo le nostre imprudenze, la nostra visione delle cose che non va oltre al naso, uno spirito di arricchimento. Allora la catastrofe ha un valore pedagogico;

3. Vi è un uso malizioso delle catastrofi in quanto assistiamo sempre più al fenomeno dell’allerta all’allerta messa in opera dai professionisti del catastrofismo, ossia i c.d. “ecologisti”.

Ne converrete che di carne al fuoco, Debray ne ha messa tanta. E in un saggio di appena un centinaio di pagine si rischia persino l’overdose. Ogni parola è un concentrato di riflessione, provocazione, ragionamento, descrizione, analisi che lascia senza parole. Debray ci fa capire quali differenze di atteggiamento hanno i giapponesi rispetto a noi impregnati di cultura giudaico-cristiana. Ci inebria in descrizione esageratamente capziose del concetto di profezia e di profeta nelle principali religioni monoteiste. E finisce con un succinto sesto capitolo intitolato “Envoi” che racchiude tutta la filosofia sui tempi moderni di Debray. Un suo manifesto? Un testamento politico? Non lo sappiamo poiché a Debray non interessa instillare certezze, ma dubbi. A lui interessa farci pensare. Uno dei limiti dei tempi moderni. Forse le catastrofi sono originate perché non pensiamo più? Da qui l’invito di Debray: "Armez Vous" ("Siate Pronti").


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