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Dopo
la sconfitta
di Augusto Cavadi (questo testo è stato diffuso
in discussione all'interno della lista di palermoperlapace)
Abbiamo perso. Quelli che - sforzandoci di perdonare alla
maggioranza uscente i suoi molti errori e le sue ancor più
gravi omissioni - abbiamo votato e invitato a votare Ulivo
(o comunque non per Berlusconi né per Andreotti) abbiamo
perso. L'orrendo metodo maggioritario ha il merito, indiscutibile,
di evitare sofismi: si sa abbastanza chiaramente chi ha
vinto e chi ha perduto. Accettata la sentenza delle urne
(che, per i democratici sinceri, è come quella dei tribunali:
né perfetta né sostituibile con alternative credibili),
si apre adesso la stagione della riflessione, dell'autocritica
e dei propositi. In che senso si evolverà l'Italia nei prossimi
cinque anni?
L'amarezza di queste ore è dettata, almeno in molti, dal
timore che - contro il Paese del futuro; contro il Paese
della legalità, dell'equità, dello sviluppo solidale, dell'apertura
all'Europa, della collaborazione con i Sud del mondo; contro
il Paese, insomma, di chi non butta la carta sporca sui
marciapiedi, di chi ricicla la plastica, di chi adotta bambini
abbandonati, di chi paga le tasse pur volendone pagare meno
grazie ad un governo che le faccia pagare a tutti - abbia
vinto il Paese antiquato; il Paese delle sentenze truccate,
delle collusioni con la mafia, dell'arricchimento di alcune
regioni anche a costo del loro ulteriore impoverimento culturale
ed etico, dell'inaffidabilità internazionale, della chiusura
egoistica e alla fin fine autolesionista delle frontiere
anche alla stragrande maggioranza onesta e laboriosa degli
immigrati; abbia vinto il Paese, insomma, di chi costruisce
sulle spiagge, avvelena i fiumi, si arricchisce parassitariamente
in Borsa con i risparmi sudati degli altri, evita con espedienti
più o meno legali di pagare quelle tasse proporzionate ai
suoi introiti che permetterebbero allo Stato sociale di
garantire anche ai più poveri sanità, istruzione e servizi
essenziali.
Questa amarezza, questo timore - diciamola tutta: questa
angoscia - si può contrastare con due considerazioni ed
un proposito. Prima considerazione: siamo proprio sicuri
che se avessimo vinto "noi" (chi ha votato Ulivo o Rifondazione
o Italia dei Valori) avrebbe vinto il Paese pulito? Era
questa la ragione del nostro impegno, ma non sempre suffragata
dalla obiettività delle nostre analisi. L'Ulivo ha presentato
candidati di ogni risma, anche persone che hanno più volte
cambiato casacca a seconda delle convenienze e che, da buoni
ex- democristiani ed ex-socialisti dei tempi d'oro, hanno
fatto campagna elettorale con cene luculliane e sorteggi
di ricchi premi fra i partecipanti ai comizi; Rifondazione
ha presentato candidati talora premiati per la loro obbedienza
alle direttive centralistiche più che per originalità di
proposte e libertà di iniziativa; Italia dei Valori ha presentato
candidati talora un po' naif che si affacciavano per la
prima volta in politica attiva con una incompetenza superiore
alla rettitudine d'intenzione.
Né Ulivo né Rifondazione né Italia dei Valori hanno avuto
il coraggio di spezzare antiche logiche e di fare spazio
adeguato nelle loro liste, ad esempio, alle donne, ai cittadini
di colore, ad esponenti del volontariato. Forse, dunque,
anche se avessimo vinto noi, non avrebbe vinto a tutto tondo
il Paese del futuro che ci sta a cuore. Seconda considerazione:
siamo proprio sicuri che, dato che hanno vinto "loro", ha
vinto soltanto il Paese inquinato? Dobbiamo sperare, anche
contro ogni evidenza, che dietro Berlusconi non ci siano
solo mafiosi in trasferta, evasori fiscali, proprietari
di ville abusive; che dietro Bossi non ci siano solo industrialotti
miopi, xenofobi di provincia, nostalgici del medioevo; che
dietro Fini non ci siano solo censori di libri di testo
e rivalutatori di Mussolini; che dietro Buttiglione e Casini
non ci siano solo clerico - dipendenti timorosi della laicità
di cui Gesù per primo ha dato il modello. Dobbiamo sperarlo
e cercare di individuare, negli angoli più riposti della
Casa delle libertà, questi potenziali interlocutori in buona
fede e dimostrare loro, con scelte precise e gesti concreti
di collaborazione, che, pur dall'opposizione, siamo interessati
solo al bene comune.
Dobbiamo dimostrare che i veri democratici non hanno un
'partito' preso, ma sono sempre al servizio di ciò che migliora
la qualità della vita della maggioranza e degli emarginati.
L'obiettivo - questo dovrebbe essere il nostro proposito
sincero - non è di arrivare alla stanza dei bottoni, ma
di far crescere la coscienza civile (etica e politica a
un tempo) complessiva del Paese in modo che tutti i cittadini,
di sinistra e di destra, si sberlusconizzino, cessino di
assolutizzare il profitto, di deridere chi mantiene la parola
data, di vantarsi della propria furbizia a spese degli inermi.
L'Italia per la quale vale la pena continuare a lavorare
- nel quotidiano delle scuole, dei centri sociali, delle
parrocchie, dei movimenti - è un'Italia che possa scegliere
fra le ricette del conservatorismo illuminato (rappresentato
da persone della stessa stoffa di Paolo Borsellino, di Indro
Montanelli o del governatore della Banca d'Italia Fazio)
e quelle del progressismo illuminato (rappresentato da persone
della stessa stoffa di Giovanni Falcone, di Eugenio Scalfari
o del ministro Nesi). Un'Italia che avesse non dico eliminato
(perché non è realistico supporlo) ma relegato in quarta
e quinta fila gli arrampicatori e i demagoghi (di destra,
di centro e di sinistra) potrebbe affrontare i prossimi
appuntamenti elettorali non come si va alla "crociata" -
nel timore che se vincono i barbari "non faranno prigionieri"
(Previti) - ma con la sana curiosità di capire quali programmi
e quali dirigenti sono più adatti, o meno inadatti, a governare
l'era - comunque problematica - della globalizzazione.
Di fatto, sino ad oggi, la contrapposizione fra destra
e sinistra è stata, o è sembrata con molte ragioni, la contrapposizione
fra clientelismo affaristico e voglia di trasparenza: ma,
di diritto, non dovrebbe essere così. Questa situazione
snatura le opzioni progettuali, ideali, culturali: costringe
gli onesti di destra a votare per la sinistra o a non votare
e spinge i disonesti di sinistra a votare per la destra
o a non votare. Dall'opposizione, rigorosa e costruttiva,
dobbiamo continuare a faticare perché alle prossime elezioni
si possa optare fra due (o - meglio ancora - più) idee di
civiltà, non fra chi ha la fedina penale immacolata e chi
ha bisogno di miracoli per chiudere i conti con la giustizia.
Certo, con un presidente del consiglio inaffidabile, non
ci si possono fare illusioni: ma, con tutti i mezzi democratici
possibili, dobbiamo perseverare nell'obbiettivo che le prossime
elezioni assomiglino non, come queste, ad un "referendum
morale" (U. Eco), bensì ad una legittima, anzi auspicabile,
contrapposizione tra un centro-destra pulito ed un centro-sinistra
pulito. E' interesse di tutti gli italiani responsabili
impegnarsi per la trasparenza e la partecipazione all'interno
dei partiti in modo che lo scontro sia effettivamente tra
uno schieramento di centro - destra (il conservatorismo
nazionalistico ed autoritario ad esempio di un Fini alleato
con il conservatorismo liberista e pragmatico ad esempio
di un Dini) ed uno schieramento di centro - sinistra (il
liberalismo progressista e riformista ad esempio di un Rutelli
alleato con il socialismo nelle sue varianti differenziate
ad esempio di un Cofferati): uno contro politico - culturale
che non sia più adulterato, come è avvenuto sino al 13 maggio,
dalle tattiche strumentali di personaggi o tanto furbi da
essere cinici (Andreotti, D'Alema, D'Antoni) o tanto cinici
da essere ridicoli (Berlusconi, Mastella, Buttiglione).
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