Comiso vent’anni fa
Vent’anni fa Giuseppe Fava raccontava Comiso ai siciliani: "Sarebbe tempo che imparassimo ad essere padroni del nostro destino storico, delle cause civili e umane...
di Giusseppe Fava
Voglio fare un discorso corretto e sereno sui siciliani, premettendo naturalmente che io sono perfettamente siciliano. Un discorso sulla stupidità dei siciliani. Noi affermiamo spesso di essere straordinariamente intelligenti, quanto meno di avere più fantasia e piacere di vivere, rispetto a qualsiasi altro popolo della terra. Non è vero! La storia è là a dimostrarlo. Da migliaia di anni siamo semplicemente terra di conquista, gli altri arrivano, saccheggiano, stuprano, costruiscono qualche monumento, ci insegnano qualcosa, e se ne vanno. Noi ci appropriamo di una parte di quella civiltà, a volte diventiamo anche i custodi del tempio, in attesa che arrivi un’altra ondata saccheggiatrice. Siamo quasi sempre colonia per incapacità di essere veramente popolo. Presi i siciliani ad uno ad uno, può anche accadere che taluno riesca ad esprimere (nella poesia, nel delitto, nella finanza, nell’arte) attimi di ineguagliabile talento. Sono quelli che ci fottono, che ci danno l’impressione, spesso la certezza, di essere i migliori. Nella realtà, presi tutti insieme, siamo quasi sempre un popolo imbecille. L’ultimo monumento civile che gli altri stanno erigendo nella colonia Sicilia, sotto lo sguardo inerte degli indigeni, sono le rampe per i missili atomici. Discutiamone per un istante poiché si tratta della nostra vita e soprattutto di quella dei nostri figli. La guerra nucleare è come un assassinio mafioso: non si dichiara, ma si esegue, cioè si scatena senza preavviso e nel momento più imprevedibile. Accade che una delle due parti, nella disperazione di essere condannata alla sconfitta, o nell’illusione di poter fulmineamente annientare il nemico e vantare alla fine una popolazione superstite, decida l’aggressione atomica. La quale naturalmente deve essere totale e contemporanea, cercando anzitutto di colpire e distruggere il maggior numero di strutture belliche avversarie. Anche questo è un perfetto principio mafioso: mai dare uno schiaffo al rivale, né sparargli alle gambe, ma mirare direttamente al centro degli occhi in modo da non correre nessun rischio di reazione.
A sua volta la nazione aggredita ha una sola possibilità di sopravvivenza: incurante cioè delle sue città annientate e dei suoi milioni di morti, reagire quanto più fulmineamente e spaventosamente possibile, cercando di colpire subito gli obiettivi essenziali dell’avversario, anzitutto naturalmente le strutture di offesa nucleare. Anche questo rientra nella perfetta logica della lotta: tu mi spari al centro degli occhi, prima di morire debbo disperatamente tentare di spararti al cuore. L’ipotesi di una guerra nucleare è questa soltanto: una reciproca, folgorante distruzione delle rispettive strutture atomiche e delle grandi città, dopo di che, gli eserciti tradizionali, in tute d’amianto e piombo, cominceranno lentamente ad avanzare, eliminando pietosamente gli agonizzanti e imprigionando i superstiti. Tutti sanno questo. Da quarant’anni migliaia di scienziati, generali e politici lavorano a perfezionare questo progetto di distruzione contemporanea e totale sicché è assolutamente certo che in Russia e America hanno raggiunto in tal senso la perfezione: oramai sono in condizione nel giro di due minuti di colpire gli obiettivi essenziali del nemico ed essere annientati. Il tutto completamente computerizzato: all’essere umano non resta neanche il compito di premere il fatidico pulsante. Per gli esseri viventi i cervelli elettronici hanno calcolato esattamente il tempo di farsi la croce.
Ciò premesso, per capire esattamente la situazione siciliana, valutare cioè il significato dell’impianto dei missili nucleari in Sicilia, sarebbe opportuno immaginare (ma non ci vuole molta fantasia) la cronaca di quanto accaduto un giorno imprecisato dello scorso agosto, poco prima di mezzogiorno a Mosca, in uno dei misteriosi sotterranei del Cremlino (a prova di offesa atomica, naturalmente, poiché i capi politici ed massimi strateghi, siano essi duri capitalisti reganiani, oppure cupi marxleninisti, hanno provveduto per tempo e perfettamente alla loro incolumità e scamperebbero certamente all’apocalisse atomica, salvo poi essere impiccati dai vincitori o, alla meglio, essere divorati da qualche affamata banda di superstiti). Ebbene in quel mattino dell’imprecisato giorno d’estate, al Cremlino si è riunito un vertice strategico al quale hanno partecipato ministri della guerra, marescialli e scienziati. Dall’Italia era arrivata notizia che erano stati concessi i primi appalti per la costruzione della base di missili nucleari a Comiso. La notizia precisava che gran parte degli appalti erano stati concessi a cavalieri del lavoro, siciliani e settentrionali, e questo particolare aveva fatto una grande impressione, perché anche al Cremlino è giunta voce della straordinaria bravura e rapidità dei cavalieri nell’esecuzione delle opere pubbliche. Su una parete del grande salone sotterraneo moscovita si stendeva la mappa dei due emisferi, sulla quale Comiso era indicata come un puntolino rosso luminoso in mezzo all’azzurro del Mediterraneo.
La riunione è stata lunga e approfondita. Politici e militari sovietici hanno esaminato tutti gli aspetti della situazione, al fine di indicare quali obiettivi in terra russa i missili siciliani potrebbero eventualmente colpire e, viceversa, da quali basi sovietiche l’impianto di Comiso poteva essere raggiunto e distrutto nel più breve tempo possibile. Pare che dieci missili a testata atomica bastino. Si tratta di stabilire esattamente traiettorie e rotte, roba che i sofisticatissimi congegni elettronici di punteria possono decifrare in pochissimo tempo. Comunque alla fine è stato deciso di affidare a una équipe scientifico-militare il compito di mettere perfettamente a punto entro due anni (cioè prima che la costruzione della base sia completata) una struttura offensiva che da basi di terra e dal fondo del mare, per mezzo di sommergibili atomici, o forse anche dallo spazio dagli imminenti satelliti nucleari, possa concentrare su Comiso (guerra offensiva o reattiva, non importa) un uragano nucleare in meno di novanta secondi. Nei calcoli è prevista una approssimazione del dieci per cento, il che significa che, per avere la certezza di distruggere la base di Comiso nel raggio di dieci chilometri, viene prevista una distruzione dell’area circostante, per il raggio di cento chilometri. Vale a dire da Messina a Capo Passero. Circa trecento fra città e paesi e tre milioni di abitanti.
L’équipe sovietica si è messa subito al lavoro. Scienziati e militari designati accoppiano la disciplina cieca del buon marxista alla paziente fantasia della gente russa. In questo momento dunque in un laboratorio misterioso del territorio russo, c’è un team di tecnici e strateghi che sta lavorando esclusivamente a questo progetto: un sistema di offesa nucleare che, in meno di cento secondi, possa infallibilmente uccidere tre milioni di siciliani in mezzo a ai quali ci onoriamo di essere io che scrivo e voi che leggete, i nostri genitori, fratelli, figli, amici, ed anche le case dove nascemmo, le strade dove camminammo, i nostri libri pazientemente raccolti, le fotografie di tre generazioni, il diploma di laurea, il libretto di risparmio e tutte quelle altre infinite, minuscole, preziose cose che compongono la nostra vita. Da quel giorno d’estate, mezza Sicilia, quelli che siamo vivi e quelli che nasceranno, sarà costretta a vivere con questa ipotesi di morte atomica sopra la testa, un’apocalisse che forse non si verificherà mai, e tuttavia niente esclude che possa accadere (anche per errore) da un momento all’altro in meno di cento secondi. Si sono appropriati di una parte di noi e anche di una parte dell’amore per i nostri figli. Un giorno accadrà che che i nostri figli o nipoti che ancora debbono nascere ci guarderanno negli occhi con un sorriso sprezzante, e ci chiederanno: voi dove eravate quando fu deciso di costruire la base dei missili a Comiso e e condannarci quindi a una vita provvisoria. Come vi siete permessi di appropriarvi anche del nostro destino umano prima ancora che fossimo concepiti. Un essere umano afflitto da un’atroce inguaribile deformità, il quale apprende che il padre per sapendo che sarebbe stato malato, deforme, infelice, volle tuttavia egualmente farlo nascere, ha il diritto di sputare in faccia al padre.
E mentre tutta questa cosa terribile accade, la nostra massima reazione è stata una lamentosa protesta all’assemblea regionale, i politici siciliani si sono intabarrati nel loro impaurito silenzio, i sindacati nazionali disposti a battersi soltanto per le "una tantum", sono rimasti in stato di ebetitudine, migliaia di buoni ragusani hanno espresso soprattutto la loro preoccupazione sull’equo prezzo degli espropri per gli impianti militari, altri stanno febbrilmente organizzando qualche buona iniziativa commerciale, alberghi, villaggi turistici, balere, ristoranti tipici (da quelle parti si fa la migliore salsiccia del mondo) per la popolazione dei militari che presiederanno la base. Inutile indignarci se da cento anni lo Stato italiano ci tratta da colonia. Per incapacità politica, per strafottenza popolare, troppo spesso meritiamo di esserlo. E invece sarebbe tempo che imparassimo ad essere finalmente padroni del nostro destino storico, specie quando coincide con una grande causa civile ed umana.
da I Siciliani, gennaio 1983
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