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La musica tra luoghi comuni e realtà storica

Nei campi di sterminio orchestre e cori di detenuti accompagnavano le adunate, l’ingresso dei nuovi deportati nonché le loro esecuzioni a morte.

di Silvia Zambrini - mercoledì 27 gennaio 2021 - 3136 letture

L’entusiasmo per la musica, specie da parte di chi ci si dedica con passione, è coinvolgente. Ma anche in questo caso, diversi utilizzi di un’unica cosa mostrano aspetti che sfuggono al candore dei luoghi comuni.

“Se ci fosse più musica ci sarebbero meno guerre, meno conflitti...”

Tra tutte le arti la musica è l’unica che, a proprio discapito, è riuscita ad adattarsi all’organizzazione dei campi di sterminio, alla fame, all’indigenza, al lavoro, al dolore, all’umiliazione e alla morte.” - Pascal Quignard, in L’odio della musica, EDT, Torino 2015.

shoah Le altre arti non godono dell’immediatezza del suono. I regimi totalitari del ’900 poterono avvalersi dell’amplificatore quale autorevole mezzo di comunicazione. Nei campi di sterminio orchestre e cori di detenuti accompagnavano le adunate, l’ingresso dei nuovi deportati nonché le loro esecuzioni a morte. Ma il vero martellamento acustico, cui non potersi sottrarre in alcun modo, veniva dagli altoparlanti che riproducevano incessantemente canti patriottici, marce militari, discorsi del Führer via radio. Suoni e musiche, dal vivo e registrati, si univano a uno sfondo quotidiano di insulti, grida e fischi di richiamo da parte di sorveglianti e Kapò.

“La musica rende liberi”

Il ritmo delle marce, dei cerimoniali durante le adunate e altri rituali fini a sé stessi, serviva a rendere la vita dei prigionieri ancora più dura e umiliante. I lager ridondavano di musica e ritmi animati.

Dopo l’appello del mattino [...] dovevamo correre alla nostra baracca, prendere i nostri strumenti ed avviarci velocemente sul podio situato davanti all’uscita principale del campo. Appena risuonava il colpo di fischietto, l’orchestra, sotto la bacchetta del direttore, si metteva a suonare mentre la sfilata dei prigionieri schiavi cominciava. […] Guai a chi non marciava a passo militare! E noi dovevamo continuare a suonare senza mai fermarci.” - Jacques Stroumsa, violinista ad Auschwitz, in The Auschwitz Poems, pubblicato dal Museo Statale di Auschwitz-Birkenau, 1999.

Canti tedeschi dovevano essere ripetuti fino allo sfinimento durante i lavori forzati. Servivano anche a impedire che i detenuti comunicassero tra loro. Chi non sapeva le parole veniva picchiato, anche chi cantava troppo piano, o troppo forte. I compositori più volte hanno dovuto scrivere musica che denigrasse la loro origine come Judenlied (canto dell’ebreo, scritto a Buchenwald), che narra come gli ebrei avessero ingannato e mentito per denaro.

“La musica non può mai dare fastidio”

Simon Laks, violinista e direttore d’orchestra nel campo di Auschwitz, racconta di un concerto nel reparto femminile dell’ospedale, con le ricoverate che, a pochi minuti dall’inizio, esortavano disperatamente gli strumentisti ad andarsene.

Non mancano pubblicazioni che dichiarano, non senza una certa enfasi, che la musica confortava i prigionieri e dava loro la forza di resistere. Altri affermano che quella musica produceva l’effetto contrario: demoralizzava gli sventurati e ne precipitava la fine. Quanto a me, condivido questa ultima opinione.” - Simon Laks, in Pascal Quignard, op. cit.

Si da per scontato che l’intrattenimento sonoro debba sempre e comunque far piacere. Attualmente in diversi ospedali e ambulatori vengono trasmesse musiche e programmi radio attraverso diffusori acustici nelle corsie e sale d’aspetto.

“La musica riesce a toccare il cuore di ognuno”

Possono gli uomini che sono in grado di piangere ascoltando la musica essere in grado di commettere così tanta crudeltà verso il resto dell’umanità?” - Simon Laks, id.

Ad Auschwitz-Birkenau un’orchestra di donne, diretta da Alma Rosè Mahler nipote del compositore Gustav Mahler, svolgeva concerti per i tedeschi. Nel pubblico c’era chi ascoltava fino a commuoversi, altri erano lì più per vedere che per ascoltare, senza nascondere espressioni di disprezzo. Tra chi ascoltava con attenzione c’era Josef Mengele, il medico di Auschwitz soprannominato "L’angelo della morte" per i suoi esperimenti sui bambini, che più volte chiese personalmente gli fosse eseguito “Sogno”, tratto dalla raccolta “Scene infantili” di Robert Schumann: un brano pianistico di particolare intensità e dolcezza, utilizzato anche come melodia da carillon per far addormentare i più piccoli...

“La musica aiuta a dimenticare”

Per i musicisti hanno sistemato delle panche nell’area dei crematori. Non ci sono leggii. Dobbiamo suonare a memoria. Suoneremo per persone che presto verranno bruciate. Ma da chi? Forse proprio da noi? È un mistero...” - Simon Laks, id.

Nel Lager la musica trascinava verso il fondo. [...] Era la musica ad accompagnare l’ingresso di quei corpi nudi nelle camere a gas.” - Primo Levi, in Pascal Quignard, op. cit.

Diversi musicisti sopravvissuti al lager furono in seguito ossessionati dal senso di colpa per aver dovuto suonare o dirigere mentre la gente veniva spinta nelle camere a gas; o per aver dovuto scrivere quelle colonne sonore. Le sofferenze psichiche li costrinsero ad abbandonare la musica per sempre. Altri (non solo musicisti) non la vollero mai più ascoltare.

“La musica riesce a nascondere il dolore”

Presentato dalla propaganda come esempio di insediamento ebraico, in realtà luogo di smistamento principalmente verso Auschwitz e Treblinka, il campo di Theresienstadt era un centro grandioso di organizzazione musicale, tra conferenze, seminari, opere e concerti con repertori dal rinascimento al contemporaneo. Non mancavano musiche ebraiche e persino composizioni jazz (un genere che i nazisti disprezzavano per la stravaganza dell’improvvisazione, etichettato come musica degenerata assieme ad altre forme non classiche o dodecafoniche). Scopo di quest’apertura culturale era contribuire a nascondere le atrocità che lì dentro venivano commesse. Brundibar di Hans Krása, opera che narra una fiaba, interpretata dai bambini stessi del campo, fu rappresentata 55 volte visto il successo, ancora più beffardo se si pensa che nel ’45, dei 15000 bambini rinchiusi nel lager ne erano sopravvissuti 1800. Noto anche l’episodio del Requiem di Verdi su richiesta dei carcerieri nazisti, per il quale il direttore d’orchestra Rafael Schächter aveva raccolto 150 coristi. All’indomani della rappresentazione, il 6 settembre 1943, furono tutti spediti ad Auschwitz.

“La musica rende tutto più leggero”

La musica si presta facilmente a momenti di ironia e canzonatura, che nel lager si traducevano in ulteriore cinismo. A Sobibòr, durante l’appello, il comandante Gustav Franz Wagner costringeva gli ebrei a improvvisare dei canti facendo finta di dirigere.

A Mauthausen, a seguito di un fallito tentativo di fuga, il detenuto Hanz Bonarevitz veniva accompagnato durante la sua esecuzione dalla canzone J’attendrai, suonata da un’orchestrina di gitani. Prigionieri comunisti dovevano cantare l’Internazionale mentre scavano la propria fossa.

“La musica è al di sopra di ogni altra cosa”

Sulla base del fascismo di Mussolini, ma con molta più efficacia, il vero veicolo di musica e informazioni utilizzato dai nazisti fu la radio. Nel 1933 il Ministro della propaganda Goebbels fece produrre una radio molto economica, che tutti potessero acquistare: Volksempfänger (ricevitore popolare), cui nel 1938 ne fu affiancato un altro ancora più piccolo DKE (deutsche kleine Volksempfänger), dotato di una valvola speciale con funzione di amplificatore.

La potenza del suono era essa stessa emblema della supremazia ariana. L’aspetto più spietato di tutta questa pressione elettroacustica fu il suo impiego nei lager giorno e notte, a volume più alto possibile. “Noi ci guardiamo l’un l’altro dai nostri letti, perché tutti sentiamo che questa musica è infernale.” - Primo Levi, id.

Attualmente un utilizzo malvagio dei mezzi di diffusione sonora continua in certe carceri e luoghi di detenzione. Un utilizzo mai superato, anche se apparentemente innocuo, è quello di intrattenimento sonoro non richiesto, oggi attraverso televisioni e radio interne ad uffici, punti vendita, servizi al cittadino. Sempre per mezzo di tecnologie scadenti perché, anche in questi casi, la qualità d’ascolto non è prioritaria.

La musica è anche elemento di prevaricazione: si può non guardare ma si è costretti a sentire. Ai musicisti il compito di sensibilizzare gli altri anche su questo aspetto. Per onorare il passato, affrontare il presente, salvaguardare il futuro e la musica stessa.


Immagine: L’attrice Jane Alexander interpreta Alma Rosè Mahler nel film Plying for time di J. Sargent, tratto dal libro autobiografico della sopravvissuta Fania Fénelon, cantante, pianista membro dell’orchestra femminile di Auschwitz-Birkenau.


L’articolo è stato pubblicato anche su Fana.one.



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