Logo Girodivite
 
La parola che uccide: I Siciliani, di Pina La Villa | [1] | [2] | [3] | [4] | [5] | [6] | [7] | [8] | [9] | [10] | Addamo | Orioles | [Bibliografia]
Appendici: Sebastiano Addamo su Giuseppe Fava

Il giudizio su Giuseppe Fava di Sebastiano Addamo, che scriverà su "I Siciliani" alcuni articoli, è contenuto nel breve scritto "Giuseppe Fava e la cronaca come letteratura" nella raccolta di scritti "Oltre le figure" Sellerio, 1989.

"Le foto lo ritraggono quasi sempre in atteggiamento febbrile; non è mai quieto. Come se sia sul punto di fare qualcosa. Pare del resto sia stata una sua costante: fare qualcosa, di continuo costruire progetti da realizzare.
Il volto affilato e mobile di rughe, pare tagliato con l'accetta, ricavato da un vecchio ceppo centenario. Non aveva l'aria del profeta, bensì del sovversivo e del rivoltoso.
Aveva il gusto - non l'ostentazione - della cultura e della condizione contadina da cui proveniva, pure egli praticando la modernità e il dinamismo del cittadino e del cosmopolita. Guardava l'Europa e il mondo, ma avendo scelto come prospettiva privilegiata la Sicilia.
Aveva una visione apocalittica e una predilezione per la lotta. Non scriveva per placare, tanto meno per assolvere, bensì per agitare.

Il suo modo di scrivere era conseguente al suo essere. Era il suo modo d'essere. La scrittura era perciò imputatoria e blasfema. Nessuna finalità catartica né di giuoco estetico l'animava. Lo scrivere insomma faceva parte del lavoro di Giuseppe Fava, del suo diverso impegno. Romanzo, teatro, cronaca o inchiesta giornalistica, non venivano di volta in volta scelti per una preferenza di generi, ma essenzialmente relativamente all'efficacia, e relativamente ai destinatari. Il romanzo, per Fava, non era che cronaca ma per destinatari i quali non erano in grado di avvertire la immediata tragicità che balza dalla cronaca. Non per caso, difatti, i suoi romanzi risultano più letti da Roma in su, e meno in Sicilia.

Le sue inchieste, pur nel loro impeto, e forse a causa di esso, paiono risentire di una sorta di dignità ferita, in quanto egli si sentiva parte di una società in nome e per conto della quale riteneva di dover scrivere. La sua passione trasformava in fatto personale quanto era tragedia collettiva.
Cercava avversari da combattere e colpevoli da accusare; le sue inchieste hanno martellato uomini di rispetto e uomini politici. Uno spirito etico permeava quella sua scrittura spasmodica e talora ridondante, aveva bisogno di reazioni aspre, più che di compiacimenti ammiccanti; cercava il consenso della ragione, per nulla la facile complicità degli 'amici'.
La sua prosa conosceva l'invettiva e anche l'intolleranza, ma nella sua indignazione s'avvertiva una forma dolorosa di esistenza, un risentimento che sfiorava il rancore, in qualche modo facendo assolutamente propria la condizione di isolano, e di un'isola come la Sicilia che è antica di civiltà e di cultura, ma altrettanto antica di asservimento e di sfruttamento. Lo occupava di più - naturalmente - il tema dell'asservimento e dello sfruttamento. Perciò la sua prosa era virulenta, accanita, scorreva come torrenti in piena. Aveva molto da dire, e molto di più da accusare. In nome della stessa Sicilia, si era messo a combattere la mafia, che è siciliana.

Galilei, lo sappiamo, non innova le regole formali della scrittura, anzi si rifà al Cinquecento più compatto e si mantiene nel solco della tradizione. Non assegnava alla scrittura alcuna finalità edonistica, tanto meno "di piacere al mondo" come proponeva il seicentista Marino.
Egli si propone un compito più preciso, anche se più prosaico: immettere nella lingua italiana la materia scientifica di cui essa non s'era mai occupata. Comunicare con strumenti tradizionali, una materia del tutto nuova.

A Giuseppe Fava interessa comunicare una cosa, la "cosa".
Egli è scrittore di fatti, e dunque non ha preoccupazioni formali, non partecipa alle polemiche, attorno a lui in corso, sull'essere e il proprio della vicenda letteraria. Non è che deliberatamente le rifiutasse; semplicemente, ne era fuori. Sotto questo aspetto egli rimane al di qua della letteratura, ma per stare più dentro la bruciante realtà del giorno.

Non è la prima volta che si opera una simbiosi di giornalismo e letteratura. Scrittori come Buzzati o Moravia o Sciascia hanno fatto alto giornalismo. Ma si tratta di scrittori che prestano al giornalismo la loro attrezzatura letteraria.
Più raro è invece il passaggio dal giornalismo alla letteratura. E' avvenuto con Giuseppe Fava che nacque giornalista, e, da giornalista, seguì da principio la sua vicenda più pura : la cronaca.
L'esigenza di dire di più, di dire altro e in altro modo, la necessità di raccontare con più larghezza e più profondità, o di andare al di là della cronaca a seguire il filo teso dell'immaginario, lo avrà potuto condurre verso altre forme di espressione, e anche al romanzo.
Perciò la differenza tra il suo essere giornalista e il suo essere narratore, non sta nella differenza tra una scrittura che riporta, e una scrittura che inventa. Inventare, del resto, significa più propriamente trovare: trovare tra le pieghe della cronaca, nel suo fondo sordido e amaro, quelle verità che essa cela e vanno rivelate, anche se non c'è alcunché che la sorregga. Il cronista si fa romanziere per la violenza stessa della cronaca.
Questa cronaca virulenta e imperversante, per Giuseppe Fava è stata la mafia.

E non la mafia paleo, la mafia dei campi e dei campieri. Questa ha i suoi codici e le sue caratteristiche. E' decifrabile, anche se poco individuabile. La mafia, per esempio, come può ancora risultare dalle pagine di Michele Pantaleone, "nata - come questi scrive - nella zona tipica del feudo, nel cuore dell'Isola".
Non questa mafia, che ancora si sorregge sulla dialettica di campiere e proprietario e richiama i vasti assolati silenzi della campagna. Alla fine del cammino di essa si troveranno speculazione edilizia e droga.
Giuseppe Fava comincia dove, si può dire, finisce la vecchia mafia e nasce la nuova.
Una mafia ferrigna, oscura, fredda, crudele e priva di codici che non siano l'accumulo della ricchezza e il potere. Un tessuto indecifrabile anche negli scopi. La violenza che essa esercita parte da lontano, e non è facile capire dove voglia arrivare.
E' questa mafia peraltro, che viene a costituire il tema e l'impegno di Giuseppe Fava.
Giuseppe Fava è solo.
La sua scrittura non può avvalersi di riferimenti di alcun genere, perché nulla esiste intorno a questa mafia. Fava deve inventare la scrittura per trattare la "cosa". L'habitat di essa non è più la campagna, ma la città; e i grandi gregari e i grandi capi vanno cercati non in qualche sperduto casolare o nel palazzetto di paese, bensì nei Consigli di amministrazione e nelle anticamere dei ministri e dei sottosegretari.
Da ciò la necessità di una scrittura che non dia nulla per scontato, che sia circostanziata senza essere asfittica e burocratica. Dire molte cose e le altre indicibili - ma perché non esistono prove - farle trapelare.
Non è più un problema di eleganza, né di effetti formali. E' una cupa tragedia che deve essere resa per quello che è: cupamente e senza gli appannamenti - spesso splendidi - che la parola può produrre. La ricerca di una parola che apra spiragli su di questa.

Probabilmente i libri di Fava, le sue inchieste, la sua prosa rapida, martellante e qualche volta ruvida, l'insieme della sua scrittura non farà imprigionare un delinquente in più, né farà compiere alla Sicilia un passo in più. Fava probabilmente lo sapeva, e sta forse in questa consapevolezza la sua misteriosa e disperata temerarietà.
Fava, in fondo, chiedeva giustizia a un futuro di cui, in atto, non aveva alcuna prospettiva e alcuna garenzia. Sperare in un futuro e contemporaneamente disperare di esso. Fra speranza e disperazione si colloca la sua scrittura.
Fava, quasi certamente, non sperava in alcun riscatto immediato per la Sicilia. Scriveva come se una tale fede lo sorreggesse".

 

 


Editoriale
Zoom
Kaoticamente
Movimento
Segnali di fumo
Tanto per abbaiare...
GiroSegnalazioni
Sponsors
Girodivite 2001

I siti del network
GiroAmici
Download
RedAzione
GiroHome


[Up] Inizio pagina | [Send] Invia questa pagina a un amico | [Print] Stampa questa pagina | [Email] Mandaci una email | [Indietro]
© 1994-2004, by Girodivite - E-mail: giro@girodivite.it