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La strage di Chiusa Gesso

La strage di Chiusa Gesso fu un eccidio compiuto dai tedeschi a Messina il 14 agosto 1943, durante la seconda guerra mondiale. Le vittime furono cinque carabinieri e un civile. Un altro carabiniere, Santo Graziano, si salvò poiché i tedeschi lo credettero morto.

di Redazione - lunedì 31 luglio 2023 - 1284 letture

Alcuni soldati tedeschi presenti a Messina stavano rubando nella villa di Matteo D’Agostino, difesa dal nipote di questo, Stefano Giacobbe. Arrivarono 5 carabinieri e un appuntato del distaccamento di Tarantonio della sezione dell’Arma di Castanea delle Furie per cercare di fermare i tedeschi, che uccisero Giacobbe e portarono i carabinieri 40 metri più lontano, dove li fucilarono. Il carabiniere Santo Graziano, fortunatamente, viene colpito di striscio. Finse di essere morto e si accasciò a terra. Miracolosamente viene sfiorato anche dal colpo di grazia, salvandosi. Tutti gli altri morirono. La relazione della strage fu scritta dal comandante della stazione dei carabinieri Francesco Tranchina il 15 gennaio 1944.

Vittime

• Antonino Caccetta, 33 anni, carabiniere

• Antonino Da Campo, 29 anni, carabiniere

• Stefano Giacobbe, invalido

• Nicola Pino, 33 anni, carabiniere

• Tindaro Ricco, 43 anni, carabiniere

• Antonio Rizzo, 42 anni, carabiniere

CONTRADA Chiusa Gesso, Messina, non è annoverata in alcun elenco ufficiale dei crimini nazisti. Nessuno ha mai saputo di quei cinque carabinieri e di un invalido assassinati dai tedeschi durante la precipitosa ritirata dalla Sicilia. Era il 14 agosto 1943: i militari italiani erano stati mandati di pattuglia, rigorosamente in borghese, per vigilare sui ponti che i tedeschi volevano distruggere. Cercavano esplosivo fra alberi e piloni di cemento, trovarono un gruppo di soldati nazisti che tentava di razziare la villa in cui viveva un invalido. I carabinieri, che erano sei, provarono a difenderlo, ma ebbero la peggio. Furono tutti fermati, spinti lungo un campo incolto e fucilati. Li finirono con un colpo di grazia. L’ appuntato Antonino Rizzo, i carabinieri Tindaro Ricco, Antonino Caccetta, Nicola Pino e Antonino Da Campo. Insieme a loro fu ucciso Stefano Giacobbe, che a Chiusa Gesso lo chiamavano il «tardivo»: era l’invalido che aveva tentato di resistere ai tedeschi mentre entravano nella sua casa.

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Eccidio 14 agosto 1943

Morirono tutti nel campo incolto di contrada Chiusa Gesso, tranne uno. Si salvò solo il carabiniere Santo Graziano, che scampò miracolosamente prima alla fucilazione e poi anche al colpo di grazia e poté raccontare cosa era realmente accaduto quella mattina di agosto del 1943. Tornò una sola volta a Chiusa Gesso, per restare ancora con i suoi compagni, che erano stati sepolti in un vigneto: lì, il proprietario del campo, Giuseppe Mundo, aveva piantato due alberi di fico perché quella strage non fosse dimenticata. E quei due alberi sono ancora lì. C’era una denuncia per quei morti: il carabiniere Graziano aveva cercato di essere quanto più preciso possibile per consentire l’ individuazione dei tedeschi. Ma non fu avviata alcuna indagine. I morti di contrada Chiusa Gesso sono rimasti sepolti, fino a qualche anno fa, nell’ armadio della vergogna, come è stato ribattezzato l’archivio della Procura generale militare di Roma, insieme ad altri 694 fascicoli di crimini commessi dai soldati tedeschi e dai fascisti fra il 1943 e il 1945.

Adesso, la commissione voluta dal Parlamento vuole scoprire il perché delle clamorose omissioni nelle indagini e ha scritto a tutte le Procure militari, anche a quella di Palermo, per chiedere un contributo all’ inchiesta sulle stragi dimenticate. Sessant’ anni dopo, sembra un’indagine impossibile: scoprire perché nessuno aprì mai un’inchiesta. I responsabili saranno già morti, alla fine la commissione parlamentare pronuncerà solo un giudizio storico-politico. Nel ‘ 94, quando il fascicolo fu tirato fuori dall’ armadio della Procura generale e arrivò alla Procura militare di Palermo, furono finalmente avviate le indagini, ma non c’era più alcun testimone. L’ inchiesta sulla strage di Chiusa Gesso è rimasta contro ignoti e alla fine è stata archiviata dal gip del tribunale militare di Palermo.

Ma non si smette di indagare sul perché non si indagò. La commissione parlamentare ha già acquisito alcuni atti ed è emersa una prima verità sull’ insabbiamento. L’ 11 gennaio 1944, il Comando Tenenza esterna dei carabinieri reali di Messina chiedeva notizie: il 15 gennaio 1944, il maresciallo comandante della stazione di Castanea delle Furie, Francesco Tranchina, scrisse un rapporto su quanto era avvenuto ai suoi uomini. Scrisse cercando di essere quanto più preciso possibile. La relazione venne inviata dalla Tenenza di Messina al Comando generale dell’Arma dell’Italia liberata, Roma, Ufficio situazione. E tutto restò lì. Dal 1944 al 1994, quando poi il procuratore militare di Roma, Antonio Intelisano, ha scoperto l’archivio segreto durante le indagini sul caso Priebke. Il procuratore militare di Palermo, Enrico Buttitta, ha appena risposto all’ ultima richiesta della commissione parlamentare d’ inchiesta sui crimini nazifascisti: «Abbiamo assicurato la massima collaborazione», dice. Il fascicolo di Chiusa Gesso è un piccolo incartamento che conserva ancora la relazione del maresciallo comandante della stazione di Castanea delle Furie, scritta diligentemente a macchina su un foglio di carta velina.

Quel giorno di agosto, i militari erano stati distaccati in località Tarantonio per evitare che i tedeschi in ritirata distruggessero i ponti. I carabinieri, che erano in borghese, notarono un gruppo di tedeschi accanto alla villa di Matteo D’ Agostino, «al chilometro 31+200 della strada statale 113, in direzione Villafranca Tirrena», così annotò il maresciallo nella sua relazione. Nella villa abitava il nipote del proprietario, Stefano Giacobbe, «il tardivo», che iniziò a sparare contro i tedeschi. Poi i tedeschi si trovarono di fronte i carabinieri, e in questo caso furono gli italiani ad avere la peggio. All’ appuntato Rizzo fu trovata la pistola d’ ordinanza: «Italiani morire», urlavano i tedeschi. «Cercavamo di bloccare i tedeschi che rubavano in quella casa, ma ci fermarono loro». è drammatico il racconto: «Ci portarono 40 metri oltre. Spararono un primo colpo di moschetto. I miei compagni morirono tutti.

Quello destinato a me traforò la giacca, non mi aveva colpito. Caddi comunque per terra e mi finsi morto. Poi i soldati tedeschi vennero a toccarci il fianco, per capire se eravamo morti. Trattenni il fiato. Caricarono le pistole per il colpo di grazia. E ancora una volta incredibilmente non fui colpito: il proiettile bruciò solo i capelli. Dopo 15 minuti ripresi i sensi, mi allontanai velocemente raggiungendo il distaccamento, poi il 17 agosto andai a casa mia, a Villafranca Tirrena. In seguito fui fermato dagli alleati». Finisce così il racconto di Santo Graziano, classe 1903, superstite di una strage impunita.

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80° Strage nazista Gesso


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