Sei all'interno di >> :.: Città invisibili |

Il dramma dei piccoli proprietari di terreni agrumetati

Nel nord della provincia di Siracusa l’agrumicultura rappresentava il fiore all’occhiello dell’economia locale, ma le dinamiche sociali ne stanno decretando la scomparsa

di Emanuele G. - mercoledì 22 agosto 2012 - 3230 letture

Le campagne agrumetate di Carlentini, Francofonte e Lentini costituivano una delle zone di maggior pregio dell’agricoltura dell’intero meridione. La piana di Lentini – altro che piana di Catania! – e le contrade viciniori costituivano un immenso lussureggiante manto verde che produceva arance dal gusto impareggiabile e dalle qualità organolettiche superlative. I visitatori rimanevano stupiti dal particolare rigoglio delle piantagioni. Sfavillanti e faconde come raramente succedeva altrove. L’arancia assumeva le fattezze di un prezioso tesoro per le popolazioni che abitavano quelle zone. Dava un reddito certo a centinaia di famiglie. Le campagne brulicavano di persone intente ad accudire con raro amore il prelibato frutto. Un numero infinito di camion riversano quantità non facilmente calcolabili di arance negli stabilimenti di lavorazione che avevano ritmi lavorativi da 16/18 ore giornaliere. Dalla stazione di Lentini partivano migliaia di vagoni di arance – ma anche di mandarine, clementine e limoni – con destinazione il nord d’Italia e l’estero. La piana di Lentini era un “luogo” baciato dal destino e dagli dei.

Ora tutto è sparito. Obiettivo del mio articolo – intendo rimarcarlo – non è quello di lanciarmi nella solita predica sui mille perché che hanno condotto al presente disastro. Rischierei di cadere nell’ovvio. Darei una lettura riduttiva di quanto è successo. Il mio angolo di lettura vuole evidenziare il lato umano della scomparsa dell’agrumicultura a Carlentini, Francofonte e Lentini. Aspetto della questione di non poco conto. Aspetto per lo più tenuto in poco conto. Anzi ritengo il più importante di tutti. In quanto sintomo del declino di un mondo e di una visione antropologica del territorio. Non risiede forse in questo l’autentico dramma del declino definitivo dell’agrumicultura?

Ho spesso modo di parlare con gli agricoltori della mia città. Carlentini. Si tratta di persone che sono proprietarie di estensioni di terreni di piccola-media grandezza. Hanno lavorato gli appezzamenti di terreno per decenni. Dagli anni cinquanta in poi. Con una cura certosina che non ha eguali. Il terreno è stato sottoposto a un profondo lavoro di preparazione alla piantumazione degli alberelli di arancio. Le piantine hanno subito mille e una attenzioni. La coltivazione prima di tutto. In seguito, la pulitura della chioma. L’irrigazione, anche di notte. La lotta ai parassiti della pianta. La scerbatura delle erbe attorno ad essa. In breve, la pianta rappresentava un bambino da coccolare con amore e passione infiniti.

Con il passare del tempo i proprietari di quei terreni agrumetati hanno visto progressivamente diminuire i loro introiti. Tre dati per comprendere meglio la situazione. Un’ora di acqua costa mediamente 25 euro. Il ricavo di un kilo di arance è di 0,05/0,10 centesimi. Al contrario le spese di produzione arrivano a toccare i 0,70 centesimi al kilo. Il sistema non regge. Non può reggere. Dall’altra parte del Mediterraneo i costi di produzione sono infinitamente meno elevati consentendo guadagni di scala notevoli. Tuttavia il problema di fondo non è questo. C’è dell’altro. I succitati proprietari sono diventati persone anziane. Oramai hanno settanta o ottanta anni. Il che impedisce loro di avere le forze sufficienti per continuare la cura del loro “giardino”. Perché dalle nostre parti il giardino per eccellenza non è quello con i fiori, ma il terreno coltivato ad arance. L’arancia è il fiore per antonomasia. Avere cura di un giardino necessita un impegno diuturno. Tutto l’anno. Sia che piova sia che il sole spacchi le pietre. Non c’è un tempo definito per accudire un terreno agrumetato. Il tempo è sempre e comunque.

L’agricoltore aveva sperato che un giorno il terreno sarebbe passato ai figli. Quel terreno doveva diventare la fonte primaria di reddito per l’intera famiglia. Orbene si sono innescati due meccanismi che hanno sortito l’effetto di azzerare il sogno dell’anziano genitore. Prima di tutto, le nuove generazioni non hanno avuto lo stesso interesse a seguire le orme del genitore. Hanno preferito prendersi il classico “posto” nel pubblico impiego considerando la cura di un giardino alla stregua di un hobby personale. Inoltre, a causa dell’inesistenza di qualsiasi programmazione che potesse permettere al comparto di assumere dinamiche industriali le giovani generazioni sono state spinte a non considerare più il lavoro in campagna degno di soddisfare le comprensibili esigenze reddituali. Allora l’anziano coltivatore decide di abbandonare il terreno.

Era stato – il terreno – oggetto nel corso degli anni di un amore senza paragone. Di un amore forte. Di un amore che va oltre al mero calcolo economico. Non c’è la fa più. Potete benissimo immaginare lo strazio e la tristezza indicibili dell’agricoltore nell’atto di assumere una tale decisione. Per lui è la fine di un mondo. Un atto di violento sradicamento dalle motivazioni stesse della vita e di una vita trascorsa a coltivare un agrumeto. Scompare, pertanto, tutto un mondo costituito da conoscenze, valori, tradizioni e credenze che avevano costruito l’identità di un territorio. Infatti, l’abbandono generalizzato degli agrumeti porta alla perdita di identità del territorio che da “luogo” diventa un “non luogo”. Cioè un territorio che non può essere descritto in quanto non ha caratteristiche per identificarsi. Il dramma di centinaia di piccoli proprietari diventa, dunque, l’espressione dello svuotamento identificativo antropologico del territorio. Un dramma che non sarà facilmente emendabile per via del diffuso disinteresse che sta accompagnando la scomparsa dell’agrumicultura a Carlentini, Francofonte e Lentini.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -