Sei all'interno di >> :.: Città invisibili |

Venezia triste e assediata...

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 1 gennaio 2025 - 631 letture

Turismi

Il capitalismo è il regno dei numeri e del plusvalore. Nessuna etica politica o della responsabilità, non contempla gli effetti del suo operare infiltrante e pervasivo, ma occulta e rimuove la realtà con l’abbaglio dei numeri. Il turismo in questi giorni è esaltato nel suo valore quantitativo, è il segno che il “mercato Italia” attrae. Si celano le conseguenze sul territorio e sulle comunità. Il caso Venezia è emblematico di una città che non è più tale, ma è solo un “non luogo” assediato dal turismo di massa e di lusso che convergono verso l’annichilimento della città quale luogo e tempo delle idee, in cui l’identità trae dalla sua storia la linfa vitale per pensare il futuro e creare nuove forme espressive. Venezia è simbolo dell’Italia tutta, è immobilizzata in un turismo-mercato che l’ha resa “mercato vivente”. Venezia ha meno di cinquantamila abitanti, i negozi di quartiere chiudono, i servizi sono sempre meno presenti. Vi sono giorni in cui la città accoglie centomila turisti.

L’assedio alla città è nella forma del turismo da crociera. I turisti si riversano brevemente, rendono il quotidiano dei cittadini a dir poco difficile. Immaginate gli spazi lagunari ristretti colmi di turisti, anche il semplice passeggiare dev’essere un’impresa non indifferente.

Vi è poi il “turismo del capitale” che compra palazzi e appartamenti a prezzi vertiginosi. I subalterni e i dominatori assediano Venezia da prospettive diverse. I subalterni alla ricerca di emozioni visive, i dominatori di fruttuosi investimenti. La logica dell’utile domina e annichilisce lo sguardo profondo e silenzioso che si rigenera contemplando l’arte.

Venezia non è più una città, è un brulicante termitaio che si muove intorno al PIL. La popolazione vende le case e va via, intasca il gruzzolo e si trasferisce a Mestre, dove il quotidiano è reso possibile dalla presenza dei servizi. La città si svuota, la sua lingua si ritrae. Una città muore, quando la sua lingua scompare nella Babilonia delle lingue. Il dialetto è la storia vivente nel presente, se esso tramonta la città è solo un luogo anonimo funzionale ai bisogni spersonalizzanti del capitalismo. Le sue tradizioni e l’identità storica si obliano per sempre. Ci vogliono secoli per costruire un’identità, pochi decenni per estinguerla in nome del mercato.

Non pochi accusano i veneziani, è loro la responsabilità dello spopolamento, vendono le case a prezzi altissimi e vanno via. La responsabilità vi è, finché vi è scelta, i veneziani potrebbero restare e contenere l’assedio turistico, ma sono condizioni in cui la pressione sociale rende la lotta ardua. Non si rammenta che i veneziani sono vecchi e la lotta politica a difesa del proprio territorio esige giovinezza. Certo tutti possono lottare, ma finchè il dogma della cultura “petrolio d’Italia” continuerà a circolare la difesa della cultura, dell’identità e degli interessi patri non saranno possibili. L’Europa è unità nel progetto di diventare un immenso mercato in cui le identità muoiono per donare l’eterna giovinezza al capitalismo.

Gli stipendi dei veneziani e degli italiani, in genere, sono bassi come le pensioni, per cui ciascuno vende ciò che ha per difendersi da un futuro incerto. Lo spopolamento dei centri storici è così un destino che si afferma, poiché ciascuno si difende dalla proletarizzazione vendendo i propri beni ai nuovi ricchi.

Tutti i partiti dell’arco parlamentare spingono per il PIL a qualsiasi costo: le identità, i monumenti e la cultura viva della nazione è sacrificata sull’altare del neoliberismo, come Re Mida tutto dev’essere trasformato in quattrini per i soliti noti, fino a morire di fame. Vi è una fame dello spirito e di identità non riconosciute, di cui una nazione muore.

Genocidio culturale e malinconia

Il genocidio di Venezia è l’espressione più palese, dunque, del genocidio culturale italiano. I centri storici sono spopolati e le case abitate da Bed&Bed, per le strade non più bambini che imparano la grammatica dei luoghi, ma turisti con digitali, passaggi veloci e distruzione permanente.

Il liberismo internazionale ha decretato che l’Italia non produca, ma sia un immenso campo giochi per i turisti europei del Nord Europa. Senza lingua e senza identità religiosa e cittadina si prosciuga l’umanesimo e la cultura italiana. Una nazione che diviene un immenso museo a cielo aperto, in cui i dialetti si estinguono, i luoghi sono anonimi, diseduca alla difesa degli interessi nazionali le nuove generazioni. Senza lingua e identità i giovani come i luoghi divengono orci vuoti da riempire con gli imperativi anonimi del neoliberismo, per cui anche loro, sono educati all’assedio e all’assalto di ciò che resta, per poi andar via. Sono i migranti apolidi che l’Europa alleva e incentiva nel suo sogno distopico di distruzione creativa all’ombra dell’inglese commerciale. Lo verifichiamo quotidianamente nelle scuole e per le strade, il cavallo di Troia del multiculturalismo è l’inganno con cui si annientano tutte le identità. Al posto delle identità tradizionali, ormai, solo un ricordo non resta che l’omologazione delle identità: il niente dipinto di arcobaleno, da cui non emerge nulla di creativo a livello politico e culturale, ma solo la corsa a consumare l’ultimo quattrino. Il genocidio culturale era stato profetizzato da Pasolini, ora è tra di noi, si consuma sotto i colpi del digitale e della trasformazione delle città in immensi salotti per i consumi, naturalmente per i soli detentori di reddito.

Il contesto spinge verso l’esodo, si chiudono i piccoli negozi, le attività economiche famigliari, in quanto non vi sono leggi che le proteggono dall’avanzare dei grandi gruppi. La competizione tra i grandi gruppi e il negozio di quartiere è già persa all’inizio. Il liberismo proclama la competizione, ma persegue il privilegio di classe ben protetto dalle leggi. Alla fine Venezia è un cimitero museale per turisti, un luogo sepolcrale che annuncia ciò che sarà la nazione nei prossimi decenni. Il niente culturale, la popolazione che si auto-deporta favorisce la colonizzazione, ormai in stato avanzato e sempre più aggressiva. Le responsabilità personali non si possono elidere dalle responsabilità politiche. Venezia è sotto il giogo delle multinazionali del turismo, in perenne contatto con i partiti. Il nulla che a suon di guadagno uccide Venezia e una intera nazione non è nelle agende della politica. Il turismo sregolato non è più una attività economica, il cui scopo è far vivere una comunità, ma un atto di guerra contro la storia e il futuro di una nazione.

Ciò che è illimitato distrugge, e ciò che va nel nulla non torna più indietro. La popolazione diminuisce, i centri storici sono sempre meno abitati e il paesaggio scompare, in quanto si continua a costruire per una popolazione che invecchia e non fa figli. Si abbatte e si costruisce in una spasmodica corsa verso il nulla. Non possiamo ignorare che siamo nelle spire del nulla. “Nessun Dio verrà a salvarci”.

Solo i cittadini coordinati in un movimento forte organizzato dal basso può fermare la decomposizione malinconica e violenta di una nazione tradita e senza futuro. Senza amore per le proprie radici non vi è creatività e politica. Amare la propria identità non significa negare le altre, ma favorire le relazioni identitarie. Si persegue, invece, il nulla, tutte le relazioni devono essere transazioni.

La tristezza di Venezia è la malinconia di una nazione, non resta che cantare e pensare sulle note di Charles Aznavour “Com’è triste Venezia”:

Com’è triste Venezia
Soltanto un anno dopo
Com’è triste Venezia
Se non si ama più
Si cercano parole
Che nessuno dirà
E si vorrebbe piangere
Non si può più
Com’è triste Venezia
Se nella barca c’è
Soltanto un gondoliere
Che guarda verso te
E non ti chiede niente
Perché negli occhi tuoi
E dentro la tua mente
C’è soltanto lei
Com’è triste Venezia
Soltanto un anno dopo
Com’è triste Venezia
Se non si ama più
I musei e le chiese
Si aprono per noi
Ma non lo sanno
Che, ormai, tu non ci sei
Com’è triste Venezia
Di sera, la laguna
Se si cerca una mano
”.

Non ci sono più veneziani, non ci sono più fiorentini, non ci sono baresi o siciliani…la ricchezza autentica di una nazione è la sua storia che si sporge verso il futuro. Senza identità nessuna internazionale dei popoli è possibile, restano solo i cittadini-turisti delle grandi navi da crociera e dei turisti stagionali che toccano mondi sconosciuti e persi e che usano l’arte come location per foto veloci che presto saranno dimenticate, fuggono dall’alienazione quotidiana, nel frattempo il capitalismo continua a divorare la nostra storia. L’anno che verrà festeggiamolo reimparando a guardare le nostre comunità con le sue architetture, impariamo a difenderle dagli artigli rapaci di un sistema che vuole solo distruggere e trasformarci in croceristi senza identità, volto e lingua.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -