Documenti: Sono solo revisionisti
Documento a cura di Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia, contro il processo di unificazione in atto tra (una parte di) Rifondazione e PCd’I.
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Risurrezione revisionista :: Il pane e le rose - classe capitale e partito
Si svolgerà dal 24 al 26 giugno, a San Lazzaro di Savena (BO), la “costituente comunista” che porterà a termine il processo di risurrezione del PCI revisionista.
Confluiscono in questo progetto il P”C”dI, settori di Rifondazione “Comunista”, alcune associazioni, intellettuali e militanti di altre organizzazioni, o senza partito, che non hanno saputo né voluto fare i conti seriamente e fino in fondo con l’eredità del moderno revisionismo. Questa ri-rifondazione (la prima fu quella del 1991 di Cossutta, Garavini e Libertini, miseramente fallita) avviene nel nome dell’abbandono delle categorie fondamentali del socialismo scientifico.
La teoria marxista dello Stato, la prospettiva della rivoluzione e della dittatura del proletariato, per fare degli esempi, sono assenti nei documenti politici, sostituite dalla partecipazione allo Stato borghese, dalla teoria dell’evoluzione pacifica e della coalizione con la classe dominante. La questione essenziale del potere viene vista unicamente come ampliamento degli spazi della democrazia borghese.
In economia, la ricetta per uscire dalla crisi del capitale è il minestrone riscaldato keynesiano, l’intervento e il controllo pubblico dell’economia capitalistica, la nazionalizzazione borghese di alcune aziende strategiche. Ci si ferma alla critica del neoliberismo, riproponendo il capitalismo monopolistico di Stato. La razionalizzazione capitalistica viene concepita come “alternativa al presente stato di cose”. Ma il socialismo è tutt’altra cosa!
L’orizzonte strategico rimane completamente interno alla Costituzione democratico–borghese del 1948. Il cuore del programma politico è il “welfare state” borghese, mentre si alimentano le solite illusioni socialdemocratiche e si addita un non meglio precisato “governo democratico” (il vecchio centrosinistra rimesso a nuovo?) come sbocco politico. Insomma, più sono mature le premesse materiali del socialismo e più quest’obiettivo viene sfumato e ritenuto lontano.
Sul piano internazionale si spaccia la pericolosa tesi secondo cui bisogna appoggiarsi su un imperialismo per combatterne un altro. L’atteggiamento nei confronti dei cosiddetti “paesi emergenti” è antimarxista, perché non si basa su un’analisi dei rapporti di produzione predominanti all’interno di questi paesi. Invece di praticare in modo coerente l’antimperialismo ci si limita all’antinordamericanismo e si butta a mare la solidarietà proletaria internazionale in nome della difesa dell’imperialismo cinese (contrabbandato per socialismo) e russo.
L’orizzonte dei moderni revisionisti è il “mondo multipolare”, non il mondo socialista e comunista. E riguardo l’UE non dicono una parola chiara per l’uscita da questa istituzione imperialista, antidemocratica e guerrafondaia (ma avanzano solo una mezza “ipotesi di uscita dall’euro”). Anche la posizione assunta sulla teoria del “socialismo del XXI secolo” e sul ruolo dei cosiddetti governi “alternativi” dell’America Latina – che nella maggioranza dei casi hanno servito gli interessi dei monopoli e dei capitalisti, limitandosi a rinegoziare la dipendenza dall’imperialismo - è rivelatrice di un approccio che non ha nulla di marxista-leninista, ma tutto di riformista e di socialdemocratico.
Il quadro è sufficientemente chiaro: la differenza non è nei dettagli, ma nei principi e nella concezione fondamentale del comunismo. A San Lazzaro risorgerà il vecchio revisionismo sotto le spoglie del “togliattismo e del berlinguerismo del XXI secolo”. Un’opzione che si distingue dalle altre opzioni revisioniste e socialdemocratiche solo per adoperare il nome e il simbolo del “PCI 2.0”, per recuperare vecchie e fallimentari tesi riformiste (“la via italiana al socialismo”, etc.) con nuovi argomenti.
Il “socialismo” di cui parlano i risuscitatori del PCI revisionista non ha nulla a che vedere con l’abolizione dei rapporti borghesi di produzione, col socialismo proletario, che è possibile solo in via rivoluzionaria. E’ solo una terminologia che serve a per coprire l’obiettivo di miglioramenti economici e politici da realizzare sul terreno degli attuali rapporti di produzione, tramite il cretinismo parlamentare, senza intaccare il rapporto fra capitale e lavoro salariato. Il succo della questione è che i moderni revisionisti si proclamano comunisti solo per sabotare la lotta rivoluzionaria per il potere, per opporsi al marxismo-leninismo, per far sopravvivere il capitalismo più a lungo possibile. Quello che uscirà dalla “assemblea costituente” non è altro che l’ennesimo tentativo di aggregazione del revisionismo in crisi e frantumato, per tornare a galla dopo il crack di Rifondazione e la stagnazione del PCdI, aggrappandosi al mito e al logo del PCI con i soliti intenti elettoralisti.
In ogni caso, i risuscitatori di San Lazzaro non potranno ricreare le condizioni storiche e politiche che portarono alla realizzazione del più grande partito revisionista dell’occidente capitalistico.
La scarsa levatura di certe operazioni revisioniste e opportuniste, l’incollaggio a freddo di pezzi sulla base di una “cultura affine”, non devono però farci sottovalutare la pericolosità dell’operazione “rilancio”. Quello che ci preoccupa è il ritardo del fattore soggettivo nel nostro paese, il disarmo ideologico e politico della classe operaia, gli ostacoli che vengono posti alla sua azione reale.
La ricostituzione del PCI revisionista tende infatti: a) ad accrescere il disorientamento di quella parte – ancora purtroppo maggioritaria - della classe operaia che ha temporaneamente perduto la volontà di farla finita col capitalismo; b) a dare uno sbocco politico illusorio a quella parte della classe operaia che conserva o addirittura accresce la sua volontà di abbattere il capitalismo.
In questo senso l’operazione di San Lazzaro rappresenta un problema in più, specie per gli operai avanzati che ancora non riescono a sbarazzarsi della influenza nociva del revisionismo o che si lasciano ingannare dai simboli esibiti dai dirigenti di questo partito.
A questi operai diciamo: abbiamo davanti agli occhi la parabola fallimentare del revisionismo kruscioviano e brezneviano, del togliattismo, dell’eurocomunismo, etc.; abbiamo visto a quale grave sconfitta hanno condotto il socialismo, il movimento comunista e operaio. I dirigenti del PCI risuscitato non hanno fatto minimamente i conti con il moderno revisionismo, che per loro esiste solo da Bertinotti in poi. Nelle loro tesi non c’è neanche l’ombra di un bilancio dell’esperienza storica compiuta, delle cause della restaurazione del capitalismo in URSS, della degenerazione del PCI in partito socialdemocratico, della vittoria della controrivoluzione. Navigano nelle stesse putride acque di allora e procederanno lungo la stessa rotta disastrosa. Perché seguirli? Quale fiducia possiamo riporre in questi dirigenti?
L’esperienza storica dimostra che finché non ci si distacca nettamente e definitivamente dai rappresentanti dell’opportunismo e del revisionismo non è possibile uscire dalla debolezza, dalla confusione e dalla dispersione che caratterizza oggi il movimento operaio, non è possibile dar vita a una coerente politica di classe e non si può seguire nessuna prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società.
Nell’attuale situazione italiana il compito dei marxisti-leninisti, dei proletari d’avanguardia, dei sinceri rivoluzionari è denunciare queste “nuove” e insidiose manifestazioni dell’opportunismo di destra, raddoppiando gli sforzi per avvicinare la costruzione di un solo e forte Partito comunista, basato sui principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario. Oggi come ieri, lo smascheramento senza pietà del revisionismo e del riformismo in tutte le sue varianti e manifestazioni, la separazione aperta e senza equivoci dei comunisti dalle correnti influenzate dalla borghesia e dalla piccola borghesia esistenti nel movimento operaio, la lotta contro di esse, si presentano come una necessità assoluta e urgente per riprendere la via della lotta rivoluzionaria per il socialismo e il comunismo.
Dobbiamo fare quello che indicava con grande chiarezza Gramsci: “Prima dividersi, ossia dividere l’ideologia rivoluzionaria dalle ideologie borghesi (socialdemocrazia di ogni gradazione); poi unirsi, ossia unificare la classe operaia intorno all’ideologia rivoluzionaria”.
L’unificazione di tutti i gruppi comunisti, dei singoli comunisti e dei migliori elementi del proletariato in un unico e forte partito indipendente e rivoluzionario basato sui principi del marximo-leninismo e dell’internazionalismo proletario, che sappia mettersi alla testa della classe operaia e di tutti i lavoratori sfruttati, è il primo compito da adempiere nel nostro paese.
21 giugno 2016
Piattaforma Comunista – per il Partito Comunista del Proletariato d’Italia
fonte: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o48755:e1
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