Valdesi per il voto

Appello di alcuni docenti della Facoltà teologica valdese di Roma per il voto ai referendum sulla fecondazione assistita

di Redazione - sabato 11 giugno 2005 - 4920 letture

Fulvio Ferrario, Daniele Garrone, Ermanno Genre, Martin Hirzel e Yann Redalié, professori della Facoltà Valdese di Teologia di Roma, hanno reso noto, il 3 giugno scorso, un documento in cui prendono posizione sulla necessità di andare a votare agli imminenti referendum sulla procreazione assistita. "Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell’urna sono diventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare", scrivono. Proprio per questo, "è doveroso andare a votare". Di seguito il testo da loro sottoscritto.

Impegnati da tempo nel dialogo ecumenico ed interreligioso ci sembra importante dire con franchezza perché non possiamo accogliere il pressante invito della Cei, rivolto certo in primis ai cattolici, ma anche a tutti i cristiani e a tutti i cittadini di questo paese, a non andare a votare i 4 referendum relativi alla legge 40/2004 sulla fecondazione assistita, il 12 e 13 giugno 2005.

Sulla materia oggetto dei quesiti referendari la nostra Chiesa non ha assunto alcuna posizione ufficiale, certo non sono mancate significative prese di posizione a favore dei referendum abrogativi, ma le posizioni non sono unanimi (si veda il dossier del settimanale Riforma del 27.05.05). Come in altre simili occasioni, per la formazione della propria convinzione si è preferito privilegiare un dibattito largo e approfondito e un libero confronto su argomenti così essenziali e delicati.

Su un punto però riteniamo doveroso intervenire, cioè sulla decisione libera e personale presa in coscienza da ciascuno, cardine dell’espressione democratica, che nei nostri sistemi elettorali viene garantita dalla segretezza del voto. Qui non è in discussione la legittimità dell’astensione o del non voto; invitare all’astensione è pienamente legittimo dal punto di vista della legge. La questione di fondo è però un’altra: essa concerne l’esercizio della libertà di esprimere la propria personale opinione.

La campagna che si è sviluppata nelle ultime settimane da parte della Cei, sia attraverso i media sia attraverso una mobilitazione capillare nelle parrocchie, ha spostato il luogo della decisione fuori dalla cabina di voto. Infatti, se il significato del non voto rimane ambiguo - può essere motivato dall’indifferenza totale oppure dalla convinzione più forte -, l’andare a votare, atto palese, pubblico e non garantito dal segreto, si carica di un significato chiaro di disubbidienza all’autorità ecclesiastica (o almeno di non raccogliere l’invito pressante della gerarchia cattolica). Il sì, il no, o la scheda bianca depositati nell’urna sono diventati del tutto secondari, ciò che è decisivo è invece chi va o non va a votare. E questa situazione in un paese dove la presenza della Chiesa cattolica è capillare, e tante persone ne dipendono per il loro lavoro quotidiano, rappresenta una pressione notevole, tale da poter provocare autocensura.

Dialogare in un libero e leale confronto ideale, convincere e farsi convincere, e lasciare poi la piena libertà di espressione della propria convinzione: tale è l’invito che vorremmo rivolgere a tutti quelli che hanno una posizione da fare valere nel dibattito. Anche per questo motivo fondamentale, per noi è doveroso andare a votare sui quesiti referendari il 12 e 13 giugno.

(Fonte: Adista)


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