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Giro78
L'orrore di quel voto sporco
di Alex Zanotelli, da Liberazione 11
novembre 2001
Dalla lontana Nairobi, apprendo con profondo
orrore che anche l'Italia
ufficialmente entra in guerra. Con un voto scellerato del
Parlamento, il
tanto decantato tricolore si renderà complice e autore
di morti di migliaia
di civili, di assurde stragi, di bombardamenti su città,
villaggi, su
popolazioni inermi, ridotte alla fame da condizioni di vita
disperate. Un
voto di una gravità inaudita quello del nostro Parlamento,
che colloca
l'Italia in una pagina nera della storia del mondo, una
pagina listata a
lutto e datata mercoledì 7 novembre 2001. A lungo
porteremo con noi le
conseguenze tragiche di quel voto, perché con quel
sì alla guerra, non
soltanto avalliamo decisioni politiche partorite dall'Impero,
ma perdiamo
anche una grande occasione: quella di dire no agli orrori,
quella di dare
finalmente a questo Paese dignità e spessore in un
momento così
fondamentale per le relazioni internazionali. La mia costernazione
non sarà
mai abbastanza rispetto agli effetti che quel voto "sporco"
sarà capace di
produrre. Dai ghetti-discarica di Nairobi, dove milioni
di persone vivono
ammassate una sull'altra, dove i liquami degli scarichi
fognari penetrano
nelle baracche disegnando solchi di una puzza insopportabile,
dall'Italia
mi sarei aspettato notizie più confortanti che non
uno squallido e stupido
trionfalismo guerrafondaio. Tanto più squallido e
tanto più stupido in
quanto sostenuto da quegli esponenti del centrosinistra
che sembrano aver
dimenticato i valori dell'uomo, del vivere civile, del rispetto
delle
culture altre. E scelgono di imbracciare il moschetto. Le
parole di Rutelli
e degli altri guerrafondai della sinistra pesano come macigni
sulla storia
del nostro Paese e io mi domando: ma che sinistra è
mai quella che spedisce
i popoli all'inferno? Già prima del 13 maggio, avevo
avvertito il pericolo
che poteva provenire da una maggioranza parlamentare di
centro-destra
guidata da Silvio Berlusconi. Oggi quel pericolo è
una realtà e i risultati
sono sotto gli occhi di tutti. Gli italiani dovrebbero riflettere
sull'affidabilità di un premier che scende in piazza
a sostegno della
guerra e su una parte consistente del centro-sinistra che
arriva ad
ossequiarlo. Mercoledì 7 novembre, l'Italia che ha
detto sì alle bombe,
nello stesso tempo ha calpestato la propria Costituzione,
quella che
all'articolo 11 dice testualmente: «L'Italia ripudia
la guerra come
strumento di offesa alla libertà degli altri popoli....».
Possibile che la
gravità di questa cosa lasci indifferente il Presidente
della Repubblica,
che della Costituzione deve farsi garante? Mi giungono notizie
di appelli
alle famiglie italiane perché tengano un tricolore
in casa: ma a queste
famiglie, viene detto che quel tricolore da oggi è
macchiato di sangue? Ci
vogliono far credere che quella votata mercoledì
sia una guerra necessaria,
contro il terrorismo, uno strumento indispensabile per ridare
all'Italia
quel ruolo che le competerebbe a livello internazionale.
Mai ascoltate
tante falsità in una sola volta. Guerra necessaria
è un binomio creato ad
arte da chi pensa soltanto ai propri spudorati interessi,
da chi non
conosce le vie del dialogo e della pace, da chi non ha nessuna
considerazione della vita umana. Ogni guerra fa stragi di
civili e così
sarà anche in questo caso. Lo sa il presidente Ciampi?
Guerra al terrorismo
è concetto altrettanto falso, perché altrimenti
dovremmo combattere tutti i
terrorismi, tutte le ingiustizie, tutte le stragi. Ma così
non è. Che cosa
dovremmo pensare, allora, di chi uccide 30-40 milioni di
persone ogni anno?
E' il numero dei morti "dimenticati", morti di
fame, di malattie, morti in
conflitti regionali dei quali nessuno parla, bambini morti
per sfruttamento
sul lavoro, per schavitù: il ricco occidente non
può dirsi estraneo a
queste tragedie. L'appuntamento che si è dato oggi
a Roma il popolo della
pace è di quelli da non perdere, perché far
sentire alta la propria voce
oggi contro questo vergognoso interventismo diventa più
di un dovere,
diventa, questa sì, una scelta necessaria per indicare
le vie della non
violenza, del dialogo, della giustizia. Da questa lontana
terra, anche io
griderò «non sono d'accordo». Tra qualche
anno ci diranno che avevamo
ragione. Speriamo che non sia troppo tardi.
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