Critica dell’arte / di Platone

di Redazione Antenati - sabato 29 gennaio 2005 - 6241 letture

[597 a] - E il fabbricante di letti? Non dicevi poco fa che non costruisce la specie in cui diciamo consistere "ciò che è" letto, ma costruisce un determinato letto? - Lo dicevo, sí. - Se dunque non fa "quello che è" letto, non farà ciò che è, ma un oggetto che è esattamente come ciò che è, ma che non è. E chi asserisse che l’opera del costruttore di letti o di un altro operaio è cosa perfettamente reale, non rischierebbe di dire cose non vere? - Non vere, certamente, rispose; cosí almeno potrà credere chi si occupa di simili argomenti. - Allora non meravigliamoci affatto se anche questa opera è, rispetto [b] alla verità, qualcosa di vago. - No, certo. - Ebbene, ripresi, vuoi che, servendoci di questi medesimi esempi, ricerchiamo chi mai è questo imitatore? - Se vuoi ..., disse. - Questi nostri letti si presentano sotto tre specie. Uno è quello che è nella natura: potremmo dirlo, credo, creato dal dio. O da qualcun altro? - Da nessun altro, credo. - Uno poi è quello costruito dal falegname. - Sí, disse. - E uno quello foggiato dal pittore. Non è vero? - Va bene. - Ora, pittore, costruttore di letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di letti. - Sí, tre. - Ebbene, il dio, sia che non l’abbia voluto [c] sia che qualche necessità l’abbia costretto a non creare nella natura piú di un solo e unico letto, si è limitato comunque a fare, in unico esemplare, quel letto in sé, ossia "ciò che è" letto. Ma due o piú letti di tal genere il dio non li ha prodotti, e non c’è pericolo che li produca mai. - Come?, chiese. - Perché, ripresi, se ne facesse anche due soli, ne riapparirebbe uno di cui ambedue quelli, a loro volta, ripeterebbero la specie. E "ciò che è" letto sarebbe quest’ultimo, anziché quei due. - Giusto, [d] rispose. - Conscio di questo, credo, il dio ha voluto essere realmente autore di un letto che realmente è, non di un letto qualsiasi; né ha voluto essere un qualunque fabbricante di letti. E perciò ha prodotto un letto che fosse unico in natura. - Può darsi. - Vuoi dunque che lo chiamiamo naturale creatore di questa cosa, o con un titolo consimile? - È proprio giusto, rispose; perché sia questa sia tutto il resto l’ha fatto in natura. - E il falegname? Non dobbiamo chiamarlo artigiano del letto? - Sí. - E anche il pittore artigiano e autore di questo oggetto? - No, assolutamente. - Ma come lo definirai rispetto al letto? - Secondo me, disse, [e] l’appellativo che piú gli si addice potrebbe essere "imitatore dell’oggetto di cui quegli altri sono artigiani". - Bene, risposi. Allora chiami tu imitatore chi è artefice della terza generazione di cose a partire dalla natura? - Senza dubbio, rispose. - Tale sarà dunque anche l’autore tragico, se è vero che è un imitatore. Per natura egli è terzo a partire dal re e dalla verità. E tali saranno tutti gli altri imitatori. - Può essere. - Eccoci dunque d’accordo sull’imitatore. Ora veniamo al pittore. Dimmi: ti [598 a] sembra che egli cerchi di imitare il singolo oggetto in sé che è nella natura, oppure le opere degli artigiani? - Le opere degli artigiani, rispose. - Quali sono o quali appaiono? Fa ancora questa distinzione. - Come dici?, chiese. - Cosí: un letto, che tu lo guardi di lato o di fronte o in un modo qualsiasi, differisce forse da se stesso? O non c’è nessuna differenza, anche se appare diverso? E analogamente gli altri oggetti? - È cosí, rispose; appare diverso, ma non c’è alcuna differenza. [b] - Esamina ora quest’altro punto. A quale di questi due fini è conformata l’arte pittorica per ciascun oggetto? A imitare ciò che è cosí come è, o a imitare ciò che appare cosí come appare? È imitazione di apparenza o di verità? - Di apparenza, rispose. - Allora l’arte imitativa è lungi dal vero e, come sembra, per questo eseguisce ogni cosa, per il fatto di cogliere una piccola parte di ciascun oggetto, una parte che è una copia. Per esempio, il pittore, diciamo, ci dipingerà un calzolaio, un falegname, gli altri [c] artigiani senza intendersi di alcuna delle loro arti. Tuttavia, se fosse un buon pittore, dipingendo un falegname e facendolo vedere da lontano, potrebbe turlupinare bambini e gente sciocca, illudendoli che si tratti di un vero falegname. - Perché no? - Ma, mio caro, di tutti costoro si deve, credo, pensare cosí. Quando, a proposito di un certo individuo, uno venga ad annunziarci di avere incontrato un uomo che conosce tutti i mestieri e ogni altra nozione propria dei singoli specialisti, e tutto conosce piú [d] esattamente di chiunque altro, a tale persona dovremo replicare che è un sempliciotto e che con ogni probabilità ha incontrato un ciarlatano, un imitatore, da cui è stato turlupinato; e cosí gli è sembrato onnisciente, ma solo perché è lui incapace di vagliare scienza, ignoranza e imitazione. - Verissimo, disse. [...]

Repubblica, 597 a-598 d - (Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 427-429)


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