La sfida di una politica di donne e di uomini

Biblioteca delle donne e Centro di consulenza legale UDIPALERMO e La Città Felice-CATANIA

di Redazione Sherazade - sabato 20 ottobre 2012 - 3972 letture

La sfida di una politica di donne e di uomini

Biblioteca delle donne e Centro di consulenza legale UDIPALERMO e La Città Felice-CATANIA

Catania e Palermo sono città dove le donne hanno sempre costruito buone pratiche politiche: a Palermo, attraverso le attività della Biblioteca delle donne e Centro di consulenza legale UDIPALERMO per far conoscere e diffondere nella società e nella scuola parole di donne autorevoli che insegnano un modo diverso di stare al mondo, mutano lo sguardo sull’esistente e forniscono esempi di libertà e di alta mediazione con la realtà; a Catania, attraverso le attività de La Città Felice, per proporre un’idea di governo della città che fa della cura, della sapienza e dell’arte le chiavi interpretative dei problemi e le basi su cui costruire soluzioni. Le nostre associazioni sono state in questi anni luoghi fisici e simbolici di scambio, di espressione di giudizio, di proposte e gesti di libertà, luoghi di una politica centrata sulla relazione e mediazione, che ci ha consentito di guadagnare forza e autorità anche all’esterno, nel rapporto con altre/i. Per questo abbiamo voluto confrontarci, a partire dalle nostre pratiche, su ciò che sta avvenendo oggi in un momento molto critico e offrire i nostri spunti di riflessione.

In prossimità delle elezioni, regionali e politiche, tornare a votare si presenta come un rituale logoro e vuoto. Si sono accentuati il disagio e l’insofferenza verso una politica inefficace, fatta di privilegi, incapace di parlare ed agire sulle questioni che contano e che ha portato perdita di autorevolezza e deficit di senso. Questa politica ci corrisponde sempre meno e continua a suscitare un’insoddisfazione che non esclude neanche la sinistra. Ci troviamo alle prese con un ceto politico sempre più autoreferenziale, distante e distaccato dalla vita reale di donne e uomini, dai bisogni, dai sacrifici ed anche dalle sofferenze di larga parte della popolazione, che esso stesso ha determinato con scelte economiche e normative ingiuste, che hanno altresì cancellato diritti conquistati in decenni di appassionato impegno politico di milioni di cittadine e cittadini. E’ per questo che è ulteriormente aumentata la distanza di buona parte della popolazione dal sistema politico ed è in caduta libera la credibilità non solo dei politici ma delle stesse istituzioni.

Insieme all’agonia in cui si dibatte il patriarcato e al disordine simbolico che ne consegue, assistiamo di fatto agli ultimi contorcimenti di un ceto politico asserragliato nei luoghi del potere e che ancora una volta si appresta a mettere in campo meccanismi capaci di garantire solo la propria sopravvivenza. Così la sfiducia generalizzata diventa senso comune anche fra cittadine/i consapevoli, mentre aumenta, da parte sia di donne che di uomini, la necessità vitale di non lasciarsi trascinare dalla fiumana demolitrice della politica degradata e dell’antipolitica.

Ancora una faccenda fra-uomini, dunque, che riguarda il loro rapporto con il potere, una questione che il mondo maschile non sa/non vuole riconoscere ed affrontare. Per riportare credibilità alla politica e restituire valore ad una sfera pubblica screditata non bastano, però, le dichiarazioni. Sarebbe invece necessario che da parte maschile ci fosse un agire politico sganciato dai dispositivi del potere e che alle parole corrispondessero i comportamenti, vale a dire una coerenza tra quello che si dice e quello che si è e si pratica.

Una faccenda fra-uomini per risolvere la quale non basterebbe neanche il 50/50 se questo avvenisse per un uso maldestro, per non dire strumentale, delle donne (senza le quali la scena politica istituzionale appare ormai sempre più impresentabile) o per un “adattamento” delle donne stesse ad abitare questa scena secondo parole e comportamenti che imitano parole e comportamenti maschili. Essere donna non basta se non c’è anche la capacità e la determinazione a mettere in campo un rapporto diverso con il potere, altre pratiche di relazione e mediazione, forza femminile.

Davanti ad una indignazione collettiva che ha raggiunto livelli molto alti, davanti a parole che non corrispondono più a fatti e comportamenti, si apre uno scontro simbolico sul senso della politica rispetto al quale sentiamo la responsabilità di esprimerci con chiarezza. Ciò che ci orienta è il senso autentico dell’agire politico, la necessità di riportare la politica in luoghi nei quali sembra non abitare più, e ciò a prescindere dalle diverse intenzioni di ciascuna di noi riguardo, ad esempio, alle imminenti elezioni regionali o quelle politiche che si avvicinano.

Ci riferiamo ad una politica intesa come passione del confronto, agita in prima persona, che si verifica nella vita e nella relazione anche conflittuale, che dà valore e significato all’esperienza, come ci ha insegnato il femminismo, le cui istanze radicali sono vive e “sono da rimettere in gioco soprattutto oggi di fronte agli effetti di una crisi che sembra non avere via d’uscita e a una politica sempre più subalterna all’economia”(dal documento Primum vivere anche nella crisi, la rivoluzione necessaria-Paestum 2012).

Di questa politica c’è bisogno in un momento in cui ci troviamo di fronte all’esplodere di una contraddizione: da un lato viene meno il consenso alla stessa democrazia basata sulla rappresentanza che mostra oggi tutta la sua inadeguatezza, ma la cui crisi va in una direzione diversa rispetto alla critica avanzata dal femminismo, dall’altro c’è l’occasione per fare vivere una politica autentica che non si sostituisca al senso dell’esserci in prima persona. L’esplodere di questa contraddizione genera in noi non solo perplessità ma un vero e proprio disorientamento che ci impone di risignificare le nostre pratiche per rimetterle in gioco. Avvertiamo l’esigenza di uscire dal piano sul quale questa contraddizione non è componibile e la necessità di andare oltre, verso una politica intesa come cura del bene comune e verso la costruzione di nuove mediazioni, nuove forme di aggregazione politica.

Siamo consapevoli che per costruire il nuovo non basta la sola denuncia, è necessario invece fare esistere forme politiche più adatte a ridefinire le condizioni del nostro vivere a partire dall’esserci responsabilmente in prima persona, facendo contare l’autorità delle pratiche politiche e dei saperi delle donne, usando inventiva e capacità creativa.

Si tratta di ricostruire uno spazio pubblico che versa in gravi condizioni di degrado non solo al livello della politica istituzionale ma, ancor di più, al livello della vita civile dove strutture fondamentali del vivere – la formazione, la cultura, il lavoro, i rapporti tra le generazioni e tra i sessi, la politica stessa – patiscono gli effetti della dipendenza perversa da una finanza vorace e violenta, di un potere che si sostanzia della distruzione dei rapporti umani, del lavoro, dei diritti, dei servizi.

Si tratta di aprire spazi di narrazione/azione (simbolici quindi ma non solo di “parola”) che ricreino le condizioni di un’indipendenza simbolica dal discorso dominante. Perché non diventino senso comune e non si cristallizzino in scelte politiche inefficaci e controproducenti quelle “narrazioni” sulle quali si è costruita e sviluppata la risposta alla crisi ¬ ci riferiamo ad esempio alle contrapposizioni tra garantiti e precari, tra genitori e figli (che non ha senso nominare come figure sociali con interessi contrapposti), tra modelli di vita antitetici, quello “della sobrietà e del debito” (modello “tedesco”) e quello “del godimento e del consumo” (modello “mediterraneo”), di fatto due facce della stessa medaglia in un’economia che sempre più sottrae alle comunità (e alle singole persone) il controllo del proprio destino. Perché, al contrario, comincino ad entrare nell’esperienza e nel discorso politico comune sia l’idea di un nuovo welfare non più segnato dallo sguardo maschile, sia la relazione tra lavoro produttivo e lavoro di manutenzione dell’esistenza, che è il lavoro necessario a tutti e che le donne garantiscono, ma che è simbolicamente invisibile e sul quale parte del femminismo italiano ha già da tempo avviato una pratica di riflessione e di parola a partire dall’esperienza.

La rovina maschile delle forme della politica è davanti ai nostri occhi. Per le donne e per gli uomini consapevoli di questa crisi la sfida è costruirne altre a partire dall’esperienza e dalla vita quotidiana. Le pratiche, le esperienze e i modi di una politica prossima alla vita, alle relazioni e ai bisogni sono le nostre pratiche; su queste occorre far leva per cominciare a ricostruire il “bene comune”, a ridefinire cioè cosa ci tiene insieme ¬ qualcosa che non è riconducibile solo ai “beni” (per quanto importante sia incoraggiare forme di aggregazione e movimento che evocano forme di autogoverno dell’economia) ¬ in un impegno interessato a far crescere la consapevolezza, la volontà, la fiducia che il cambiamento è possibile.


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