1. La solitudine essenzialeMi sembra opportuno avviare questo studio esaminando i caratteri che Blanchot individua nel prodotto artistico in generale e nell'opera letteraria in particolare. All'inizio de Lo spazio letterario, Blanchot sostiene che "apprendiamo qualcosa intorno all'arte quando sperimentiamo ciò che la parola solitudine vorrebbe designare" (1). La solitudine riguarda l'opera in sé, il suo autore ed anche il destinatario. Non si tratta di un isolamento compiaciuto, ma di un raccoglimento profondo che Blanchot chiama "solitudine essenziale". L'attributo essenziale va inteso nel senso di sostanziale, effettivo. L'opera esige la solitudine essenziale e ne è al contempo essa stessa espressione. Riflessione quasi analoga viene sviluppata da Lévinas, per il quale l'opera è chiusa in una solitudine assoluta e invalicabile. Tuttavia, mentre Lévinas accentua questo carattere di chiusura dell'opera su di sé, che limita notevolmente la possibilità di un effettivo rapporto con essa, Blanchot non considera la solitudine dell'opera un ostacolo alla sua comunicazione. La solitudine essenziale si pone, anzi, come connessione tra autore e lettore: essi si incontrano, per così dire, nello spazio solitario dell'opera. L'autore appartiene al "prima dell'opera", ossia al tempo e al luogo dell'ispirazione: "(l'autore) appartiene a ciò che è sempre prima dell'opera" (2). L'opera lo accomiata, fa di lui il superstite: fra autore ed opera si determina una sorta di estraneità. Questo motivo viene frequentemente riproposto negli scritti di Blanchot: basti qui ricordare che ne Il libro a venire egli fa suo il giudizio di Mallarmé, per il quale "l'opera non rimanda a qualcuno che l'abbia fatta, (ma è) una decisione indipendente dall'iniziativa di un certo individuo privilegiato" (3). Soltanto il lettore, ossia il destinatario dell'opera, può conoscerla davvero, può autenticamente entrare in contatto con essa.Note[1] SL, p. 7. [2] SL, p. 10. [3] LV, p.198. ContestoMaurice Blanchot |