Il Sessantotto

Marcello Flores- Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino, 1998 (2003), recensione di Marco Grispigni

di Pina La Villa - sabato 24 gennaio 2009 - 4596 letture

Marcello Flores- Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Il Mulino, 1998 (2003)

Il libro di Flores e De Bernardi è uno dei prodotti più felici tra quelli usciti in occasione del trentennale del ’68. Prima di tutto l’approccio internazionale: il ’68 non è una questione del cortile di casa nostra, una perenne disputa fra pentiti, nostalgici della propria giovinezza e via dicendo. Il ’68, come pochi altri studi con approccio storiografico avevano già ricordato (si pensi al libro di Peppino Ortoleva ristampato quest’anno e al saggio di Marco Revelli nella Storia dell’Italia repubblicana di Einaudi) è un evento che presenta la rara caratteristica della simultaneità in parti diverse del mondo. Il ’68 è un evento mondiale. Quindi gli autori mettono al centro della loro analisi questa particolarità dividendo il volume in due capitoli, "Il contesto internazionale" opera di Flores, e "Il Sessantotto italiano" scritto da De Bernardi.

In secondo luogo la scelta meritoria di non trascurare il nodo della narrazione storica del ’68. Nel libro, infatti, l’evento ’68 è anche ’raccontato’ (parzialmente come è logico per motivi di snellezza del volume). Come affermano gli autori nella "Premessa": "La nostra scelta di "isolare" il ’68 non nasce da un feticismo per la data, la ricorrenza, la cronaca, anche se riteniamo che l’analisi storica non possa mai prescindere dalla "narrazione" del suo oggetto d’indagine. E’ la convinzione che solo la restituzione al ’68 del suo carattere di "evento", in qualche misura chiuso in se stesso, può permettere di comprenderlo nella sua specificità: all’interno del decennio e all’interno della storia delle ribellioni di questo secolo" (p. 8)

A mio parere in questa affermazione vi sono due elementi di fondamentale importanza: il primo, come già accennato, è il problema della narrazione, il secondo è il rifiuto di concentrare l’attenzione sugli esiti del ’68 più che sulle cause e soprattutto sul suo dispiegarsi. Il problema della narrazione è un nodo di fondamentale importanza nella riflessione storiografica nazionale e internazionale. Fu molto discusso un famoso saggio di Lawrence Stone, tradotto in italiano nel 1981, Il ritorno della narrazione, nel quale il problema del ’racconto’ storico era affrontato alla luce degli insegnamenti della scuola delle Annales cercando di evitare qualsiasi forma di ritorno nella storia evenemenziale, ma ponendosi anche il problema della narrazione spesso limitata e abbandonata a favore della esclusiva problematizzazione storiografica.

Questo problema è particolarmente evidente nella storiografia italiana, dove, a livelli accademici, la narrazione viene spesso considerata in maniera negativa, come segnale dell’incapacità di mettere a fuoco i problemi storiografici. In conseguenza nella produzione storiografica nazionale spesso risulta assente il momento del racconto storico. Non a caso di fronte a questo tipo di produzione scientifica, tutta rinchiusa all’interno di una circolazione accademica, l’arrivo sul mercato editoriale di opere di storia, soprattutto di scuola anglosassone, incontra spesso il successo fra il pubblico. Si pensi, a tal proposito, all’incredibile successo editoriale che spesso arride ai prodotti storiografici di scuola anglosassone, nei quali il problema della narrazione degli eventi viene invece affrontato con la dovuta attenzione (sia letteraria, che di centralità nell’architettura di un lavoro di storia). E’ il caso dei libri di Dennis Mack Smith e per quanto riguarda la storia dell’Italia repubblicana il vero e proprio exploit rappresentato una decina d’anni fa dal successo del lavoro di Paul Ginsborg (che non a caso sollevò acredine e perplessità in molti storici della nostra dorata accademia). Questo problema risultava ulteriormente aggravato al momento di affrontare un argomento come il ’68 e dintorni, rispetto al quale l’approccio principale era quello di analizzarne gli esiti, alla luce degli anni successivi (sia che si ponesse al centro il tema della continuità dell’uso della violenza e quindi dello sbocco nel terrorismo, sia che fossero altri i temi al centro dell’attenzione come la crisi della politica, la modernizzazione e via dicendo).

Sta di fatto che solamente da questo anno, grazie a questo volume e al Cd rom del Consorzio Media 68 (per il quale si veda la scheda successiva), sono disponibili in italiano dei testi nei quali è possibile conoscere la storia del ’68, gli eventi che in quell’anno si sono intrecciati e che nella loro complessità hanno fatto di quell’anno, un anno simbolico nella storia della seconda metà del secolo. Grazie a queste opere abbiamo oggi la possibilità di conoscere (o ricordare) avvenimenti che ebbero un ruolo fondamentale nel determinare l’evoluzione dei vari 68 nel mondo e, per il principio della rapida circolazione delle idee e dei fatti che in quell’anno sconvolse le geografie politiche e mentali, dell’intero movimento. Prima delle interpretazioni i fatti.

Non si tratta assolutamente di una sorta di ritorno allo storicismo positivistico tedesco alla Ranke, la storia come "was eigentlich gewesen". Bensì di una consapevolezza diversa per la rilevanza degli avvenimenti e della loro ricostruzione nel quadro di un lavoro di tipo storiografico. I nessi e i problemi di interpretazione storiografica devono partire dalla descrizione degli avvenimenti, dalla loro narrazione con l’ausilio delle fonti (di nuove fonti possibilmente). Solamente questo tipo di approccio, come per altro più volte abbiamo ricordato in questa piccola rivista, ci potrà salvare dalle intepretazioni ideologiche, ricche di certezze ’a priori’, o dalla stucchevole memorialistica che si erge a unica fonte possibile per la narrazione dei fatti.

Infine un ultimo punto che a mio parere risulta di notevole interesse nel lavoro di Flores e De Bernardi: la capacità di tenere insieme la questione generazionale del ’68 con quella politica. Personalmente ritengo questo uno dei nodi fondamentali per l’interpretazione dei movimenti degli anni ’60 e ’70. Spesso però anche nelle ricostruzioni storiografiche si assisteva alla formalizzazione di una cesura fra la dimensione generazionale e quella politica. Indubbiamente la categoria ’generazione’ non è di facile utilizzo per uno storico, a causa della sua indeterminatezza e sfuggevolezza, ma credo che una delle caratteristiche peculiari del ’68 sia proprio quella di dare in qualche modo ’carne e sangue’, da un punto di vista storiografico, alla categoria dei giovani. Affermano giustamente gli autori che "è solo nel ’68 che la loro storia [dei giovani] sembra acquistare una dimensione propria, autonoma, che permette in qualche modo di fondare, anche retrospettivamente, la categoria "gioventù" come soggetto del processo storico" (p. 9).

In conclusione sicuramente un libro molto interessante, e purtroppo ancora per certi versi isolato nel panorama della produzione intorno al ’68. Sicuramente molti punti e alcune interpretazioni sollevate nel corso della narrazione, sia per quanto riguarda il contesto internazionale che quello nazionale (ad esempio la periodizzazione 1958-73 del ciclo politico e sociale italiano) mi lasciano più perplessi; rimane però il giudizio assolutamente positivo e la speranza che a questo lavoro ne seguano altri, magari meno di sintesi e più attenti ad alcuni aspetti particolari, capaci di fare avviare definitivamente la riflessione storiografica sulla ’stagione dei movimenti’.


Fonte: Media68


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