Lo"Spazio letterario" di Maurice Blanchot: percorso di lettura e interpretazione, di Attilio Viena

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4. Il neutro e l'immaginario

La parola letteraria si muove, dunque, nel neutro ed è essa stessa neutra. E la scrittura non nasce da un rapporto felice con le cose, ma rompe con esso per entrare nel regno dell'immagine. Di questo regno l'opera letteraria è espressione; l'esteriorità radicale che Blanchot attribuisce all'opera in rapporto al mondo si richiama, infatti, all'immaginario, come allo spazio fittizio in cui l'opera stessa ha luogo.
Va subito sottolineato che in tutti i testi di Blanchot, sia letterari sia critici, si trova traccia della separazione tra reale e immaginario. In effetti, la meditazione sulla letteratura e l'arte in generale presuppone nell'autore, come sostiene J. Pfeiffer, una soggiacente meditazione sull'immaginario (15).
Nella riflessione blanchotiana l'immagine non viene considerata come copia della realtà, come coordinata ad essa, ma è pensata in termini assoluti. L'autore chiarisce questo concetto analizzando il tema dell'oggetto in relazione al suo uso quotidiano. L'oggetto scompare completamente nell'uso: al nostro agire, infatti, è indispensabile servirsi dell'oggetto, non conoscerne l'essenza. Affinché l'oggetto appaia e si manifesti realmente bisogna che un'anomalia lo faccia uscire dal mondo (16). In altri termini, quando un difetto lo sottrae al rapporto d'uso che lo caratterizza nei confronti del soggetto, l'oggetto si trasforma in immagine. Carattere peculiare dell'immagine è l'inutilità, dal momento che nei suoi confronti non ci è consentito alcun rapporto di azione o comprensione. L'immaginario, tuttavia, esercita una forza attrattiva ed ha, al contempo, un potere spaesante; l'immagine, infatti, impegna colui che vi si approssima privandolo della sua facoltà di agire e perfino della sua identità. Se la regione del reale esige la distanza dalle cose affinché sia possibile servirsi delle cose stesse, l'immagine annulla questa distanza sostituendosi ad essa. Non solo, dunque, l'immagine è eterogenea rispetto alla realtà, ma la sua presenza comporta anche una modificazione dei nostri normali rapporti col mondo (17).
Forma esemplare di immagine è costituita dalla spoglia cadaverica, poiché essa sottolinea con drammatica evidenza la perdita di realtà che il darsi dell'immagine comporta. Come nota opportunamente W. Tommasi, l'autore individua un'importante analogia tra la parola e il cadavere (18). La parola sottrae l'oggetto che nomina alle sue ordinarie relazioni col mondo per consegnarlo all'assenza. L'oggetto è presente nella parola e nell'immagine, ma al contempo, essendo stato nominato, è sottratto a se stesso. Analogamente il cadavere, benché situato in un luogo preciso e definito, si trova in un non - luogo perché sottratto alle categorie della nostra esistenza nel mondo. La spoglia cadaverica rende manifesto ciò che si nasconde nella parola e nell'immagine, ossia l'essere presente come parte del linguaggio e nello stesso tempo l'essere altrove, in uno spazio indefinito che possiamo chiamare il "fuori". Il cadavere è il simile, simile ad un grado assoluto, ossia rassomiglianza e niente più. La concezione ordinaria della somiglianza pone in relazione due termini distinti; la somiglianza del cadavere, invece, rimane circoscritta al cadavere stesso. Il cadavere e l'immagine rappresentano ciò che resta, rispettivamente, dopo l'uomo e dopo l'oggetto.
Caratteri fondamentali e ineliminabili del darsi dell'immagine sono la perdita del luogo e del tempo e la prossimità alla morte. Si è precedentemente osservato come il mutamento della dimensione spazio - temporale derivi dal carattere disorientante dell'immagine. Quanto al rapporto intercorrente tra l'immagine e la morte, vanno qui richiamate le considerazioni fatte sulla relazione tra il linguaggio e l'essere. La parola fa violenza alla cosa che nomina per possederla e dunque, in un certo senso, la uccide. Ciò vale per il linguaggio come tale e in modo particolare per la parola letteraria, che vive nello spazio dell'immagine e di tale spazio è espressione. E l'immagine altro non è che la cosa privata di se stessa, ossia morta come cosa. Ecco sinteticamente ricostruito lo stretto legame intercorrente tra spazio letterario, immagine e morte, legame che, peraltro, lo stesso Blanchot rende spesso esplicito nei suoi testi. L'opera e la morte rappresentano l'estremo; e l'arte è precisamente padronanza dell'estremo. Non si può scrivere se non mantenendo il dominio di sé davanti alla morte, se non dopo aver stabilito con essa un rapporto di sovranità. Un'atmosfera di morte pervade di frequente gli scritti blanchotiani, soprattutto quelli letterari: i personaggi, gli ambienti, le situazioni paiono devitalizzati, sospesi tra l'essere e il non - essere, indubbiamente più prossimi a uno spazio di morte che di vita (19). Tutto è immagine e l'immagine si colloca nella regione di confine tra il reale ed il fuori; posizione ambigua, da cui deriva la inesorabile ambiguità che caratterizza il rapporto con l'immaginario.

Note

15) Cfr. J. PFEIFFER, La passion de l'imaginaire, "Critique", n. 229 (1966), pp. 571 - 578; poi ripubblicato in SL, La passione dell'immaginario, trad. it. di G. Fofi, pp. IX - XVI.
Nel suo studio, Pfeiffer afferma che riguardo alla natura specifica dell'immagine la sola cosa che Blanchot può dire è che essa si sottrae, esattamente come il neutro. A giudizio di Blanchot, non esiste un mondo dell'immaginario, che possa accompagnarci parallelamente al nostro. E, tuttavia, l'immaginario ci pervade nella nostra esistenza come un "altrove" che certamente ce ne distoglie, ma dal quale, al contempo, non possiamo distoglierci. L'immaginario è letteralmente, per Blanchot, "l'altro di ogni mondo."

16) Cfr. SL, p. 139.
Sempre in SL, a p. 223, Blanchot spiega: "La cosa era là, l'afferravamo nel movimento vivo di un'azione comprensiva, - e, divenuta immagine, istantaneamente eccola divenuta l'inafferrabile, l'inattuale, l'impassibile, non la stessa cosa allontanata, ma questa cosa come allontanamento, la presenza nella sua assenza, l'afferrabile perché inafferrabile, che appare in quanto sparita,…" Fra oggetto ed immagine si instaura un rapporto di somiglianza; questo rapporto è possibile perché l'immagine è già presente nella realtà stessa: la realtà non è soltanto ciò che è, ma anche il suo doppio. Un interessante approfondimento di questo problema si trova in G. COMOLLI, Il volto delle cose. Intorno alla questione dell'arte in Emmanuel Lévinas, "Aut Aut", n. s., n. 209 - 210 (1985), pp. 219 - 236.

17) Cfr. SL, p. 229: "…nella regione dell'immagine la distanza ci tiene, questa distanza che è allora profondità non viva, indisponibile, lontananza inapprezzabile divenuta come la potenza suprema e ultima delle cose."

18) Cfr. Op. cit., pp. 70 - 72. Si veda anche ID, Tecnica e scrittura. Il mito della fine in Maurice Blanchot, "Il Centauro", n. 6 (1982), pp. 153 - 163.

19) Cfr. in particolare M. BLANCHOT, La sentenza di morte, trad. it. di G. Pavanello e G. Rossi, Milano, 1989, e ID., L'attesa, l'oblio, a cura di M. De Angelis, Milano, 1978.

 

 

 

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