Sei all'interno di >> :.: Primo Piano | Lavoro |

Fiat e fumogeni

Con la disdetta del contratto, Marchionne cerca disperatamente una rivincita per mettere la Fiom in un angolo ed avere mani libere contro democrazia e diritti.

di Adriano Todaro - mercoledì 15 settembre 2010 - 2472 letture

Dunque, come avevamo scritto la volta scorsa, la Fiat è riuscita (diciamo pure senza sforzo) a convincere la Federmeccanica a disdire il contratto nazionale di lavoro approvato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori metalmeccanici e firmato il 20 gennaio 2008.

Una disdetta unilaterale, antidemocratica, ricattatoria. E che Federmeccanica sia in cattiva fede, lo si capisce quando il presidente, Pierluigi Ceccardi, dichiara ai giornalisti che la: “Fiat non ha spinto per niente”.

Non sappiamo cosa Ceccardi pensi della nostra intelligenza, ma certo che quella frase detta all’uscita della riunione, dimostra proprio il contrario. D’altronde Sergio Marchionne era stato, nel ricatto, molto chiaro: o così oppure la Fiat esce da Federmeccanica. In quella frase di Ceccardi c’è, però, anche un fondo di verità. La Fiat, infatti, da sempre, non ha bisogno di “spingere”. I suoi desiderata sono applicati sempre, sia dai governi di destra che di quelli di sinistra e, purtroppo, spesso, troppo spesso, anche con l’avallo dei sindacati.

E’ quello che viene chiamato “realismo politico”, ma che noi – che non capiamo nulla delle alchimie sindacali – ci ostiniamo a chiamare ricatto. Dividere o cercare di dividere i sindacati (e quindi i lavoratori), è sempre stato l’obiettivo dei padroni, da sempre. Eppure la divisione non ha mai prodotto la “pace sociale” nelle aziende. Ci sono momenti di riflusso e poi, improvvisamente, il conflitto torna prepotentemente alla ribalta.

Basterebbe ricordare cosa è avvenuto proprio alla Fiat negli anni Cinquanta e poi nel 1980. Ricordare, però, è una fatica e allora meglio e più riposante andare in Tv e ciarlare davanti a moderatori acquiescenti. Eppure il ricordo, la memoria, servirebbe a capire meglio quello che sta avvenendo oggi.

Il 23 marzo 1955 si vota per eleggere la Commissione interna alla Fiat. Vincono le liste foraggiate e appoggiate dal padrone torinese grazie alla paura dei licenziamenti, dei reparti confino, delle persecuzioni nei confronti dei militanti social comunisti. La Fiom passa da 32.885 voti a 18.921; la Cisl sale da 13.175 voti a 20.874; la Uil da 5.899 a 11.613 voti. E nel 1956 è peggio: la Fiom si riduce ancora; la Cisl raggiunge il 47,2 per cento dei voti: la Uil uno strabiliante 23,9 per cento. L’insuccesso della Fiom alla Fiat era il risultato delle menzogne, dei ricatti, delle schedature, dei sospetti e delle provocazioni antioperaie orchestrate da Luigi Cavallo. Eppure, solo dopo pochi anni, ci saranno grandissime lotte e altrettante conquiste.

Certo, non siamo così sprovveduti, da paragonare quegli anni con gli attuali non fosse altro perché a quel tempo si andava verso l’espansione dell’economia e oggi, invece, siamo in piena recessione. Nondimeno quei dati dovrebbero far riflettere i tanti soloni dell’antioperaismo, quelli che si definiscono “moderni”, quelli che bollano gli operai come “vetero”. Uno sport, questo, che purtroppo vede in prima linea anche appartenenti a partiti che si autodefiniscono di “sinistra”. E dovrebbero far riflettere anche le frasi pronunciate da Cesare Romiti e Innocenzo Cipolletta, due “padroni” non certo due comunisti.

Il primo, quello della marcia dei 40 mila, quello chiamato dagli operai torinesi “sciafela leun” (lo schiaffeggiatore di leoni) a significare la sua durezza, ha affermato che “Dividere i sindacati non conviene perché non aiuta a sconfiggerli”. E Innocenzo Cipolletta ex direttore generale della Confindustria ha sottolineato che “La strada dei contratti separati senza la Fiom genera conflitto e dunque non va percorsa”. Commenta Giorgio Airaudo, segretario piemontese Fiom, uno che ha passato la vita fra i metalmeccanici: “La nostra preoccupazione più grande è la crisi e come uscirne, non quello che decide Federmeccanica e l’idea che si pensi di uscirne riducendo salari e diritti e aumentando gli orari è un’idea non originale che non ha prodotto risultato ma aumentato la conflittualità. Per questo non capisco perché Federmeccanica cerca il conflitto”.

Già, perché cerca il conflitto? Perché il “moderno” Marchionne, dopo la delusione del truccato referendum di Pomigliano, vuole prendersi una rivincita nei confronti della Fiom. Con la disdetta del contratto del 2008 e con la convocazione solo dei sindacati amici, tenterà quello che non è mai riuscito a nessuno: decidere chi deve lavorare nella “sua” fabbrica, quante ore fare, quanti straordinari, quando è ora di mangiare. Eliminare diritti e democrazia che sono dei laccioli alla libera impresa appoggiato, in questo, dall’intero governo che addirittura ritiene che la 626, la legge antinfortunistica, sia “un lusso” che non possiamo permetterci.

Quando ha acquistato la Chrysler, racconta Loris Campetti sul manifesto del 9 settembre scorso, rivolgendosi al responsabile dei sindacati, Marchionne ha fatto presente che i sindacati avrebbero dovuto accettare una “cultura della povertà abbandonando la cultura dei diritti acquisiti”. E’ questo che vuole Marchionne che fa da apripista. Se passa la Fiat, i contratti separati passeranno da tutte le parti. Marchionne ha un salario di 4-500 volte superiore ai suoi operai. Stringe la cinghia dei lavoratori e distribuisce utili agli azionisti. E’ questo il “moderno” modello sociale che si vuole perseguire?

E a proposito di modernità, racconta Giovanni Barozzino, uno dei licenziati di Melfi: “La Fiat ha deciso di pagarci lo stipendio impedendoci però di lavorare e al tempo stesso si rifiuta di acquistare un defibrillatore che consenta di salvare un lavoratore colpito da infarto”. E’ già successo poche settimane or sono: un operaio di Melfi, colpito da infarto, è morto. Forse anche ci fosse stato il defibrillatore moriva ugualmente. Chissà? Chi può dirlo? Comunque questa macchina a Melfi non c’era e non c’è.

In questo contesto si è aggiunta la contestazione a Raffaele Bonanni alla festa nazionale del Pd di Torino che arriva dopo la contestazione al presidente del Senato Schifani e, ricordo, anche a Marcello Dell’Utri a Como. Contro Bonanni è stato lanciato anche un fumogeno ed una ragazza è stata denunciata come autrice del gesto.

Qua, su questo episodio, ho sentito e letto le ipocrisie più terribili, la solidarietà pelosa, le cronache che raccontavano solo parte di quello che è avvenuto. Dalle cronache, infatti, sono sparite le due sedie lanciate dal servizio d’ordine della Cisl nei confronti dei contestatori che non erano solo del centro sociale, ma erano anche operai della Fiat.

Non mi piace la violenza. Sono sempre sceso in piazza a manifestare contro. Quello che però chiedo ai vari commentatori politici è se hanno mai lavorato o visto una fabbrica, se hanno provato nella loro esistenza ad avere problemi di lavoro, se sono mai stati in cassa integrazione, se sono mai stati precari, se hanno mai provato a non sapere più cosa fare per riuscire a pagare l’affitto, il mutuo, i servizi?

Questo autorizza la violenza? Lanciare fumogeni? Certo che no. Ma come si fa a dare degli “squadristi” a coloro che ogni giorno debbono combattere con questi problemi? Si rendono conto questi ciarlatani che i lavoratori non hanno voce e per farsi notare debbono andare sui tetti, sulle gru, fare lo sciopero della fame? Loro, invece, non hanno questi problemi e hanno a disposizione le poltroncine bianche di “Porta a porta” e delle altre trasmissioni per raccontare palle agli ascoltatori, per fare le solite promesse, per litigare, fintamente, fra loro. In televisione abbiamo sentito urlare che i magistrati erano “assassini” e non è successo nulla. E in Tv ci vanno tutti quelli che hanno pendenze con la giustizia, nani e ballerine, inquisiti e condannati definitivamente. Si parla di tutto, ma non dei problemi reali delle persone. Per mesi ci siamo dovuti sorbire il terribile dilemma se Fini sapeva o no della casa a Montecarlo. E ancora: perché mai alle feste popolari sono invitati padroni e sindacati amici dei padroni e non gli operai?

Ora si dice che bisogna “abbassare i toni”. Lo si dice in generale, a tutti, ma in realtà i toni devono essere abbassati soltanto dai lavoratori che non si rassegnano al ricatto continuo.

Un brutto episodio, certo. Ma è brutto anche non avere più lavoro, mendicare una raccomandazione dal potente di turno, dal mafioso. E’ brutto anche quando ti tagliano la fornitura del gas o della luce, quando ti sfrattano perché non puoi pagare. E’ stata una contestazione violenta? Certo. Ma quello che succede nelle fabbriche cos’è, non è forse violenza? E quando ogni giorno 3, 4 lavoratori non tornano più a casa perché muoiono in cantieri e fabbriche cos’è questa, non è forse violenza?

Sabato 11 settembre sono morti tre operai a Capua e uno a Pescia mentre lavoravano. Cos’è questo? E’ forse un episodio ammantato di dolcezza? State pur sicuri che questi tre saranno presto dimenticati come tutti gli altri prima di loro mentre i giornali scriveranno ancora del “giubbotto” trafitto di Raffaele Bonanni che è diventato una specie di sindone. Pagine e pagine sono state dedicate all’episodio di Torino (due pagine il Corriere, tre Repubblica ecc.). Quante ne dedicheranno ai quattro, uccisi per la mancanza di sistemi di sicurezza? Quanti quotidiani scriveranno che a Melfi non esiste un defibrillatore?

So che su questo tema non sono “politicamente corretto”. Ma quando leggo certe dichiarazioni come quella dell’ex socialista Maurizio Sacconi, oggi ministro berlusconiano al welfare a proposito della disdetta Fiat, m’incazzo ancora di più. Questo ministro, che dovrebbe essere super partes, sposa, invece, decisamente la tesi di Marchionne: “La disdetta da parte di Federmeccanica del contratto 2008 – detta alle agenzie di stampa – non ha alcuna valenza sostanziale per i lavoratori, che sono protetti dal ben più conveniente contratto dell’ottobre 2009 sottoscritto da Cisl, Uil, Ugl e Fismic”.

Sacconi si guarda bene dal dire che quel contratto non è mai stato sottoposto al parere dei lavoratori. Ma si sa, sono i lavoratori gli antidemocratici, non i padroni e i loro servi.

Ecco perché non mi posso schierare con il coro imperante di questi sepolcri imbiancati. Ha dichiarato il sindacato Pd di Torino Sergio Chiamparino a Repubblica, subito dopo la contestazione a Bonanni: “Vince troppo spesso la pancia anche tra di noi”. Forse il sindaco di Torino e aspirante a leader nazionale del centrosinistra dovrebbe proprio chiedersi perché. Forse perché la pancia comincia ad essere vuota?

E’ proprio vero quello che affermava Nanni Moretti diversi anni or sono: “Con questi dirigenti non vinceremo mai”.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -