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L’italiano medio

di Sergej - mercoledì 23 agosto 2023 - 737 letture

Nella microstoria, la storia personale e intima, quotidiana. Segue la vita individuale - la “nostra” vita - in cui il punto di vista si fa microscopico, atomico o monadale. Qui le tempeste della storia, quelle che vengono registrate in qualche modo sui libri di storia, hanno un aspetto e un impatto completamente diverso. Siamo coinvolti, ma il riverbero è “altro”. L’individuo che attraversa la storia, il tempo, può persino non accorgersi affatto di quello che accade, e che altri registrano come importante o persino decisivo.

Quando negli anni Ottanta del secolo scorso cominciarono ad essere diffuse e avere successo le canzoni di Toto Cutugno, noi non ce ne accorgemmo. La nostra esperienza musicale gravava su altri nomi e su altre tipologie di musica. Non ci soffermavamo su Cutugno, giusto un po’ di disgusto e di repellenza, ma nulla di più. Era in atto una divisione di classe (oggi capiamo il motivo di quella repellenza di allora) dopo che per qualche anno ci eravamo illusi che si fosse ancora sulla tavoletta da surf del progresso, ma in realtà stavamo finendo isolati e messi in un angolo.

Gli anni Ottanta sono stati epoca di involuzione collettiva. L’Italia si era fermata, aveva subito un processo di ristrutturazione economica dolorosa e socialmente gravosa. E l’offerta musicale seguiva questa involuzione. Toto Cutugno è stato parte di questa regressione. La classe sociale dei padroncini veniva foraggiata per essere usata contro la classe operaia. Una complessa manovra fatta di inflazione (per abbattere il salario), segmentazione sociale, aiuti di Stato agli imprenditori, politiche di demansionamento degli Uffici Tecnici, e degli apparati dedicati al controllo sul rispetto delle leggi - di qui il formarsi di un ceto variegato di evasori fiscali. La cooptazione al potere dei socialisti veniva pagata cara dal Paese, con l’impennata della corruzione politica diventata lottizzazione.

Dopo l’uccisione di Moro, la politica è stata scacciata dal campo della progettazione delle cose da fare, la classe politica è ridotta a intermediario tra l’amministrazione e le lobby (spesso, i singoli imprenditori) capaci di attivare finanziamenti mirati e farsi intestare leggi con il proprio nome e cognome.

Il Toto Cutugno che oggi viene ricordato, è parte di quell’Italietta. A essa serviva un moralismo piccolo borghese, che strizzasse l’occhio ai “buoni sentimenti”. Vagamente democratica, vagamente tutto - tanto da diventare zona grigia. La melodia “paesana” di un inno di classe come “L’italiano” (1983), testo di Achille Minellono - uno che era ben dentro l’industria musicale di quegli anni, aveva scritto per Al Bano, per i Ricchi e poveri ecc_ ed era direttore artistico alla Fininvest. Nel 1981 era morto Rino Gaetano. Il confronto con uno qualsiasi dei testi di Gaetano e quelli di Cutugno/Minellono è impietoso. La regressione collettiva è evidente. Il rimbecillimento collettivo è ormai completo. Gli anni Ottanta sono stati questo. Il 1989 è stato solo la ciliegina sulla torta (rancida) di un festino in cui i convenuti hanno finito di mangiare gli scarti e le briciole di quello che era rimasto.

Di quegli anni sono ben poche le cose di cui non vergognarci, ma sono in gran parte canzoni che sanno che "c’è qualcosa che non va". Nel 1983 usciva Il mare d’inverno cantata da Loredana Berté - testo di Enrico Ruggeri, musica di Luigi Schiavone: "qui non viene mai nessuno a farci compagnia..." -, c’erano i Righeira (No tengo dinero, Vamos a la plaja) che subito avevamo individuato come dirompenti nell’apparente leggerezza "atomica" (Tropicana, del Gruppo italiano), e Vita spericolata di Vasco Rossi. L’unica cosa decente del Sanremo di quell’anno la indicò ricordo Arbore all’epoca: Vacanze romane dei Mattia Bazar. Fuori dall’Italietta c’era Karma Chameleon dei (Boy George tenerissimo!) Culture Club, e 99 Luftballons di Nena (tenerissima!). E noi eravamo capaci di Chi chi chi co co co di Pippo Franco.

L’italiano “medio” di Cutugno/Minellono non andava oltre il dito medio. Tra film di Pierino e dei fratelli Vanzina, e l’arrivo delle televisioni di Berlusconi. Immediatamente compreso dalla nuova Europa degli oligarchi e della manovalanza dei piccoli lavoretti facili.

Non ci siamo accorti di nulla di quello che stava avvenendo? “Gli anni Ottanta non finiranno mai” ha cantato un cantautore, qualche anno dopo. Chi ha vissuto quegli anni se ne accorgeva eccome. I più facevano finta di non vedere. Alcuni ne approfittavano. Così funziona, era in atto una guerra (sociale) e tutti noi sapevamo che la stavamo perdendo.


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