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Persone: Sergio Staino, disegnatore satirico

Aveva 83 anni: è stato uno dei più famosi disegnatori e fumettisti italiani, noto soprattutto per il personaggio Bobo, suo alter ego

di Redazione - sabato 21 ottobre 2023 - 983 letture

È morto a 83 anni Sergio Staino, uno dei più noti disegnatori e fumettisti italiani di sempre, ma anche una presenza intellettuale permanente nel dibattito e nella storia della sinistra italiana dell’ultimo mezzo secolo. La sua cosa più nota per molti è Bobo, personaggio delle sue strisce di enorme successo, e suo alter ego in perenne conflitto tra fedeltà al partito di appartenenza e disillusione rispetto alle sue scelte.

Staino è morto dopo una lunga malattia: era stato ricoverato una prima volta nel novembre del 2022, era uscito dall’ospedale nel settembre del 2023 ma ci era tornato a metà ottobre, quando le sue condizioni erano peggiorate.

Staino, che viveva nei pressi di Scandicci, alla periferia di Firenze, era nato a Piancastagnaio in provincia di Siena, e dopo essersi laureato in architettura insegnò educazione tecnica in vari licei della provincia di Firenze.

La sua carriera da fumettista cominciò nel 1979, quando pubblicò per la prima volta una striscia di Bobo sulla rivista di fumetti Linus. Bobo ottenne da subito grande popolarità, rappresentando desideri e frustrazioni di molti militanti di sinistra italiani, e negli anni successivi comparve su molti altri giornali e riviste con cui Staino collaborò: tra questi l’Unità, il Corriere della Sera, il Venerdì di Repubblica, l’Espresso, Panorama, Cuore e Tango, il settimanale satirico nato all’interno dell’Unità che Staino fondò nel 1986 e diresse fino alla sua chiusura, nel 1989, e dalla cui esperienza nacque appunto Cuore, settimanale poi autonomo e di grande popolarità.

Nelle strisce e nelle vignette Bobo commentava l’attualità, soprattutto politica, in maniera sarcastica e spesso autocritica. Come Staino viveva a Scandicci ed era molto autobiografica anche la sua famiglia: inizialmente si presentava come un elettore del Partito Comunista Italiano, continuamente tormentato dalla necessità di far convergere lo spirito rivoluzionario del partito con l’ambizione di governare.

Bobo rappresentò per molti i tormenti dell’elettorato comunista italiano tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il partito guidato da Enrico Berlinguer cominciò ad allontanarsi gradualmente dall’Unione Sovietica (la permanenza del legame era rappresentata dall’amico di Bobo di minori dubbi ed evoluzione, Molotov).

Come molti elettori comunisti, anche Bobo (e quindi Staino) reagì a questa nuova direzione con un misto di scetticismo e speranza, e come molti condivise a malincuore lo scioglimento del partito nel 1991. Così come il suo autore, negli anni seguenti Bobo divenne elettore del Partito Democratico della Sinistra, dei Democratici di Sinistra e infine del Partito Democratico, mantenendo sempre il solito atteggiamento fiducioso e al contempo desolato nella politica: atteggiamento che a sua volta era mostrato dallo stesso autore di Bobo nei suoi frequenti interventi personali nel dibattito culturale. Ancora negli ultimi giorni Staino ha continuato a mandare con frequenza una sua newsletter personale di commento e aggregazione di articoli e interventi che riteneva interessanti.

Oltre che disegnatore, Staino fu anche autore televisivo e regista cinematografico: realizzò due film, Cavalli si nasce nel 1989 e Non chiamarmi Omar nel 1992. L’8 settembre del 2016 era stato nominato direttore dell’Unità, carica da cui si dimise nell’aprile del 2017 dopo uno sciopero dei giornalisti del giornale contro un piano di licenziamenti voluto dalla proprietà. Da diversi anni aveva gravi limitazioni alla vista (le aveva raccontate in una bella conversazione con Luigi Manconi su Repubblica) che però non gli impedivano, con l’aiuto di collaboratori e tecnologia, di continuare a produrre i suoi disegni, negli ultimi tempi pubblicati soprattutto sulla Stampa.

Fonte: Il Post.


La Redazione di Girodivite, i compagni e le compagne che "girano" attorno a essa, inviano alla famiglia e agli amici di Sergio Staino le proprie condoglianze. Addio Bobo, che la terra ti sia lieve!

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Bobo ti vogliamo bene
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Staino - Per il forse
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Staino - Ne avessimo indovinata una

Addio a Sergio Staino, laicità e autoironia insieme: “Bel lavoro, compagno Deng!” / di Luca Bottura

Il «papà» di Bobo ed ex direttore de L’Unità era malato da tempo

21 Ottobre 2023

Il 3 giugno 1989 il Muro di Berlino era ancora in piedi, la Guerra Fredda pure, l’Unità (quella vera) era ancora il giornale del Partito Comunista Italiano. Quel giorno il regime cinese massacrò alcune migliaia di giovani che da giorni occupavano piazza Tienammen, a Pechino, per protestare contro la cosiddetta dittatura del popolo. Volevano libertà, ricevettero morte. E divennero concime non già per una transizione democratica, ma verso quel riuscito pastiche odierno che miscela il peggio del socialismo reale e il peggio del capitalismo più sfrenato.

Sergio Staino dirigeva Tango, inserto satirico del giornale che, nonostante Guareschi e i suoi trinariciuti, molti lettori consideravano ancora una specie di Bibbia. In copertina decise di mettere quel titolo, a caratteri di scatola: “Bel lavoro, compagno Deng!”. Sotto c’era il suo personaggio di elezione, Bobo. Disperato. In braccio teneva, morente, letteralmente divisa in due dai carrarmati, la figlia Ilaria. Come sempre, fumetto e realtà si fondevano. Sergio, Bobo, si rivolgeva al colpevole dell’ennesima disillusione come se la carneficina gli fosse entrata in casa. E in quel “compagno” c’era tutto il disprezzo per chi usciva dal suo, dal nostro, album di famiglia, sporcandolo di sangue una volta in più.

Oggi, con la vanga che quasi sempre si usa per scrivere sui giornali (non tutti: molti) si direbbe che quella di Staino rappresentò un’abiura. In realtà era una rivendicazione. Della speranza che spesso unisce la satira all’essere di sinistra, senza neanche la protervia intellettuale di certo milieu da terrazza di Scola: il tentativo, non la presunzione, di stare dalla parte più commendevole della Storia. Perché tutti i posti dei “cattivisti” erano già occupati. Ognuno, come ebbe a dire un filosofo tedesco, secondo le proprie possibilità. Fossero anche una lacrima, o una pernacchia, al momento giusto. Magari davanti allo specchio.

È questa la seconda grande qualità che perdiamo insieme a Sergio Staino: la laicità. L’autoironia. Doti antiche, desuete. Vilipese. Nella guerra civile da operetta in cui ci hanno rinchiuso l’eterno dopoguerra senza nemesi e i quarant’anni di Governo Mediaset, l’autosatira, o la satira sul popolo, sono ormai merce troppo raffinata e poco spendibile. Quello di Sergio, invece, è stato un lungo percorso di autoanalisi sulla chiesa rossa. Sulla sua gente imprecisa e spesso confusa. Alle prese con la sclerosi del partitone, prima. Con le sue convulsioni poi.

Non che a Botteghe Oscure fossero altrettanto spiritosi. Tango, ad esempio, smise di uscire dopo aver messo alla berlina in prima pagina addirittura il segretario comunista, Alessandro Natta, cui era toccata in sorte la sventura di succedere a Enrico Berlinguer. Un po’ come se Pupo avesse presto il posto di John Lennon nei Beatles. Nella vignetta, una parodia di Forattini, quindi divertente, Natta (nudo) danzava agli ordini di Bettino Craxi e Giulio Andreotti. Lo rampognarono. La settimana successiva, a evidenziare il tentativo di censura, Staino pubblicò un disegno in cui Natta suonava, Craxi e Andreotti ballavano. Non bastò, anzi: esacerbò. Chiuso. Il direttore era Massimo D’Alema.

Narra la leggenda che D’Alema, deciso a cambiar rotta, chiese a Michele Serra un inserto di stampo prettamente culturale. Nacque Cuore, l’ultimo grande successo satirico su carta. Cui Staino continuò a collaborare per una sorta di militanza laterale che non l’avrebbe abbandonato mai. Si spiegano così le partecipazioni ad almeno un paio di resurrezioni della vecchia Unità, cui fece da badante editoriale mentre la qualità dei proprietari precipitava insieme ai bilanci. Acciaccati, come la sua parte politica, mentre il sol dell’avvenire, almeno nel caso di Renzi, diventava una nana bianca.

Per qualche tempo, “il signore di Scandicci” disegnò anche per l‘Avvenire. Così come Angelo Melloni, ex democristiano, era finito sul giornale del Partitone, anni prima, per inaugurare con lo pseudonimo di Fortebraccio la tradizione del corsivo satirico di prima pagina. Lombi diversi (Melloni era stato partigiano bianco) ma una cultura contigua: quella dell’antifascismo. Anche quella, oggi, si porta poco. Risulta divisiva.

Da qualche tempo era qui sulla Busiarda, che fu molto sincera nel garantirgli ciò a cui teneva di più: libertà assoluta. Per essere equilibrato negli estremi, fazioso ma mai della stessa fazione, ché la satira ha da essere di parte perché necessita di un punto di vista, gli bastava mantenere la fanciullezza molto toscana di chi disegna, scrive, racconta, perché ne sente una profonda necessità. Non a caso tutti i suoi personaggi erano famiglia, reale o politica: la moglie Bibi, l’altro figlio Michele, il vecchio Molotov, la vicina Erna che deviava in direzione di un altro grande: Wolinski, satiro e satirico, martire nella redazione di Charlie Hebdo. Tutti attori di un neorealismo molto magico, apparentemente pedestre, spesso raffinatissimo. Soprattutto, se è concessa la bestemmia, sincero.

Quando nacque il Giornalone, modesto epigono di testate satiriche ben più blasonate, si approcciò con l’umiltà e la maestria dei grandi. La domanda più frequente era su cosa desiderassi la vignetta, su quali fossero le misure. Avrebbe potuto eccepire, suggerire. Regalava, invece, la sua benevolenza allegra a questo ennesimo figliastro stortignaccolo. Forse, per descriverlo davvero, basta un particolare: negli ultimi anni non vedeva più. Ma disegnava lo stesso, aiutato dalla tecnologia. Che nulla sarebbe stata senza un altro software decisivo: il cuore.

Che l’inchiostro ti sia lieve, Sergio. Grazie. Davvero.

Fonte: La Stampa.


È morto Sergio Staino: il disegnatore, e «papà» di Bobo, aveva 83 anni / di Antonio Carioti

È morto oggi, in ospedale a Firenze, Sergio Staino. Giornalista, vignettista, disegnatore, «papà» di Bobo ed ex direttore dell’Unità, aveva 83 anni; era ricoverato da qualche giorno, ma era malato da tempo. Qui sotto il ricordo di Antonio Carioti.

Ci mancherà molto Bobo, antieroe ingenuo e pasticcione di una sinistra disposta a prendere in giro sé stessa. Il suo creatore Sergio Staino è scomparso oggi all’età di 83 anni, lasciando un grande vuoto nel mondo della satira e il ricordo di tanti sorrisi — a volte anche belle risate — che era riuscito a strappare con le sue strisce e vignette in oltre quarant’anni di attività.

Anche grazie a Staino il Pci negli anni Ottanta aveva cominciato a disfarsi del sussiego e della presunzione di superiorità che aveva a lungo nutrito. Sulle pagine del quotidiano ufficiale, «l’Unità», Bobo aveva portato quella vena d’irriverenza che alla base del partito circolava già da molto tempo, sia pure nascosta sotto la cappa dell’unanimismo che non ammette dubbi. Proprio perché da giovane aveva vissuto una decennale esperienza di militante nella sinistra più rigidamente settaria, quella dei marxisti-leninisti ammiratori di Mao Zedong, Staino aveva maturato una sensibilità antidogmatica che si riversava negli infiniti tentennamenti di Bobo e che lo aveva spinto a prendersi gioco anche dei segretari del Pci, fino a disegnare nudo il malcapitato Alessandro Natta. Più tardi sarebbe addirittura diventato direttore dell’«Unità», sia pure per un periodo piuttosto breve tra il 2016 e il 2017.

Nato a Piancastagnaio, in provincia di Siena, l’8 giugno 1940, Staino era figlio di un carabiniere. Portato sin da ragazzo per il disegno, laureato in architettura, aveva lavorato per lungo tempo come insegnante di educazione tecnica e si era stabilito a Scandicci, non lontano da Firenze, nel cuore della Toscana rossa. Al mondo del fumetto era approdato relativamente tardi, perché l’anno di nascita di Bobo è il 1979, quando il simpatico personaggio autoironico aveva esordito sulle pagine della rivista «Linus», diretta all’epoca da Oreste Del Buono, riscuotendo subito un notevole successo. Iscritto al Pci, calvo, occhialuto, barbuto e piuttosto pingue, Bobo era una sorta di alter ego dell’autore, ne rifletteva le incertezze e la profonda sensibilità umana.

Nel 1982 Staino era diventato il vignettista dell’«Unità». E i lettori del giornale comunista, abituati alla satira tagliente e faziosa del corsivista Fortebraccio, avevano presto acquisito dimestichezza con l’assai più pensoso Bobo e con i personaggi di contorno: la moglie Bibi, i figli Ilaria e Michele, il compagno brontolone Molotov, ancora intriso di mentalità stalinista.

Con la sua satira garbata — a volte malinconica, a volte giocosa, mai volgare — Staino era venuto incontro a una nuova generazione di comunisti, più aperta e propensa a porsi interrogativi al di fuori dei consueti canoni ideologici.

Il suo lavoro tuttavia era molto apprezzato anche al di fuori del partito. Umberto Eco ebbe a dire che uno studioso del futuro, ignaro delle vicende italiane, avrebbe trovato nelle strisce di Bobo un’ottima fonte per comprendere i cambiamenti avvenuti nella nostra società a partire dagli anni Ottanta. Nel 1984 Staino aveva vinto meritatamente il premio della Satira di Forte dei Marmi. E nel 1986 era nato sotto la sua direzione «Tango» supplemento satirico dell’«Unità» al quale avevano collaborato Altan, ElleKappa, Riccardo Mannelli, Michele Serra, David Riondino, Gino e Michele, Francesco Guccini.

Qui in seguito a un attacco di Forattini, che lo aveva accusato di non avere il coraggio di rivolgere i suoi strali verso i dirigenti comunisti, Staino aveva disegnato in prima pagina nel luglio 1986 Natta nudo e intento a ballare seguendo la musica di un’orchestrina diretta da Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Il caso aveva fatto rumore e molti nel Pci non avevano preso bene quella trovata, ma indubbiamente fu una doccia fredda salutare che Staino somministrò al partito con notevole coraggio.

Nell’ottobre 1988, dopo alterne vicissitudini, «Tango» aveva chiuso e al suo posto era nato «Cuore», diretto da Serra, al quale Staino aveva partecipato per poi distaccarsene. Non gli piacevano certi eccessi polemici dei suoi ex compagni di viaggio: pur rivendicando sempre la sua identità di sinistra, prima nel Pds poi nei Ds e infine nel Pd, non aveva remore nel riconoscere il fallimento del comunismo e guardava alle radici riformiste del socialismo, anche se, bisogna aggiungere, Bettino Craxi non gli era mai piaciuto. Tanto meno Silvio Berlusconi.

Staino era comunque distante anni luce da ogni visione manichea: aveva accolto piuttosto male la candidatura dell’ex pubblico ministero Antonio Di Pietro per l’Ulivo nel Mugello; inoltre avversava il populismo, in particolare nella sua versione grillina, che giudicava violenta e pericolosa. Semmai, benché dichiaratamente ateo, Staino apprezzava alcuni settori del mondo cattolico e guardava con estrema simpatia alla figura di Gesù, che considerava il primo socialista.

Aveva anche collaborato per quasi un anno, nel 2018, con il quotidiano dei vescovi, «Avvenire», pubblicando fumetti poi raccolti nel volume Hello Jesus (Giunti, 2019). Da ricordare anche la sua attività come sceneggiatore in due film: Cavalli si nasce (1988) e Non chiamarmi Omar (1992).

Tra i tanti libri pubblicati, merita una menzione Quel signore di Scandicci (Rizzoli Lizard, 2020) una sorta di summa delle vicissitudini di Bobo. Sin dal 1977 Staino aveva accusato gravi problemi alla vista, causati da una progressiva degenerazione retinica, che con il tempo lo avevano reso quasi cieco. Aveva affrontato la malattia con estremo coraggio, assistito dalla moglie Bruna, e aveva continuato a lavorare fino all’ultimo, con l’aiuto del computer e con notevole fatica. Dal 2017 lavorava per «La Stampa», ma non aveva perso la speranza di vedere rivivere «l’Unità». Con il solito spirito equanime, riconosceva doti significative anche a Giorgia Meloni. Ma guardava alla vita pubblica con crescente perplessità: «Oggi — aveva detto in un’intervista — c’è meno bisogno di satira. Oggi i politici si dissacrano da sé».

Fonte: Corriere della Sera.


Firenze, è morto Sergio Staino: dai primi disegni del 1979 alle vignette più famose, passando per Bobo / di Edoardo Semmola

Undici mesi in ospedale, a sperare si riprendesse dopo il problema neurologico che lo aveva portato in coma lo scorso novembre. E invece Sergio Staino non ce l’ha fatta e si è spento oggi a 83 anni all’ospedale di Torregalli. Uno dei più noti e brillanti vignettisti satirici italiani, fiorentino di Scandicci, ex direttore de L’Unità, presidente del Premio Tenco, animatore di grandi e accesi dibattiti nella sinistra italiana, prima nel Pci, poi nei Ds e nel Pd, (quasi) sempre in minoranza, da agitatore (culturale e politico) mai domo. «Non siam razza d’artista, né maschere da gogna e chi fa il giornalista si vergogna» cantava Guccini nel 1983 nel brano “Gli amici”. E il giornalista che si vergogna era lui, il suo più vecchio amico Sergio Staino con cui in piena pandemia organizzò la festa degli 80 anni insieme.

Di questi, 40 li ha passati a disegnare il suo Bobo, personaggio di carta e colore da sempre interprete critico-romantico delle vicende della sinistra italiana. Anche se troppo presto ha dovuto combattere con la cecità, lui che di mestiere faceva il vignettista. «Bobo è diventato un vecchio saggio — diceva di lui lo stesso Staino il suo autore — Si è difeso dal coronavirus e si gode quei pochi raggi luminosi che ogni tanto arrivano all’interno di una nebbia totale». Il riferimento erano gli ammiccamenti del suo Pd ai mal sopportati Cinque Stelle. Lui, comunista pentito di non essersi pentito abbastanza in tempo. Sempre critico, a partire da se stesso. Fin da quando, ventenne, faceva l’insegnante a scuola.

«Quando a ottobre del 1979 è nato il mio personaggio, Bobo, quella prima vignetta per Linus mi servì per fare un bilancio politico dopo un decennio di militanza fanatica e fissata passata al fianco degli albanesi e della Cina – ricordava spesso – Mi resi conto di aver buttato via dieci anni della mia vita. Un crollo totale. Per questo disegnare Bobo che si paragona al Gastone di Petrolini, mi è costato una fatica enorme. Mi vergognavo di essere stato così stupido da inseguire una falsità totale quando molti altri lo avevano capito prima». Gastone diceva di essere stato rovinato dalla guerra, Staino dalla Cina.

Tra Bobo e Staino c’era «un’identificazione molto profonda: in lui ho messo tutta la naturale bontà che deriva dalla mia educazione familiare, dalla mia Toscana terra focosa ma ricca di persone generose e da una chiesa cattolica di parrocchia fatta di preti abbastanza illuminati. Questa è la mistura di partenza» proseguiva il suo ricordo. «Mi ha fatto affrontare i problemi della vita in un modo più sereno. Da quelli con la scuola, quando insegnavo, a quelli con i marxisti leninisti per via della mia relazione adulterina che diventava qualcosa di serio e strutturato, con una figlia che non si poteva riconoscere. Per non parlare poi di quando ho saputo che sarei diventato cieco e la cosa mi ha sconvolto... Ho scaricato tutto addosso a Bobo e lui mi ha sorretto».

«Caro Sergio, che brutto scherzo che ci hai fatto: tu e Bobo per noi eravate immortali». Lo afferma il sindaco di Firenze Dario Nardella, appresa la notizia della morte di Sergio Staino. «Con Staino perdiamo tutti un grandissimo professionista - continua il sindaco - che tramite la sua matita ha fatto riflettere non solo le persone comuni ma anche molta parte del centrosinistra e del Pd, partito al quale non risparmiava spesso critiche, anche se sempre costruttive, e che spronava ad essere più vicino al suo popolo. Io oggi perdo un amico con cui fin dai miei primi passi nella politica mi sono sempre confidato sulle mie idee sulla politica e sulla vita. Ci accomunavano valori e principi solidi e con lui il Comune ha avuto modo di collaborare molte volte: ricordo tra l’altro che all’inizio del 2000 Staino è stato responsabile dell’Estate Fiorentina, mentre la nostra ultima iniziativa insieme è stata una cartolina contro il razzismo. Alla moglie Bruna, quella Bibi che spesso lui ha definito la sua forza e il suo valore aggiunto, e ai figli Ilaria e Michele, vanno le più sentite condoglianze della città e il mio abbraccio personale» - conclude il sindaco.

Fonte: Corriere Fiorentino.




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