L’elettricista e l’aiuto fraterno dei carri armati: intervista a Dario Fertilio
L’ultimo libro "Concerto per Carri Armati" è uno psicodramma con forti accenti ironici su un aspetto molto in voga qualche anno fa nei paesi dell’Europad dell’Est. L’invasione dei carri armati fratelli per impedire il dilagare di pericolose devianze borghesi.
Non è la prima volta che parliamo di Dario Fertilio. Infatti, abbiamo recensito due suoi libri. Il primo, "Musica per Lupi" recensito tre anni fa. Il più recente - "Concerto per Carri Armati" - recensito nel settembre scorso. Il trait-d’union è l’Europa dell’Est.
Abbiamo posto qualche domanda all’autore.
Chi è Dario Fertilio?
Di professione sono giornalista al Corriere della Sera, di vocazione scrittore, di impegno pubblico attraverso i Comitati per le Libertà e il sito mutimediale www.Libertates.com cerco di dare un contributo al dibattito politico-culturale europeo. Mi definirei un liberale in economia, un conservatore nei valori, un riformista sul piano culturale, un federalista e libertario nei rapporti con lo Stato, un sostenitore della democrazia diretta nei rapporti con gli altri cittadini. Considero una delle cose più importanti che ho fatto la istituzione del Memento Gulag, la giornata della memoria alle vittime del comunismo e degli altri totalitarismi, che si celebra per libera iniziativa di istituzioni, associazioni e singoli cittadini, ogni 7 novembre.
Come mai questo interesse per l’Europa dell’Est?
Le origini della mia famiglia sono dalmate, precisamente di Brazza, l’isola di fronte a Spalato. La cultura che mii caratterizza è mitteleuropea, dal punto di vista linguistico, culturale, dei sentimenti e degli interessi. Per questo mi sento attratto, e a casa, all’interno di questo mondo.
A proposito di Europa dell’Est, tale definizione è ancora valida?
Non lo è più, da quando il Muro di Berlino è caduto. Sono convinto che oggi, quando si parla di centro Europa, si debba intendere non solo l’asse tradizionale Trieste-Leopoli, ma più largamente comprendere Ucraina, Rutenia Bianca o Bielorussia, Romania e Moldova, e financo Lituainia e Lettonia, oltre naturalmente Koenigsberg. I legami che uniscono questi popoli, in futuro, quando molti miti statali saranno caduti, torneranno a proporsi in primo piano.
Da quali esigenze di fondo nasce il suo ultimo lavoro “Concerto per Carri Armati”?
Si tratta anzitutto di un omaggio a Praga, che ho conosciuto negli anni del comunismo e il cui ricordo conservo come un bene prezioso. Poi di un omaggio a Vaclav Havel, un grande drammaturgo e un grande uomo che ha saputo incarnare e fondere quello che è il mio ideale assoluto: forza estetico-culturale e impegno pubblico politico.
La storia dell’Europa dell’Est ci ha fin troppo abituati agli interventi delle nazioni per così dire “amiche”…
Le piccole nazioni, i piccoli popoli e le culture del Centro Europa hanno pagato un prezzo altissimo al Novecento, a volte anche per loro colpa. Nazionalismi e regimi totalitari come il comunismo e il nazionalsocialismo hanno lasciato dietro di sé, oltre alle cicatrici cingolate dei carri armati, miseria, depressione, prostituzione, alcolismo e in generale corruzione.
La brevità del testo aiuta ad evidenziare il dramma della narrazione.
Ho cercato, in questa mia prima prova drammaturgica, di rifarmi oltre che a Havel, sempre molto breve nelle sue pièces, all’ironia dissacrante di uno Hasek o di un Karl Kraus. A mio giudizio, un dramma civile non deve impegnare troppo a lungo lo spettatore per essere efficace.
Come ha costruito il testo di “Concerto per Carri Armati”?
All’inizio avevo una sola idea precisa: al centro della scena doveva esserci il podio da cui dovevano intervenire i delegati del partito comunista cecoslovacco sotto assedio. Una circostanza così drammatica, che avrebbe portato molti dei presenti a una maturazione umana e politica, richiedeva d’essere equilibrata con una dose d’ironia grottesca e con l’aiuto di una vicenda personale, una storia d’amore quasi sempre in primo piano.
Ho notato una linea ironica che da unità a tutta la storia…
Come dicevo, l’ironia ha una funzione essenziale, e credo l’abbia sempre avuta nella cultura mitteleuropea dell’ultimo secolo, nella quale mi riconosco. Questo però non significa affatto nichilismo o distacco: al contrario, è una linea che corre in parallelo a quella del sentimento e del pathos, dell’esserci e del soffrire con i protagonisti. Niente di più lontano da me della “demistificazione” o della “denuncia” ,in voga oggi nei teatri e non solo, e che considero manieristica.
Quale il personaggio da lei ideato che le sembra il più realista?
Senza dubbio l’elettricista: non crede o non vuole credere alla possibilità di una rivoluzione delle coscienze: ma, una volta che essa avviene, comprende di pensare e sentire cose delle quali prima non era cosciente.
Non c’è forse una critica nei confronti della mastodontica organizzazione del tipico partito comunista dell’Europa dell’Est?
L’organizzazione dei Pc dell’allora Europa dell’Est rispondeva a una liturgia che appare oggi grottesca, ma che allora si muoveva ferocemente, annientando la persona umana. Il suo cuore segreto era il culto del potere per il potere, un culto ammantato di ideologia: si trattava di vere e proprie mafie di Stato.
A suo giudizio come si sta evolvendo l’Europa dell’Est? E’ una “palla al piede” oppure una grande opportunità per l’intera Europa?
E’ una grande opportunità, di fronte alla evidente involuzione dell’Europa occidentale verso un nuovo “cominformismo”: una ideologia che unisce elementi diversi (ne ho trattato in un articolo su Libertates) e che ha come comun denominatore l’egemonia, il radicalismo, la negazione delle radici e delle differenze, persino quelle tra i sessi. L’Europa Centrale, e anche quella Orientale slava, che hanno tanto sofferto sotto le dittature, hanno compreso così dolorosamente l’importanza di quei valori costati sangue, da poter costituire un modello per l’Occidente.
Cosa dovremo fare noi occidentali per supportare i processi democratici in quei paesi?
Sostenerli in tutti i modi, parlandone e scrivendone. E poi principalmente attraverso la Ue: se questa entità burocratica e partitocratica ha ancora un senso, esso risiede nel suo ruolo di garante e modello degli sviluppi democratici a Oriente.
In Slovacchia è stato eletto un governatore marcatamente nazista, un campanello d’allarme?
Il nazi-comunismo, che ha fra i suoi capostipiti in Janukovic, Lukashenko, Zilinovskij, e lo ha avuto in Milosevic, è uno sviluppo patologico che mette insieme certi aspetti virali dei due sistemi, uniti dall’ossessione del controllo e dalla spinta aggressiva verso l’esterno. Sono fenomeni da descrivere, denunciare e combattere con l’arma dell’impegno e delle idee.
Come mai noi europei abbiamo così tanti pregiudizi e preconcetti su chi proviene da quei paesi?
Perché non abbiamo vissuto certe situazioni, e una cultura banalmente globalistica e americaneggiante ci ha sottoposto a una specie di lavaggio del cervello. Ogni forma di cultura, di impegno politico, artistico e giornalistico è utile per correggerla e sconfiggerla. Spero che anche il “Concerto per carri armati” sia riuscito a portare la sua piccola pietra.
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