Sei all'interno di >> :.: Culture | Libri e idee |

Tzvetan Todorov pose il problema del male al centro della sua storia filosofica

La storia ha nei suoi archivi nomi di uomini e donne che hanno resistito, non sono passati invano, per cui resistere è ricordare, per preparare la prassi.

di Salvatore A. Bravo - sabato 11 maggio 2024 - 512 letture

Metafisica contro i sicari del pensiero

Nel secolo del capitalismo assoluto ogni limite è stato trasceso, senza metafisica non vi è la definizione di bene e di male, pertanto il linguaggio dell’impero può imperversare. I paradigmi veritativi sono liquidati come cianfrusaglie del pensiero o oziosi rompicapo senza soluzione. Gli oratores, il circo mediatico, è divenuto il sicario del pensiero critico e della prassi. Il problema metafisico è annichilito, espulso dalle accademie, spesso pronunciato con parole appena udibili anche dalla chiesa.

Le forme di totalitarismo sono proliferate in assenza di metafisica, nella loro metamorfosi, come l’essere polivoco di Aristotele, hanno un fondamento comune non riconosciuto: l’astratto. Ogni totalitarismo ambisce alla perfezione, vuole eliminare ogni differenza e la fatica del molteplice da cui rielaborare il concetto. La metafisica è ricerca dell’universale concreto, in cui differenza e universale sono in felice tensione dialettica. I totalitarismi calano sul mondo della vita una cappa astratta a cui ci si deve adattare.

Nel tempo attuale la perfezione è rappresentata dall’uomo imprenditore, che calcola i profitti, investe e incassa mediante l’imperturbabile perfezione delle cifre. Tutto è astratto, in quanto ogni esperienza è solo lavoro vivo da convertire in lavoro morto (profitto). La perfezione non conosce dialettica, si ripiega su se stessa, si presenta nella forma dell’ipostasi dinanzi alla quale non si può che accettare senza consenso, senza concetto. Ogni totalitarismo assimila per espellere le differenze e presentarsi con il suo radicale monismo. La perfezione è nell’uno, il bene ed il male, invece, sono nella dualità perenne, vi è il bene dove vi è dualità, senza l’io che incontra il tu non vi è che il nulla. Solo dall’incontro razionale della dualità l’universale concreto prende forma.

La storia e la resistenza al male

Tzvetan Todorov ha posto il problema del male al centro della sua storia filosofica. La storia è manifestazione della Spirito dell’umanità, nella storia l’universale si palesa nella contingenza: esperienza in movimento, la storia consente di filtrare le esperienze, di cogliere nella concretezza delle vite la resistenza o il cedimento al male. Dinanzi al male si può fuggire oppure resistere. Molti hanno resistito al male, nel ricordare la loro testimonianza si favoriscono i processi di identificazione e discernimento del bene e del male.

Il totalitarismo del capitale dissuade dalla resistenza esaltando le vittime del passato e del presente, ma occulta i resistenti. La storia ha i suoi “eroi ordinari e banali” che il capitalismo deve inabissare nella dimenticanza, in modo da presentarsi come “sacro difensore” delle vittime. La storia pertanto assume una valenza educativa e critica non sostituibile, in essa possiamo trovare e ritrovare le ragioni per resistere nell’esempio testimoniale degli eroi silenziosi, ma anche imparare, nelle differenze contestuali e dei quadri storici a riconoscere il male:

“Mi resta qui da riunire alcune delle lezioni che ho creduto di poter trarre e domandarmi: che cosa ci insegnano sul futuro? La memoria stessa, innanzitutto. La scelta, innanzitutto. La scelta che si presenta davanti a noi non è fra dimenticare e ricordarsi perché l’oblio non deriva da una scelta, sfugge al controllo della nostra volontà ma fra differenti forme di ricordo. Non esiste dovere di memoria in sé; la memoria può essere mesa al servizio del bene come del male, utilizzata per favorire il nostro interesse egoista o la felicità altrui. Il ricordo può restare sterile, addirittura fuorviarci. Se si sacralizza il passato, ci si impedisce di capirlo e di trarne lezioni che concerneranno altri tempi e altri luoghi, che si applicheranno a nuovi protagonisti della storia. Ma se al contrario lo si banalizza, applicandolo a situazioni nuove, se vi si cerca soluzioni immediate alle difficoltà presenti, i danni non sono minori: non solo si traveste il passato, ma si disconosce anche il presente e si apre la via dell’ingiustizia. (…). Perché il passato resti fecondo, bisogna accettare che passi attraverso il filtro dell’astrazione“ [1].

La cultura della cancellazione deve rimuovere dalla storia i resistenti per eternizzare il presente. Il tempo si frammenta, in tal modo, in un eterno tempo del “non senso”.

L’Umanesimo moderno

Nella storia ritroviamo l’effettualità del bene come del male. Riconoscere il male nella forma dell’illimitatezza permette la prassi della coscienza, da quel momento nulla sarà come prima. Il male è l’illimitatezza che nega la razionalità dialogica; la negazione dell’alterità è rottura del limite, senza quest’ultimo si assimila l’altro, si mettono in pratica processi di cannibalizzazione violenta. Il bene è l’esercizio del limite, è la pratica di ascoltare la presenza dell’altro, capacità che esige la razionalità profonda in cui l’argomentazione logica si coniuga con l’empatia e con la percezione tutta carnale che lo sguardo dell’altro è su di noi e con noi:

“L’Umanesimo moderno, un Umanesimo critico si distingue per due caratteristiche, senza dubbio entrambe banali, ma che traggono la loro forza dalla loro stessa compresenza. La prima è il riconoscimento dell’orrore di cui sono capaci gli esseri umani. L’umanesimo, qui, non consiste affatto nel culto dell’uomo, in generale o in particolare, in una fede nella sua nobile natura; no, il punto di partenza, qui, sono i campi di Auschwitz e della Kolyma, la prova più grande che ci sia stata in questo secolo del male che l’uomo può fare all’uomo. La seconda caratteristica è un’affermazione della possibilità del bene; non del trionfo universale del bene; non del trionfo universale del bene, dell’instaurazione del paradiso in terra, ma di un bene che conduce a prendere l’uomo, nella sua identità concreta ed individuale, a prediligerlo ed amarlo. Si rinuncia dunque a sostituirlo con un essere soprannaturale, Dio; o al contrario con le forze della natura subumana, le leggi della vita; o anche con i valori astratti scelti degli uomini, si chiamino prosperità, rivoluzione o purezza e, al di là, le leggi della storia” [2].

La testimonianza del bene

Il bene è nella storia, e dunque è con noi nei suoi innumerevoli esempi silenziosi ed eroici. Todorov tra le testimonianze presenti nel suo testo Memoria del male, tentazione del bene riporta il caso di Grossman.

Grossman era scrittore ebreo, seppe mantenere la sua umanità, perché la madre nei campi di sterminio riuscì a resistere al male conservando la sua razionalità profonda, ella continuò a provare pietà anche per coloro che l’avrebbero uccisa. L’esempio della madre, paradigma del bene concreto che resiste al male, ha permesso a Grossman di continuare a credere nel bene. Nella Russia sovietica ha vissuto l’esperienza della persecuzione e dell’isolamento, ma la fonte del bene è stato il ricordo della madre. Per resistere al male è necessario ritrovare nella storia o nella nostra storia la fonte testimoniale che ci permette di resistere, perché il male per radicarsi esige il silenzio della ragione e della nostra umanità:

“Alla base della società totalitaria si trova, secondo Grossman, un’esigenza: quella della sottomissione dell’individuo. Il fine a cui aspira questa società non è infatti il benessere degli uomini che la compongono, ma l’espansione di un’entità astratta che si può designare come lo stato, e che si confonde anche con il partito, o addirittura con la polizia. Nello stesso tempo gli individui devono cessare di percepirsi come la fonte della propria azione, devono rinunciare all’autonomia e obbedire alle leggi impersonali della storia, compitate dai poteri pubblici, come alle direttive promulgate giorno dopo giorno dai vari servizi. Si può dire in questo senso che lo stato sovietico ha come principio essenziale di essere uno stato senza libertà” [3].

Il male nell’epoca della globalizzazione

Il male è sempre uguale vuole la sussunzione totale del soggetto. Oggi il male che minaccia il mondo è la globalizzazione nella forma dell’integralismo economicistico che vuole negare il destino dei popoli in nome della crematistica. Infuria la guerra del profitto e della ricerca delle materie prime. L’omologazione dei popoli permette di ipostatizzare l’economia e specialmente indebolisce ogni resistenza: in assenza di sovranità nazionale il potere diffuso è divenuto impalpabile, è ovunque eppure sfugge ad ogni localizzazione, in tal modo si debilita la resistenza, si indebolisce la motivazione all’universale per favorire forme di atomismo planetario, le cui ingiustizie sono vissute come fatali, inevitabili. La cultura del vittimismo è parte organica del male. Si addestrano gli esseri umani a percepirsi come infanti che necessitano di oligarchie e istituzioni che possano difenderli dall’imminente pericolo. C’è sempre un nemico alle porte, per cui ci si ritrae dalla storia e dalla vita pubblica:

“Noi ci rallegriamo del crollo dell’impero totalitario tedesco; ciò non significa che il dominio solitario degli Stati Uniti sia in sé augurabile. Il pericolo non è minore quando la superpotenza si accorge che in realtà le mancano i mezzi per giocare al guardiano della pace ovunque e che deve limitarsi a intervenire solo nelle situazioni in cui sono in gioco i suoi interessi vitali. Per queste ragioni l’equilibrio è preferibile all’unità. La globalizzazione economica a cui oggi assistiamo non deve essere seguita da una mondializzazione politica; gli stati o gruppi di stati autonomi sono invece necessari per contenere gli effetti negativi del movimento di unificazione” [4].

Il linguaggio del male

Dobbiamo imparare a riconoscere il male ed a vivere per il bene, la storia ci insegna ad individuare i sintomi del male. Todorov analizza il linguaggio del nazionalsocialismo, per comprendere come il male si diffonde mediante architetture linguistiche neutre, confondendo l’umano con il disumano. L’analisi è estendibile ad ogni Totalitarismo. Il linguaggio che edulcora la verità, sostituisce con formule neutri crimini e azioni di annichilimento è lo strumento tra i più efficaci per neutralizzare il senso critico e il pensiero riflettente. Il linguaggio a cui non corrisponde realtà alcuna favorisce l’individualità astratta e deresponsabilizzata. Per pensare è necessario farsi toccare dalla realtà; il linguaggio dell’impero è pianificato per neutralizzare l’empatia e la soglia comunicativa:

“Un altro mezzo per dissimulare la realtà ed eliminare ogni traccia dalla memoria consiste nell’uso degli eufemismi. Presso i nazisti, essi sono particolarmente abbondanti riguardo al segreto centrale dello sterminio; il senso di certe formule celebri è ormai divenuto trasparente << soluzione finale>>,<>, ma anche all’epoca erano, esse erano sufficientemente suggestive (<>. Non appena è conosciuto il loro senso segreto, esse chiedono di essere sostituite con nuove espressioni, ancora più neutre, che rischiano tuttavia di divenire inutilizzabili a loro volta: evacuazione, deportazione, trasporto; numerose circolari danno istruzioni precise al riguardo. Lo scopo di questi eufemismi è impedire l’esistenza di certe realtà nel linguaggio e, con ciò facilitare agli esecutori la realizzazione del loro compito” [5].

Il lessico del male continua ad operare, a confondere per poter veicolare con i suoi messaggi la manipolazione delle coscienze.

Il linguaggio attuale cela il male, i tagli alla spesa pubblica sono chiamati tagli lineari; gli esseri umani sono chiamati consumatori, finanche consumatori di cultura; i lavoratori sono denominati risorse o capitale umano; lo sfruttamento è denominato lavoro flessibile ecc. Il male scompare dalle parole, non è pronunciato e in tal modo non è pensato.

Il linguaggio quotidiano ci svela nei suoi eufemismi i processi di sottomissione cognitiva e delle coscienze, eppure malgrado il tamburellare della lingua unica, anche nel presente ci sono ragioni per resistere nell’esempio di persone anonime che resistono alla disumanità del nichilismo passivo imperante. La storia ha nei suoi archivi nomi di uomini e donne che hanno resistito, non sono passati invano, per cui resistere è ricordare, per preparare la prassi. L’arretramento degli studi storici è un ulteriore sintomo del male che in nome della prestazione economica perfetta ed assoluta avanza ed a cui dobbiamo fare resistenza propositiva riportando la storia viva nel nostro quotidiano.

[1] TzvetanTodorov, Memoria del male, tentazione del bene, Garzanti elefanti, Milano 2015, pag.370

[2] Ibidem, pp. 373 374

[3] Ibidem, pag. 77

[4] Ibidem, pag. 343

[5] Ibidem, pag. 141


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -