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Allora, comu finìu?

Girodivite e la libertà di stampa. Dieci anni di apprensione, continui periodici salassi di migliaia di euro per spese legali e ora anche 7.500 euro di spese processuali.

di Redazione - mercoledì 11 marzo 2015 - 5619 letture

Come tutti sapete, ci siamo trascinati negli ultimi 10 anni una causa intentata da Fiore & C , che si era risentito all’epoca per un articolo pubblicato dal nostro giornale, a firma Tano Rizza. L’articolo parlava del circuito turistico di Easy London.

Tano era stato a Londra usufruendo di tale servizio, e non si era trovato molto bene. Ne aveva scritto, per di più citando analoghe esperienze fatte da altri viaggiatori italiani - all’epoca c’erano decine di pezzi pubblicati su diverse testate e blog. L’incauto Tano aveva però utilizzato nell’articolo una forma giornalistica non consona, ritenuta diffamatoria per Fiore & C, di qui l’immediata querela - che non ha seguito neppure l’iter, previsto in questi casi: si avverte la testata e la si minaccia con una frase standard e d’effetto: "Se non togliete immediatamemnte l’articolo io vi querelo!".

Girodivite, in casi analoghi, se l’interlocutore mostra buone ragioni, elimina o corregge il pezzo e finisce tutto lì: in questo caso siamo stati denunciati direttamente. Insomma, ci siamo trovati invischiati in questa cosa. Certamente molto ha fatto la nostra inesperienza di allora - della redazione e di Tano. E la sfiga ci ha messo di suo, abbondantemente. Siamo stati condannati in primo grado, dopo alcuni anni di attesa giudiziaria: Tano Rizza, in quanto autore dell’articolo, e Lucio Tomarchio, in quanto direttore del giornale.

All’epoca, per pagare le spese, abbiamo dato vita a una festa all’Auro, il centro sociale di Catania, raggranellando in questo modo un po’ di soldi e, nello stesso tempo, dando un significato anche politico alla vicenda. Alla sfiga e ai colpi nefasti della fortuna occorre sempre contrapporre la voglia di vivere, la musica e la solidarietà. Si sono esibiti diversi gruppi musicali, è stata allestita una mostra e i ragazzi dell’Auro ci hanno dato una mano importante: insomma, è stata una bella iniziativa.

Non contenti, su suggerimento del nostro avvocato (Lìpera: sì, quello famoso per tutti i casi notori che hanno visto protagonisti ex capi di servizi segreti collusi con la mafia, tifosi imputati di aver ammazzato poliziotti nel corso di tafferugli attorno allo stadio di Catania, il gay a cui è stato interdetta la patente di guida ecc.) abbiamo impugnato la sentenza in appello.

Finalmente, dopo diversi rimandi e un paio di presenze a Roma da parte dello sconsolato Tano - lo ribadiamo, sono passati dieci anni... - siamo stati condannati in via definitiva. Stavolta abbiamo bloccato l’avvocato che avrebbe voluto ricorrere ancora, preferendo la via del patteggiamento con la controparte.

Era una causa penale. La condanna penale vera e propria ci è stata prescritta per decorrenza dei termini (dopo Andreotti e Berlusconi, la legge si è ricordata persino di noi!). Siamo stati condannati a pagare le spese. Con la controparte siamo giunti ad un accordo, per cui verseremo - dopo il congruo acconto che abbiamo già versato - e salderemo i 7.500 euro che ci sono stati richiesti. E tutto sommato ci è persino andata bene, la controparte ha avuto pietà di noi.

Per noi questi dieci anni di "causa" sono stati anni cupi, con questa spada di Damocle sulle spalle. La condanna in appello per noi è stato un uscire comunque da questo protrarsi di una cosa che avrebbe potuto essere smontata all’epoca (se... se mia nonna avesse avuto i baffi sarebbe stata mio nonno). Insomma, siamo stati condannati ma ne siamo usciti.

A latere si pone il problema democratico nel nostro Paese: sempre di più la querela è uno strumento con cui opera la censura sulla libertà di parola; e ne fanno ricorso soprattutto i soggetti economici: un ristorante che si sente danneggiato per una recensione negativa, una casa automobilistica che si sente danneggiata per un pezzo sulla stampa.

In un Paese pieno di avvocati (disoccupati!) fare informazione diventa, specie per una testata come la nostra, che non ha santi in paradiso né risorse o tempo, sempre più difficile. Dovremo limitarci a pubblicare le veline delle Questure e dei Partiti o delle Aziende, come ormai fanno in molti? O c’è ancora uno spazio, che non sia Facebook, per chi ancora si scandalizza, o trova inaccettabili certe cose o comportamenti?


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