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Rileggere

"Sento il bisogno di rileggere i libri che ho già letto, [...], ma a ogni rilettura mi sembra di leggere per la prima volta un libro nuovo. Sarò io che continuo a cambiare e vedo nuove cose di cui prima non m’ero accorto? Oppure la lettura è una costruzione che prende forma mettendo insieme un gran numero di variabili e non può ripetersi due volte secondo lo stesso disegno?" (Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979)

di Sergej - martedì 22 agosto 2023 - 662 letture

Una breve nota di Massimo Mantellini, blogger e poi scrittore che seguiamo da diversi anni, sul "rileggere":

Non so bene se rileggere libri che avevo già letto molto tempo fa sia un’abitudine che mi è venuta con gli anni o se dipenda più dal fatto che di quasi tutto del mio passato remoto (libri, film, viaggi, incontri ecc.) ho sempre ricordato poco e confuso moltissimo. In ogni caso fino a qualche anno fa i libri che avevo riletto regolarmente e per scelta erano pochi, quasi solo Atlante Occidentale di Del Giudice e Dissipatio H.G. di Morselli. Poi ricordare confusamente che un libro mi era sembrato bellissimo ha fatto sì che sempre più spesso in questi anni abbia iniziato a rileggerli, ricevendone ogni volta sensazioni nuove e sempre differenti. Così qualche tempo fa ho riletto 2666 e il mese scorso “I detective selvaggi” di Bolaño. Alcuni mesi fa, per una casualità, ho riletto Gli anelli di Saturno di Sebald (era l’unico libro in italiano in quei giorni, a casa di Alessandra a Leuven). Ho riletto La nube purpurea di Shiel e altri libri che ora non ricordo sempre e solo fra quelli che avevo molto amato. Nei giorni scorsi ho riletto Domani nella battaglia pensa a me di Marias che avevo letto quando era uscito (la copia che abbiamo a casa ha il prezzo in lire) e che ricordavo vagamente come un bel romanzo con un inizio folgorante e che invece ho ritrovato oggi, trent’anni dopo, come un romanzo semplicemente meraviglioso. Meraviglioso dall’inizio alla fine.

Mantellini gioca bene e facile. La virtù della rilettura è qualcosa che anch’io avverto, sempre più necessaria, man mano che trascorrono ("passano"?) di anni. È una attitudine in cui l’attenzione e la concentrazione sfidano il tempo. Rileggere, la speranza di trovare nella pagine passate (le tracce degli assassinii compiuti) la leggerezza che pensiamo di avere perduta o non possedere più. Riavvolgere il nastro, sperare di tornare sui nostri stessi passi, ritrovare le tracce di noi stessi, rincontrare il baldo giovane / la balda giovane che eravamo.

stanlio e ollio impegnati nella lettura

"Sempre più mi pungola il desiderio di rileggere i primi libri che ho letto, nelle edizioni di allora. Come se in quei Nerbini, Sonzogno, Barion andati perduti fosse sepolta la cifra più veritiera di me. Ho cominciato a collezionarli, cercandoli per bancarelle e cataloghi di libri vecchi. Ogni tanto aggiungo un titolo ed è come se costruissi uno scaffale di cenere. Quando li avrò tutti raccolti, morirò" (Gesualdo Bufalino, Bluff di parole, 1994).

Il problema è che noi cambiamo. Crediamo di essere gli stessi e invece siamo - come i serpenti - altro. Il falso ricordo ci fa credere di essere qualcosa nel passato. La nostra continuità è un auto-inganno, una menzogna. Persino quando diciamo che ogni vent’anni mutiamo e diventiamo altro - creando la menzogna dell’"epoca" o della "generazione" - diciamo qualcosa che non è la verità. E nel mentre siamo attraversati dalla nostra epoca, che ci fa vedere le cose con gli occhi dello spirito dominante dell’epoca. Che brutti occhi abbiamo oggi, che brutta quest’epoca.

Ecco che allora scatta il falso ricordo: quel libro che avevo letto quand’ero giovane, che ha costituito la base della mia esistenza, delle cose migliori in cui credevo o che provavo... Rincorriamo, nel falso ricordo, il passato - il passo alla Michael Jackson, il moonwalk. Tornati sul luogo del delitto, non riconosciamo più i luoghi: "qualcosa" è cambiato e questo qualcosa ci rende estranei al luogo. Rileggere un libro è leggerlo come fosse la prima volta che lo stiamo leggendo. Siamo "sicuri" di averlo già letto. Ma non lo ri/conosciamo. La riconoscenza è una brutta gatta da pelare. Rileggendo - un libro, "la storia", rivedendo un film, tornando sul ricordo, su una fotografia, su un sapore, un odore... - tentiamo di riannodare un filo con noi stessi, in realtà ci accorgiamo di stare costruendo qualcosa d’altro. Subiamo lo spostamento, la perdita. "Quella cosa" che pensavamo di aver frequentato, che fosse "nostra", parte della nostra vita, della nostra esperienza - si vendica e si fa beffe di noi stessi, sottolinea la propria alterità e smonta il nostro ricordo. Per un attimo siamo nudi, privati del nostro ricordo, vacilliamo come quando ci manca un punto d’appoggio - viviamo sui nostri ricordi, appoggiandoci ad essi - e per non cadere ci affrettiamo a sostituire il vecchio ricordo che è ora impossibile, con un succedaneo: la nuova lettura. La bocca amara, perché la sostituzione non è indolore, e la nuova lettura non può mai prendere il posto intero di un vecchio ricordo, per quanto falso e fuorviante sia stato. La nuova giacca sa comunque di nuovo, non è esattamente la stessa giacca vecchia, logora ma calda rassicurante coperta di Linux, che avevamo prima.

"Un libro indegno di essere letto una seconda volta è indegno pure di essere letto una prima" (Carlo Dossi, Note azzurre, 1870/1907, postumo 1912/64).

Nei tempi dell’appiattimento, della cancellazione programmatica, il tentativo di ritrovare noi stessi, le ragioni della nostra identità e del respiro: rileggere è il tentativo di opporsi, di resistere. Ci reimmergiamo nel fiume, quasi un atto sacro di rigenerazione, per uscirne magari ritemprati - una nuova protezione che ci permetta di affrontare di nuovo l’ossidazione del tempo. Leggiamo per alimentare la forza, rileggiamo per ricordarci perché dobbiamo continuare a vivere nel mondo che ci vuole morti.


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