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Se il comunismo è un’astronave alla deriva

Proletkult / Wu Ming. - Torino : Einaudi, 2018 ; prima edizione. - 333 p., [VII], br. ; 21,7 cm. - (Stile Libero Big). - ISBN 978-88-06-23694-6.

di Sergej - mercoledì 16 gennaio 2019 - 4857 letture

Nella Russia del primo Novecento c’era un uomo che batteva Lenin a scacchi, uno era stato il primo a tradurre Il Capitale di Marx in russo, e veniva considerato dai bolscevichi russi come il capo del Partito. Uno dei meriti di Proletkult è quello di riportare sul tavolo politico una delle linee alternative al marxismo-leninismo così come si è poi sviluppato nella storia del Novecento. Per una volta tanto non si tratta né della linea troskista né di quella anarchico-spagnola. Rileggere Bogdanov può non essere un esercizio peregrino - fermo restando che lui si muoveva in un mondo che era contrassegnato dalla mancanza di strutture democratiche di partecipazione; e dalla presenza di vaste moltitudini inserite all’interno del modo di produzione capitalistico - quegli animali ormai estinti nell’oggi che un tempo venivano chiamati “operai”.

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Proletkult di Wu Ming, copertina del libro

Mentre Lenin era “un geniale opportunista” (come diceva Lunačarskij), a Bodganov si debbono alcune delle posizioni filosoficamente più interessanti e politicamente più persuasive - dove pratica e pensiero vanno di pari passo - di quel gruppo di attivisti che tra il 1905 e il 1917 visse l’esilio dalla Russia dopo la fallita insurrezione del 1905. A lui e a Gork’ji si deve la scuola politica di Capri e di Bologna, che pose in concreto il “che fare” dell’azione politica che il marxismo russo elaborò in quegli anni. Un filone, quello bogdanoviano, che sarà subito interrato dall’azione politica di Lenin che certamente non poteva permettere ci fosse qualcun altro al posto suo alla testa del partito. La linea bodganoviana passò così in secondo piano, e Bogdanov ebbe la fortuna di morire prima di vedere i devastanti effetti della nuova linea staliniana, che si impose alla morte di Lenin. Del vecchio gruppo dirigente si salverà solo Aleksandra Kollontaj, in esilio diplomatico nei paesi scandinavi - una che aveva capito che l’alternativa sarebbe stata essere linciata come Rosa Luxemburg [1] o finire in un gulag. Gli altri passarono tutti sotto il rullo compressore staliniano, e nessuno di essi si salvò.

L’Italia è stato un Paese di frontiera. Nel dopoguerra abbiamo avuto la fortuna di dover sostenere la vetrina democratica, che poteva permettersi il lusso persino di avere - all’interno - il partito comunista più numeroso e politicamente moderato dell’Occidente capitalistico. Uno spazio di libertà intellettuale (anche se pur sempre vigilata), che ha consentito di poter pubblicare ad es_ le opere eretiche di Gramsci, che ha permesso il lavoro intellettuale di migliaia di militanti. Dopo la morte di Bogdanov e l’inizio dello stalinismo, sul suo pensiero calò il silenzio. Proprio la cultura marxista italiana fu uno dei pochi spazi in cui si tornò a leggere di Bogdanov, negli anni Settanta, grazie alla fondamentale Storia del Marxismo edita da Einaudi, coordinata da Eric Hobsbawm. Nel secondo volume, il fondamentale saggio di Jutta Scherrer [2].

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Bogdanov (a destra) gioca a scacchi con Lenin sotto lo sguardo di Gorkij, col cappello di traverso e Anatolij Lunačarskij, seduto a fianco di Lenin, a Villa Monacone, Capri, nel 1908

Ma il libro di Wu Ming è interessante anche per l’altro aspetto che, della vita e dell’opera intellettuale di Bogdanov, viene valorizzato: il filone fantascientifico - per il quale Bogdanov è stato tra i più letti e interessanti autori russi del Primo Novecento - con i romanzi La Stella Rossa (Красная звезда Krasnaja zvezda, 1908), e L’ingegner Menni (Inžener Menni, 1912).

Il romanzo di Wu Ming funziona dal punto di vista della trama e del plot. Meno convincente risulta il romanzo dal punto di vista del riuscire a trasmettere la caratterizzazione dei personaggi. A parte la figura molto bella di Denni, e quella un po’ in ombra di Bodganov - ma ricordiamo che Bogdanov è qui poco più che un avatar, colto nella parte finale della sua vita -, mi sembra che l’espediente dell’incontro di Bogdanov, all’interno della sua ricerca politica ed esistenziale, con i vecchi amici/compagni di un tempo riesca un po’ meno. Figure sbiadite, che scivolano via - quasi oniriche. Persino nel doppio incontro con Kollontaj sembra mancare l’energia. Bogdanov non è nell’inferno stalinista, ma è ormai già fuori dalla storia e quelli che incontra sono solo fantasmi.

Più che l’interesse per il romanzo in sé, Proletkult importa per ciò che ci indica - del passato, e di noi oggi. Quelle alternative indicate nella pratica politica di Bogdanov e che potrebbero forse trovare un senso nel nostro oggi. A partire dalla pratica del lavoro intellettuale, della necessità della scuola politica - attitudini e pratiche scomparse nella sinistra italiana almeno dagli anni Ottanta ad oggi. La necessità di ritrovare un referente di classe, il "chi sono" gli operai di oggi; il "che fare" dell’oggi, quale pratica di solidarietà e rivoluzionaria tornare a percorrere; e quale proletkult reale intraprendere.

Possiamo leggere questo Proletkult come un libro di fantasmi, oppure come il riaffiorare, dal nostro collettivo passato, di un inconscio che avevamo rimosso, una linea della storia che avrebbe potuto essere e non è stata, ma che contiene ancora elementi che potrebbero servire come legni galleggianti cui aggrapparci a mo’ di salvezza nel naufragio collettivo che ha affondato la nostra cosmonave.


Silloge del libro

Mosca, 1927. Che le proprie storie si mescolino alla realtà fino al punto di prendere vita: non è questo il sogno segreto di ogni narratore? È ciò che accade ad Aleksandr Bogdanov, scrittore di fantascienza, ma anche rivoluzionario, scienziato e filosofo. Mentre fervono i preparativi per celebrare il decennale della Rivoluzione d’Ottobre e si avvicina la resa dei conti tra Stalin e i suoi oppositori, l’autore del celebre Stella Rossa riceve la visita di un personaggio che sembra uscito direttamente dalle pagine del suo romanzo. È l’occasione per ripercorrere le tappe di un’esistenza vissuta sull’orlo del baratro, tra insurrezioni, esilio e guerre, inseguendo lo spettro di un vecchio compagno perduto lungo la strada. Una ricerca che scuoterà a fondo le convinzioni di una vita.

«Si dirigono all’uscita, passando tra i modelli esposti. I diversi razzi sembrano rivelare la provenienza dei loro progettisti. Quello di Max Valier, sudtirolese, è un fuso di metallo e volontà tedesca, con due ali tozze, simili a braccia, ognuna terminante in un missile aguzzo. L’astronave di Federov è una balena di latta, piena di misteriosi diverticoli e trombe estroflesse, che ci s’immagina navigare malinconica e russa verso altre galassie. Il siluro lunare di Goddard è un proiettile gigante, senza fronzoli, pragmatico e yankee. I velivoli di Esnault-Pelterie sono farfalle di eleganza francese, mentre il razzo a quattro stadi con motore a doppia reazione, dell’italiano Gussalli, è barocco a partire dal nome».

«Bogdanov immaginò di estrarre la rivoltella e sparargli al cuore. Poi avrebbe legato l’ancora al cadavere, l’avrebbe rovesciato in mare e dietro al corpo avrebbe gettato la pistola. Le storie di Leonid Voloch sarebbero andate perdute per sempre in fondo al golfo. Il suo viaggio sul pianeta socialista sarebbe morto con lui. Un racconto filosofico. Un romanzo di scienza e di fantasia che nessuno avrebbe mai letto».


Su Bogdanov si può intanto partire con la relativa voce su Wikipedia.


[1] "La libertà solo per i sostenitori del governo, solo per i membri di un partito – numerosi quanto si vuole – non è libertà. La libertà è sempre e soltanto la libertà di chi la pensa diversamente”, aveva detto rivolgendosi contro Lenin e Trotsky. La socialdemocrazia tedesca di Kausky utilizzò i facinorosi della destra per operare l’uccisione di Luxemburg e Liebnecht.

[2] Jutta Scherrer, Bogdanov e Lenin: il bolscevismo al bivio, in: Storia del Marxismo, vol. 2, Torino, Einaudi, 1979, pp. 493-546. Importante notazione, ma quasi invisibile all’interno dell’opera, quanto presente nell’opera di Geymonat: cfr. Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano: Garzanti, 1972, vol. VI, pp. 104–105 nota 1


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