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Migrazioni e Democrazia

Intervista a Luciano Canfora, rilasciata a Simonetta Gola, addetto stampa di Emergency.

di Redazione - mercoledì 30 agosto 2017 - 5438 letture

Perché i flussi migratori stanno mettendo alla prova i valori su cui si fondano le nostre democrazie?

I valori delle nostre democrazie sono in pericolo? Ce lo si chiede spesso e con ipocrisia e si addebita al flusso migratorio la causa della sconnessione tra cittadini e stato democratico. In realtà, la causa di questa sconnessione è molto più antica e remota. Le forze politiche, e non soltanto politiche, che non hanno mai gradito fino in fondo il meccanismo democratico, hanno finalmente un capro espiatorio cui addebitare il peggio che sta venendo fuori dalla comune percezione delle persone: razzismo, xenofobia, odio per l’altro. Tutto questo cova purtroppo nell’animo umano. Perché l’altruismo, la filantropia sono una conquista, l’egoismo è un dato di natura o per lo meno, è un accumulo coscienziale. Finalmente c’è un bersaglio: allora il compito di chi vuole contrastare questo modo di pensare, di agire, è piuttosto complicato. Per fortuna c’è sempre qualcuno che dice no, come si usa dire, e mi piace poter dire no anche io.

I valori che noi abbiamo messo a fondamento dell’Europa esistono solo per i cittadini europei e non sono accessibili a chi sta arrivando. Perché non siamo disposti a condividerli?

L’idea di Europa è un concetto che mi mette a disagio. Non è male ricordare che tra gli europeisti più accaniti, c’è stato il Fuhrer ed esiste una pubblicistica nazifascista che esalta l’Europa come alternativa al comunismo. Poi, nel tempo della guerra fredda, l’Europa è stata un’ottima risorsa per l’anticomunismo. L’idea di Europa mi mette a disagio per l’ipocrisia che racchiude dentro di sé ed anche per la difficoltà di definire il concetto geografico di Europa, cosa che mi piacerebbe porre come questione agli europeisti oltranzisti.
 La Costituzione Europea, cosiddetta, ha avuto una vita grama. All’inizio fu respinta dai francesi con Referendum. E’ un’idea molto egoista: siamo il giardino del mondo. I diritti che scriviamo in questa Carta Costituzionale sono il privilegio della parte più fortunata dell’umanità. Questo è il sottinteso.
 Mi viene in mente un paragone che si potrebbe istituire: i principi della Rivoluzione francese sono ben noti. Contengono tre parole formidabili, una delle quali è uguaglianza; fraternità anche non guasta. Bene, quando si pose il problema di abrogare la schiavitù nelle colonie francesi, alla Convenzione ci fu una discussione molto accanita. Quindi il sottinteso che divenne esplicito qual era? Abbiamo proclamato dei principi, ma valgono per noi, e i neri di Martinica e Guadalupa si arrangino. Ci volle una battaglia parlamentare per ottenere l’estensione a questi inediti cittadini di quei famosi diritti. Allora la migrazione dei popoli, sotto i nostri occhi, è la vera prova del nove di questa grama e molto ammaccata istituzione che chiamiamo Europa.
 Se sopravvivrà alla prova, dovrà trasformarsi e quindi il ruolo storico della migrazione dei popoli a cui assistiamo, sarà anche quello di migliorare questa strana costruzione.

Come i flussi migratori hanno inciso sulla nascita di populismi in Europa?

Io ho un rapporto pessimo con la parola "populismo", che è l’insulto che viene rivolto al nemico, a coloro che si vogliono demonizzare. Per esempio, potremmo elencare dei grandi populisti, uno potrebbe elencare dei grandi populisti, uno potrebbe essere Giuseppe Mazzini, "Dio e popolo".
 E’ una parola pessima, più una clava di Eracle che un concetto. Però al di là di questa mia idiosincrasia lessicale, c’è un problema, un fenomeno che al tempo della prima guerra mondiale, fu definito "Gingoismo", un termine del gergo americano indicante l’egoismo di ceto della classe operaia americana rispetto all’apertura verso esseri umani diversi dagli abitanti degli Stati Uniti d’America, appartenenti alla classe operaia. E questo elemento preesiste al fenomeno che noi vediamo oggi: penso alle migrazioni degli italiani negli Stati Uniti alla fine dell’’800, all’inizio del ’900.
 Oggi lo stesso fenomeno è sotto i nostri occhi e porta un pezzo importante della società a votare per Marine Le Pen, a votare Salvini. Naturalmente è molto comodo dire, se non ci fosse quello che c’è, se non ci fosse la migrazione di popoli, saremmo più tranquilli, ognuno svolgerebbe il suo ruolo. Ribadisco perché è un convincimento fermo che questa è l’epoca più importante della storia recente, in cui finalmente i grandi sentimenti democratici vengono posti dinanzi alla prova della loro onestà. Le nostre Costituzioni sono bellissime; se ne parla con aggettivi enfatici. Se fossero soltanto un bene riservato a pochi, cioè ai fruitori di partenza di quelle Costituzioni, avrebbero fallito il loro obiettivo. Invece per fortuna abbiamo una scadenza storica dinanzi alla quale dimostrare che crediamo in quei principi.

Come i flussi migratori hanno costruito l’Europa come la conosciamo adesso?

La mescolanza di genti diverse è fenomeno antichissimo. Noi ci troviamo in un angolo del mondo che Platone definiva "uno stagno", cioè il Mediterraneo, intorno al quale le grane gracidano. Il Mediterraneo è sempre stato un luogo di passaggio straordinariamente vivace. Ci sono state, nel corso del tempo, della storia e dei millenni, risposte diverse a questo fenomeno. Lo sintetizzo con due casi estremi.
 Da una parte la città greca è intrinsecamente xenofoba: regalare la cittadinanza ad uno straniero è un’operazione rarissima e comunque, contrastata e condannata. Si regala la cittadinanza ateniese a qualche sovrano del Mar Nero, che regala una partita di grano, per esempio in un momento di carestia, ma non certamente ai tanti stranieri che vivono nella città, producono, fanno funzionare interi comparti della realtà produttiva.
 Al capo opposto si può mettere il caso del mondo romano. C’è un discorso dell’Imperatore Claudio, in cui dice "Noi siamo nati da un coacervo di delinquenti, profughi, gentaglia, che Romolo ha trasformato in una città. La nostra forza è stata l’accoglienza e quindi, dobbiamo estendere la cittadinanza ben oltre il punto di partenza". Al tempo di Caracalla, all’inizio del III secolo dopo Cristo, tutti gli abitanti delle città, delle civitates o, per lo meno della parte urbana dell’Impero, ebbero una cittadinanza romana. Nel mondo greco questo sarebbe stato impensabile. Esistono due strade.
 Noi abbiamo lo stesso problema, in sostanza. Credo che una lezione storica su come è stato risolto questo problema nel corso dei millenni, ci aiuterebbe ad evitare comportamenti aberranti, come quelli che ogni tanto ci vengono proposti. C’è però da obbiettare, a questa mia troppo semplicistica esposizione, un gigantesco fatto storico. All’altezza del V secolo dopo Cristo, popolazione germaniche, sospinte a loro volta da altre popolazioni asiatiche, entrarono dentro l’Impero romano. Fu questa la causa della fine di quella realtà storica? Forse no.
 Dalla mescolanza nacquero realtà storiche nuove. Quindi potremmo dire che l’Impero romano non è finito; è diventato altro arricchendosi per l’apporto di coloro che sono sopraggiunti. Saremo capaci anche noi di fare questo?

Luciano Canfora (Bari, 5 giugno 1942) è un filologo classico, storico e saggista italiano.


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