Il genocidio degli Armeni

Il genocidio degli Armeni, storia e cultura di un popolo

di Redazione Sherazade - domenica 17 dicembre 2006 - 9747 letture

Il genocidio degli armeni

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(Trattato del 1868)L’Armenia è una regione montuosa di origine vulcanica, a sud del Caucaso, nell’alta valle del Tigri, tra i laghi di Sevan e di Urmia. Tracce di vita neolitica nella regione anatolica sono testimoniate da documenti storici già verso il 3000 a.C.

Gli armeni sono gli abitanti autoctoni dell’Armenia: derivano da un incrocio di elementi indoeuropei (gli "armenoi" che Erodoto ed Eudossio collegavano ai Frigi) e di ceppi asiatici o anatolici (quegli abitanti dell’Anatolia orientale che non fanno capo né ai semiti né agli indoeuropei).

Fino all’inizio del ventesimo secolo essi hanno abitato un vasto territorio che, estendendosi ben oltre i confini dell’attuale Repubblica Armena ex-sovietica, ingloba il lembo nord-occidentale dell’Iran, tutta la parte orientale della Turchia, le regioni occidentali dell’ Azerbaigian ed una parte nel sud della Georgia.

L’Armenia è sempre stata di fondamentale importanza per il controllo delle vie di comunicazione tra Oriente ed Occidente ed il suo possesso fu a lungo conteso dalle maggiori potenze militari.

Regno indipendente (sec. X-VII a. C.) con una civiltà indigena autoctona, chiamato Urartù o Ararat, l’Armenia si fuse con la popolazione hurrita discendente degli antichi regni, poi subì le invasioni di cimmeri, sciti, medi, assiri.... I chaldi si stabilirono nella regione verso il 1000 a.C. e la dominarono sino all’arrivo dei persiani di Dario I, nel 520 a.C., che piegò la prima dinastia, quella degli Ervandunì e spartì il territorio in due satrapia, e vi rimasero sino 330 a.C., sostituiti dai macedoni di Alessandro Magno e dai parti.

Verso il 190 a.C. - complici i romani che avevano sconfitto a Magnesia Antioco III - venne fondata la dinastia degli Artassidi e sotto la guida di Artashes I l’armeno divenne lingua comune a tutto il paese.

Quando i romani, combattendo contro Mitridate, giunsero in Armenia, poterono costatare ch’essa era un territorio indipendente sotto il sovrano Tigrane. Fu Pompeo ad occupare tutta l’Armenia lasciandovi sul trono lo stesso Tigrane, che si era sottomesso. Gli armeni conobbero l’annessione diretta di Traiano nel 114 d.C.

La conversione dell’Armenia al cristianesimo avviene all’inizio del IV sec., sotto il regno di Tiridate III, per opera di San Gregorio Illuminatore, un principe parto al servizio del sovrano.

L’alfabeto armeno viene elaborato nel 405 da parte di Mesrop Mashtots.

Nel 642 l’Armenia viene invasa dagli arabi, che vi resteranno fino al IX sec., sostituiti dalla dinastia armena dei Bagratidi.

Nel corso del Medioevo la presenza armena è documentata in molti paesi europei: Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Islanda, ma esiste una forte comunità anche a Gerusalemme.

In Italia la prima attendibile presenza è registrata nell’esarcato di Ravenna, con Narsete l’Eunuco nel VI sec. e Isaccio in quello successivo, poi anche a Roma e a Venezia. Numerose casate armene s’insediano in Italia meridionale: Gaeta, Bari, Napoli, Taranto, Matera...

Nel 1080 il principe Ruben si ribella alla condizione di vassallaggio imposta dal governo bizantino e fonda il regno di Cilicia o "Piccola Armenia": nascono buoni rapporti commerciali con l’occidente, soprattutto con Venezia. Il re Levon il Magnifico aiuta addirittura i crociati nelle campagne militari di Cipro e S. Giovanni d’Acri

Nell’undicesimo secolo l’invasione dei turchi selgiuchidi mette in ginocchio il paese ("Grande Armenia") e costringe parte della popolazione alla fuga in Cilicia; nel 1375 finisce anche il regno di Cilicia, occupato dai Mameluchi d’Egitto.

Seguiranno però tre secoli di relativa pace, rotta, all’inizio del XVI secolo, dall’invasione ottomana che occupa la parte occidentale dell’Armenia mentre quella orientale resta sotto il dominio persiano.

L’Impero Ottomano non attua una politica marcatamente repressiva nei confronti delle minoranze interne ma impone comunque, su tutto il suo territorio, la sharia, la legge coranica, quale unica fonte di diritto, ed il popolo armeno, in quanto cristiano, dovette subire pesanti discriminazioni.

CARATTERISTICHE RELIGIOSE DELL’ARMENIA

L’origine della chiesa armena risale al periodo dell’evangelizzazione apostolica. L’Armenia era, durante i primi secoli dell’era cristiana in stretto contatto con l’ovest, da dove la nuova religione penetrò nel paese, mentre ad est subì l’influenza dei siro-cristiani. Secondo la tradizione, i fondatori della chiesa armena furono gli apostoli Taddeo e Bartolomeo. Sin dall’inizio del IV secolo si ha notizia di vescovi armeni e di persecuzioni e martiri negli anni 150, 250 e 284.

L’Armenia fu la prima "nazione cristiana" che contribuì alla disgregazione dell’impero bizantino. Nel 301 il re Tiridate III (261-317) proclamò il cristianesimo religione ufficiale del suo popolo, elevando una barriera permanente contro i persiani, suoi potenti vicini, di fede zoroastriana, contro cui dovettero sempre combattere.

La conversione del re era stata favorita da Gregorio Loosavorich (detto l’Illuminatore, dal fatto che unì due liturgie: quelle di Giovanni Crisostomo e di Giacomo, e che morì nel 325). Anche Gregorio apparteneva alla famiglia reale, ma per lungo tempo fu perseguitato dal re, passando più di 15 anni in prigione.

La liturgia armena, nella fase iniziale si ispirava a quella di Cesarea, la quale a sua volta derivava da quella di Antiochia. La liturgia attualmente in uso risale alla fine del V secolo, con alcune aggiunte posteriori. Oggi il rito armeno costituisce uno dei cinque principali riti delle chiese antiche orientali.

Nel 303 Gregorio, subito dopo essere stato ordinato vescovo, fondò Etchmiadzin, ancora oggi sede del catholicos, il principale capo della chiesa armena. In realtà la dispersione del popolo armeno, costretto dalla sua tragica storia alla diaspora, determinò il formarsi di quattro patriarcati. Il patriarcato universale o Katholicossato di tutti gli armeni a Etchmiadzin, in Armenia, che è la sede preminente della Chiesa Armena. Il Katholicossato di Cilicia con sede ad Antelias, in Libano, ha giurisdizione, su Siria, Libano, e Cipro. I due patriarcati armeni di Gerusalemme (Israele e Giordania) e di Costantinopoli (Turchia) che sono locali e presieduti da arcivescovi.

Il vescovo Sahak I (387-439) e Mesrop Mashthotz (354-440), ex-segretario del re e uomo di grande cultura, tradussero nel 404 in armeno la Bibbia, inventando un alfabeto di 36 lettere che si adattava perfettamente ai suoni di quella lingua parlata da circa mille anni. La nascita della letteratura armena fu una conseguenza di questo fatto.

L’Armenia fu invasa dai persiani lo stesso anno del concilio di Calcedonia (451) e questo impedì ai suoi vescovi, impegnati a difendere il cristianesimo contro la dottrina dei seguaci di Zoroastro (Mazdeismo), di partecipare al concilio ed alle sue decisioni. Per questo motivo la chiesa armena è annoverata tra le antiche chiese orientali, cioè quelle chiese che in quell’epoca non accettarono il concilio di Calcedonia. La chiesa armena accettò pertanto i primi tre concili ecumenici, (Nicea nel 325, Costantinopoli nel 381, Efeso nel 431), ignorando il quarto.

Tuttavia nel 491 il sinodo di Valarshapet ripudiò la definizione dogmatica emersa al concilio di Calcedonia, relativa alla doppia natura divinoumana del Cristo (il monofisismo parla di natura umana inglobata in quella divina), e gli armeni sottoscrissero la formula di compromesso tra i calcedoniani e i loro rivali, chiamata henotikon, voluta dall’imperatore Zenone, e per questa ragione la loro chiesa fu condannata come eretica (monofisita) dai teologi bizantini.

Diversi tentativi di riconciliazione tra Costantinopoli e Etchmiadzin non furono mai portati a termine. Di questo cercò di approfittare la chiesa cattolico-romana, proponendo un’intesa sotto il papato, che però non riuscì mai.

L’ARMENIA DAL MILLE AL XVIII SECOLO

La più tenace resistenza contro la diffusione dell’islam fu quella armena, al punto che solo nel IX i saraceni riuscirono a dominarli. La capitale ecclesiastica, Etchmiadzin, fu distrutta e per 540 anni il catholicos non ebbe una residenza fissa (901-1441).

Molti armeni emigrarono in occidente e nel sec. XI fondarono in Cilicia il regno della Piccola Armenia (1080-1395). Al tempo delle crociate anti-islamiche gli armeni si allearono coi cavalieri occidentali.

Nel 1199 il re Lavan II (1185-1219) e, successivamente, il re Hetom II (1289-1305), spinti da esigenze di natura politico-militare, riconobbero il papa come loro sovrano, ma la maggioranza degli armeni rifiutò sempre questa intesa e chiese di restare sotto la religione ortodossa, seppur come variante ereticale. Ebbe la meglio anche perché le crociate anti-islamiche erano sostanzialmente fallite.

Nel 1375 gli armeni persero la loro indipendenza politica ma si staccarono definitivamente dal papato, pur conservando alcune tracce del rito latino nelle loro funzioni.

Il concilio di Firenze del 1439 cercò di proporre un trattato di unione alla chiesa armena all’estero, ma quella residente in Turchia lo rifiutò. Allora i cattolici provvidero a creare una chiesa armena uniata che si contrapponesse a quella gregoriana ufficiale, ma anche questi tentativi non sortirono gli effetti sperati e così negli anni a venire.

Gli armeni cercarono di resistere agli islamici puntando sulla cultura. Il catholicos Michele di Sebastia (1545-76) creò una stamperia in lingua armena. Nel 1565 venne pubblicato a Venezia il primo libro in armeno.

Il papato non vide di buon occhio questa iniziativa, per cui attraverso l’ambasciatore francese, il marchese Feriol, fece rapire il patriarca armeno di Costantinopoli, Avedic Tokat, e lo portò in Francia, dove nel 1711 verrà condannato dall’inquisizione.

Nel 1717 un armeno intellettuale, Mikhitar, fondò nell’isola S. Lazzaro presso Venezia una comunità di dotti monaci che istituirono un importante centro culturale, che rimase sempre indipendente da Roma.

Condizione socioeconomica degli armeni

Gran parte della sua storia vede l’Armenia divisa tra l’impero russo, persiano e ottomano.

Gli armeni erano agricoltori, artigiani e commercianti: erano sedentari e relativamente agiati. Una parte degli armeni viveva nelle grandi città della Turchia occidentale, svolgendo funzioni amministrative o professionali.

Bande di predoni spesso facevano razzie nei loro territori, specie quelle di pastori nomadi o seminomadi (curdi e circassi). I curdi tuttavia ritenevano che una certa parte del territorio armeno appartenesse al Curdistan.

Gli armeni dovevano pagare tasse speciali, in quanto cristiani, al governo turco; non erano ammessi nell’esercito, ma per l’esenzione dovevano pagare un tributo; erano soggetti a pesanti prelievi sul raccolto; non aveva garanzie sul piano giuridico.

L’ARMENIA NEL SECOLO XIX

Fino al XVIII secolo la condizione armena non segna sostanziali modifiche, ma l’avvio del declino della potenza ottomana e la nascita del sentimento nazionale armeno, contemporaneamente alla conquista dell’indipendenza del popolo greco, alle prime insurrezioni dei popoli balcanici (Bosnia, Erzegovina, Bulgaria, Serbia, Montenegro) e all’annessione, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, da parte dell’impero russo dell’Armenia orientale, concorrono a spezzare gli equilibri esistenti. Inoltre anche le maggiori potenze europee, ansiose di accrescere i propri interessi nell’area, premono sull’Impero pretendendo delle riforme interne che la Sublime Porta si vede costretta a prendere in considerazione.

Sul piano economico l’impero ottomano sta vivendo una profonda decadenza, specie nel suo settore principale, quello agricolo, dove i contadini sono vessati dai proprietari fondiari e dagli esattori delle tasse. I settori commerciali sono in mano alle potenze straniere e anche molti armeni vi si dedicano con successo. La concorrenza delle merci straniere distruggeva l’artigianato locale, le enormi spese per l’apparato burocratico e militare, nonché gli sperperi alla corte del sultano, i rovinosi accordi per avere prestiti stranieri: tutto ciò minava profondamente la stabilità del regime feudale turco.

In questo clima drammatico l’azione armena si esplica su due fronti: il primo a Costantinopoli, dove il patriarcato armeno solleva la questione del riconoscimento della specificità armena, il secondo in Armenia dove nascono i primi partiti rivoluzionari armeni clandestini. Alle richieste degli armeni di ottenere riforme volte a tutelare le loro vite, le loro persone ed i loro beni, il sultano Abd al-Haziz rispose con dei massacri di massa.

Le grandi potenze occidentali, interessate a smembrare l’impero turco, s’ingerivano continuamente negli affari interni del governo turco e pretendevano delle riforme.

Anche i Giovani Turchi, un’organizzazione politica segreta, sorta a Istanbul nel 1865, pretendono sempre più una monarchia costituzionale e una transizione dal feudalesimo al capitalismo.

Una manifestazione di 40.000 turchi a Istanbul nel 1876 obbligò il nuovo sultano Abdul Hamid II a emanare una costituzione che concedesse uguali diritti a tutti i sudditi (quindi anche agli armeni). I senatori venivano scelti dal sultano, ma i deputati dal popolo.

Tuttavia il sultano dichiarò nulla la costituzione nel 1878 e rifiutò un accordo sui Balcani proposto dalle potenze europee. La Russia, col pretesto di difendere gli armeni, penetrò nel territorio turco, ma venne sconfitta. Le forze turche e le bande kurde infierirono contro gli armeni sterminandone a migliaia. Preoccupato del loro attivismo ed anche dello sviluppo economico che questo popolo stava vivendo e per scaricare le colpe del dissesto politico-economico del paese su un nemico interno, Abdul Hamid II decise di iniziare vere e proprie persecuzioni di massa, mettendo altresì alla prova le titubanti potenze straniere: durante i pogrom compiuti dal 1895 al 1897 furono trucidati circa 300.000 armeni.

Nel 1879 il governo dichiara la bancarotta finanziaria. Le più importanti fonti di reddito dell’impero: i monopoli del tabacco, del sale, la tassa del bollo e altre importanti tasse commerciali passano sotto la gestione delle potenze creditrici: Inghilterra, Francia, Germania, Austria-Ungheria e Italia. Vengono costruite banche e ferrovie a vantaggio di queste potenze, sfruttati i giacimenti minerari... La Turchia si stava trasformando in una semi-colonia.

L’ideologia ufficiale divenne il panislamismo, che avrebbe dovuto aiutare le classi dirigenti turche (feudatari, alto clero, generali) a tenere sottomesse tutte le popolazioni, specie quelle non musulmane.

Per fronteggiare le dure repressioni la comunità armena si convinse ch’era giunto il momento di dar vita a un’autodifesa armata, d’intraprendere la guerriglia e di costituire un movimento rivoluzionario clandestino. Fu creata la Federazione Rivoluzionaria Armena, detta anche Dachnak, con basi nella vicina Armenia russa e fortemente sostenuta dalle popolazioni locali. I due partiti principali, Dashnaktsutiun e Hintchakian, nati all’estero per opera dell’emigrazione armena, chiedevano anzitutto il ripristino della costituzione del 1876.

Nel 1878 le potenze europee riuscirono a ottenere da parte del governo turco impegni formali a migliorare le condizioni di vita della popolazione armena e a tutelarla dalle violenze. Ma anche questa volta il sultano si rimangiò la promessa: organizzò dei reparti di cavalleria guidati da ufficiali dell’esercito regolare, composti nei gradi inferiori e nella truppa dai capi e dagli uomini delle tribù e delle bande curde, sicché il banditismo curdo veniva ufficialmente armato e posto al servizio del sultano. Le incursioni anti-armene si fecero ancora più violente.

Nel 1895 gli armeni di Costantinopoli organizzarono una manifestazione pacifica per protestare contro questi massacri, ma per tutta risposta ottennero una recrudescenza delle violenze. Gli ambasciatori occidentali reagirono ma nel biennio 1895-96 vi furono almeno 200.000 armeni uccisi, 100.000 donne rapite, 100.000 persone costrette a convertirsi all’islam, 2.500 villaggi distrutti.

Alla fine dell’Ottocento riprende l’attività clandestina dei Giovani Turchi, organizzati nel partito Unione e Progresso, ma, essendo poco legati ai movimenti rivoluzionari interni al paese, svolgevano un’azione prevalentemente all’estero. Preferivano le rivolte di palazzo alle insurrezioni popolari.

I GIOVANI TURCHI


Una nuova speranza nasce quando prende sempre più forza, negli anni 1905-1906, subito dopo la rivoluzione antizarista del 1905, il movimento dei Giovani Turchi, rappresentati dal partito "Ittihad ve Terakki" (Unione e Progresso), formato da ufficiali dell’esercito, intellettuali e piccoli funzionari, caratterizzati da un acceso nazionalismo turco e dall’ideologia borghese. Il partito armeno Dashnaktsutiun riuscì inizialmente a elaborare un programma comune con loro.

L’azione dei Giovani Turchi si fece sentire soprattutto quando essi si resero conto che Inghilterra e Russia volevano spartirsi la Macedonia, appartenente all’impero ottomano e allora molto in fermento. Furono proprio loro che appoggiarono l’insurrezione macedone contro il sultanato, per evitare che la Macedonia finisse in mano straniera.

Nel 1908 i Giovani Turchi costrinsero il sultano a ristabilire la costituzione del 1876. Essi sembravano intenzionati ad abbattere il sistema imperiale per poi creare una federazione di tutti i popoli precedentemente inclusi nell’Impero. Ovviamente le concezioni del nazionalismo turco e di una federazione ottomana erano tra loro decisamente antitetiche e questo influenzerà negativamente gli sviluppi della rivoluzione dei Giovani Turchi; porterà nuovamente a considerare l’elemento armeno come un pericolo interno da combattere ed annientare.

I Giovani Turchi, col loro "ottomanismo", volevano un impero unico e indivisibile, con un’unica lingua, al punto che non si poteva essere eletti in parlamento se non si parlava turco.

Nell’aprile del 1909 a Costantinopoli si verificò un tentativo controrivoluzionario che mirava a emarginare i Giovani Turchi e a ripristinare l’autocrazia del sultanato. Ma il tentativo fallì e i Giovani Turchi ne approfittarono per instaurare la dittatura militare. Fu legalizzato il divieto di sciopero, il partito socialista e i sindacati furono vietati, ai contadini non vennero dati diritti di alcun genere. In un congresso segreto dei Giovani Turchi, tenutosi a Salonicco nel 1911, fu deciso di sopprimere totalmente gli armeni residenti in Turchia.

Infatti, subito dopo che i Giovani Turchi eliminarono i controrivoluzionari, in Cilicia (città di Adana) 30.000 armeni vengono uccisi da turchi e curdi. L’alleanza tra i due partiti (Unione e Progresso e Dashnaktsutiun) ebbe termine proprio nel 1911.

Tutto ciò fu conseguenza dell’ideologia che aveva ormai impregnato l’intero partito, formata da un intreccio di panturchismo e turanismo (1). In sostanza si voleva una ricostruzione dell’impero ottomano attraverso l’affermazione del primato della componente etnica turca (quindi non uguaglianza dei diritti tra le etnie dell’impero), la turchizzazione delle minoranze (imposizione della lingua e della cultura turca), unificazione di tutti i popoli turchi (inclusi gli azeri, i tatari, i popoli dell’Asia centrale, insomma dal mar Egeo ai confini della Cina). Gli armeni, situati a mo’ di cuneo fra i turchi dell’Anatolia e quelli del Caucaso, costituivano un’ isola non-turca in mezzo al grande mare delle popolazioni turche.

L’unione tra indipendenza nazionale e purezza razziale furono la premessa per la conquista dell’allora provincia russa dell’Azerbaigian. Tra essa e la Turchia vi erano però proprio in mezzo le terre armene. Questa nuova campagna di conquista fornisce ai Giovani Turchi la giustificazione per l’eliminazione del "pericolo armeno".

In questa situazione fu facile agli italiani, nel 1911, occupare la Libia (Tripolitania e Cirenaica), il più lontano avamposto turco in Africa. Nel 1912 il Montenegro, la Bulgaria, la Serbia e la Grecia dichiararono guerra alla Turchia. Si concludeva la perdita dei territori europei ancora in mano turca (Macedonia, Albania, isole greche): l’impero si stava sempre più sgretolando.

Inghilterra, Francia e Russia pretesero la tutela degli armeni, una serie di riforme e l’invio di un ispettore europeo per controllarne l’attuazione.

Nel novembre 1914 i turchi occupano l’Azerbaigian, ma vengono sconfitti quasi subito dopo dai russi.

I responsabili politici del genocidio

(1) Il Turanismo è l’ideologia che si basa sulla convinzione che quando tutti i popoli di lingua turca saranno uniti in una stessa entità nazionale estesa dall’Asia Centrale al Mediterraneo, ritornerà l’età dell’oro in cui Turan, l’antenato dei Turchi, lottava contro Ario, l’antenato degli ariani, ed estendeva il suo dominio su tutta l’Asia. Si tratta insomma di uno sciovinismo da grande potenza.

DALLA I GUERRA MONDIALE AL GENOCIDIO DEL 1915-1923

Nel 1914 la situazione armena peggiora irrimediabilmente. In quell’anno infatti il governo turco, che ha messo il proprio paese in mano all’imperialismo tedesco, decide di entrare in guerra a fianco degli imperi centrali e subito si lancia alla conquista dei territori azeri "irredenti". La Terza Armata turca, impreparata, male equipaggiata, mandata allo sbaraglio in condizioni climatiche ostili, viene presto sbaragliata a Sarikamish nel gennaio 1915 dalle forze russe.

I capi dei Giovani Turchi sfruttano la guerra commercialmente, senza ritegno. L’esercito turco indica i responsabili della disfatta negli armeni che, allo scoppio della guerra avevano comunque assicurato il proprio sostegno all’impresa turca. Il clima si fa sempre più teso e, tra il dicembre del 1914 ed il febbraio del 1915, il comitato centrale del partito Unione e Progresso, diretto dai medici Nazim e Behaeddine Chakir, decide la soppressione totale degli armeni. Vengono creati speciali battaglioni irregolari, detti tchété, in cui militano molti detenuti comuni appositamente liberati; essi hanno addirittura autorità sui governi ed i prefetti locali e quindi godono di un potere pressoché assoluto.

Nel novembre 1914 Russia, Francia, Inghilterra e altri paesi dell’Intesa dichiararono guerra alla Turchia, che si era alleata alla Germania. Francia e Inghilterra presero a bombardare le fortezze turche sui Dardanelli; i russi entrarono nella regione armena della Turchia orientale.

Temendo che gli armeni potessero diventare un pericoloso nemico interno, alleato delle potenze dell’Intesa, già nel primo anno della guerra l’esercito regolare turco, insieme a bande armate curde, prese a sterminarli in maniera sistematica. Stessa sorte subiscono gli aissori, che vivevano in Turchia, e particolarmente oppresse sono anche le etnie di origine araba.

In quegli anni il governo ultra-nazionalista varò una politica di deportazione degli Armeni le cui aspirazioni all’indipendenza, sostenute dai paesi occidentali, minacciavano ulteriormente la coesione dell’Impero Ottomano già in piena disintegrazione. ’’Lo stato ottomano è esclusivamente turco (...) la presenza di elementi stranieri è utilizzata dagli europei come pretesto per un intervento’’, si legge in un documento del governo del 1915.

E ancora: ’’Il diritto degli Armeni di vivere e di lavorare in Turchia è totalmente abolito’’. Gli Armeni - denominati ’’il pericolo interno’’, perché sospettati di avere collaborato col nemico russo durante la prima guerra mondiale. E’ il primo del XX secolo.

Il genocidio degli armeni può essere considerato il prototipo dei genocidi del XX secolo. La pianificazione avviene tra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915 con l’aiuto di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia all’interno del primo conflitto mondiale. L’obiettivo era di risolvere alla radice la questione degli armeni, popolazione cristiana che guardava all’occidente.

Il movente fondamentale è da ricercarsi all’interno dell’ideologia panturchista, che ispira l’azione di governo dei Giovani Turchi, determinati a riformare lo Stato su una base nazionalista, e quindi sull’omogeneità etnica e religiosa. La popolazione armena, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di autonomia avrebbe potuto costituire un ostacolo ed opporsi al progetto governativo.

La motivazione principale del genocidio è stata quindi di tipo politico. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli armeni.

Le responsabilità maggiori dell’ideazione e dell’attuazione del progetto di sistematico genocidio vanno dunque individuate all’interno del partito dei Giovani Turchi, “Ittihad ve Terraki” (Unione e Progresso). L’ala più intransigente del comitato centrale del partito ha pianificato il genocidio attraverso una struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (O.S.), diretta da due medici, Nazim e Chakir.

L’O.S. dipendeva dal Ministero della Guerra e attuò il genocidio con la supervisione del Ministero dell’Interno e la collaborazione del Ministero della Giustizia. I politici responsabili dell’esecuzione del genocidio furono: Talaat, Enver, Djemal. Mustafa Kemal, detto Ataturk, ha completato e avallato l’opera dei Giovani Turchi, sia con nuovi massacri, sia con la negazione delle responsabilità dei crimini commessi.

Il piano turco comincia a realizzarsi verso la prima metà del 1915, quando il governo prende provvedimenti anti-armeni anche fuori delle zone di guerra. Il 24 aprile, a Costantinopoli, nel corso di una gigantesca retata, circa 500 esponenti del Movimento Armeno vennero incarcerati e poi strangolati con filo di ferro nelle prigioni.

Lo sterminio prosegue con la soppressione della comunità di Costantinopoli ed in particolare della ricca ed operosa borghesia armena: tra il 24, che resta a segnare la data commemorativa del genocidio, e il 25 aprile, 2.345 armeni (intellettuali, sacerdoti, dirigenti politici, professionisti) vengono arrestati e uccisi, mentre tra il maggio e il luglio del 1915 vengono sterminati gli armeni delle province orientali di Erzerum, Bitlis, Van, Diyarbakir, Trebisonda, Sivas e Kharput. Solo i residenti della provincia di Van riescono a riparare in Russia grazie ad una provvidenziale avanzata dell’esercito russo. Quanto più i russi penetravano nel territorio turco, tanto più i turchi infierivano sugli armeni. (1)

Nelle città, a maggio, viene diffuso un bando che intima alla popolazione armena della Turchia orientale di prepararsi per essere deportata in campi di concentramento nel sud del paese, a centinaia di chilometri di distanza dalle loro abitazioni (in Siria e in Mesopotamia). Gli armeni avevano pochissimi giorni di tempo per vendere tutti i loro beni e prepararsi alla partenza. Sia il decreto provvisorio di deportazione sia quello di conquista dei beni non sono mai stati ratificati dal parlamento turco.

Stando ad un rapporto ufficiale del console statunitense ad Ankara, nel luglio 1915, duemila soldati di etnia armena, reduci dalla campagna del Caucaso, vennero improvvisamente disarmati dai turchi e spediti in catene nella regione della città di Kharput con il pretesto di utilizzarli nella costruzione di una strada. Ma giunti in una vallata, i militari armeni vennero circondati da un battaglione della polizia turca e massacrati a colpi di moschetto. Tutti i cadaveri vennero poi scaraventati in una profonda grotta.

Identico destino toccò ad altri 2.500 militari armeni, anch’essi condotti nei pressi di una cava di pietra, in località Diyarbakir, e lì trucidati da un grosso reparto misto formato da soldati e miliziani curdi. Sempre secondo i resoconti dei diplomatici statunitensi, i corpi delle vittime vennero seviziati, spogliati e lasciati a marcire nella cava.

Nel giugno 1916, dopo aver eliminato circa 150.000 militari di origine armena, i turchi decisero di fare fuori anche un terzo degli operai armeni impiegati nella costruzione e manutenzione dell’importante linea ferroviaria Berlino-Costantinopoli-Baghdad. Ma a questo punto, gli alleati tedeschi e austriaci, che da tempo avevano palesato il loro disappunto per le orrende carneficine, denunciarono finalmente, e in maniera ufficiale, le atrocità turche. L’ambasciatore tedesco a Costantinopoli, il conte von Wolff-Metternich, si precipitò alla Sublime Porta, accusando direttamente Taalat Pascià e il Ministro degli Esteri Halil Pascià "di inutili crudeltà e persino di atti di sabotaggio". Tuttavia, le vibranti proteste dell’ambasciatore lasciarono impassibili i capi ottomani. Tutti i soldati armeni ("Battaglioni operai") che prestavano servizio militare regolare nell’esercito turco (cosa resa possibile da quando i Giovani Turchi era saliti al potere) furono eliminati di nascosto.

Molti ufficiali e sottufficiali armeni, scampati ai massacri, tentarono di organizzare sui monti la resistenza. Nell’aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili armeni riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca, barricandosi nel nucleo urbano dove resistettero per molti giorni alla controffensiva ottomana e curda; fino all’arrivo, provvidenziale, di una divisione di cavalleria russa che nel mese maggio liberò dall’assedio quei disperati.

Eguale successo ebbe poi la famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro non meno di 4.000 armeni resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell’esercito ottomano e dei "volontari" civili turchi, segnando una delle pagine più eroiche della storia del popolo armeno. Alla fine, proprio quando la resistenza sembrava dover cedere di fronte alle preponderanza dell’avversario, i reduci vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese che riuscì in gran parte a trarli in salvo (l’epopea del Musa Dagh venne in seguito narrata da Franz Werfel nel suo celebre romanzo storico "I quaranta giorni di Musa Dah").

Altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna, come accadde ad Urfa. Qui, tutta la guarnigione armena, composta di ex-militari e civili, dovette soccombere alle soverchianti forze ottomane che, a battaglia conclusa, massacrarono tutti i difensori ancora in vita, compresi i feriti.

Verso l’autunno del 1915, una volta eliminata la parte più giovane e combattiva della nazione armena, il Ministero degli Interni ottomano iniziò a pianificare lo sterminio di tutti gli adulti di età superiore ai 45 anni, che fino ad allora erano stati risparmiati perché ritenuti necessari al lavoro delle campagne, e degli ultimi prelati. Come testimonia questo brano tratto da un dispaccio inviato dal Ministro Taalat Pascià al governatore turco di Aleppo il 15 settembre 1915. "Siete già stato informato del fatto che il governo, su ordine del partito (Unione e Progresso), ha deciso di sterminare l’intera popolazione armena… Occorre la vostra massima collaborazione… Non sia usata pietà per nessuno, tanto meno per le donne, i bambini, gli invalidi… Per quanto tragici possano sembrare i metodi di questo sterminio, occorre agire senza alcuno scrupolo di coscienza e con la massima celerità ed efficienza. Coloro i quali si oppongono a questo ordine non possono continuare a rimanere negli organici dell’amministrazione dell’impero".

In effetti in certi casi alcuni governatori (i vali) turchi, (come quello di Angora, città nella quale vivevano 20.000 armeni), mostrarono pietà nei confronti degli armeni, arrivando anche a disubbidire alle direttive del governo. Tanto che, nel luglio del ’15, il governatore di Ankara - che si era opposto agli stermini - venne subito rimosso e sostituito con un funzionario più zelante.

Per risparmiare denaro e per razionalizzare al massimo l’operazione, la giunta dei Giovani Turchi avviò una deportazione di massa (dalla quale talvolta vennero però risparmiati i medici o i tecnici utili al governo, come accadde nella città di Kayseri) in modo da concentrare in pochi siti isolati tutti gli armeni ancora in vita. Una delle destinazioni prescelte fu la desolata e poverissima regione siriana di Deir al-Zor, dove, dopo una marcia a piedi di centinaia di chilometri, intere famiglie armene vennero ammassate e trucidate nei modi più raccapriccianti, tanto da sollevare le inutili proteste di un gruppo di ufficiali tedeschi e austriaci che assistette a quei tragici eventi. Queste deportazioni vennero architettate anche per facilitare l’esproprio dei beni immobili armeni. Abbandonata la precedente prassi della distruzione dei villaggi, molti dirigenti del partito dei Giovani Turchi e moltissimi funzionari di polizia e comandanti delle famigerate bande a cavallo curde ebbero modo di arricchirsi proprio in virtù di questi lasciti forzati.

Taalat Pascià, divenuto Gran Visir, arrivò addirittura addirittura a chiedere all’ambasciatore americano Morgenthau "l’elenco delle assicurazioni sulla vita che gli armeni più ricchi (deceduti nei campi di sterminio) avevano precedentemente stipulato con compagnie americane, in modo da consentire al Governo di incassare gli utili delle polizze".

Nell’inverno del ’15 il rappresentante tedesco a Costantinopoli, conte Wolff-Metternich denunciò, in una missiva inviata a Berlino, questa "orribile prassi", accusando nuovamente i Giovani Turchi di "tradimento nei confronti della comune causa tedesco-ottomana". L’ambasciatore tedesco agì in maniera talmente diretta da indurre Enver Pascià e Taalat Pascià a chiederne a Berlino la sua sostituzione, cosa che in effetti avvenne nel 1916. A testimonianza delle dimensioni del fenomeno "espropriazioni", dopo la fine della guerra, nel 1919, lo scrittore e storico tedesco J. Lepsius nel suo Deutschland und Armenien stimò che nel 1916 "i profitti derivati all’oligarchia dei Giovani Turchi e ai suoi lacché dai beni rapinati agli armeni fossero arrivati a toccare la cifra astronomica di un miliardo di marchi".

Dunque, gli uomini non più giovani, le donne e i bambini furono selvaggiamente depredati, rapiti o uccisi o islamizzati a forza o, nel caso delle donne più giovani, inviate negli harem da militari turchi e bande curde lungo il tragitto. Le carovane dei deportati venivano sistematicamente assalite anche da bande di malfattori fatte uscire appositamente dal carcere per costituire la cosiddetta "Teskilate maksuse" (Organizzazione Speciale), il cui compito era proprio quello di sterminare gli armeni, la stragrande maggioranza dei quali infatti non riuscì neppure ad arrivare nei campi di concentramento.

Lungo il cammino, i prigionieri, lasciati senza cibo, acqua e scorta, muoiono a migliaia, anche perché scoppiarono terribili epidemie di tifo e vaiolo. D’altra parte per i pochi sopravvissuti la sorte non sarà migliore: periranno di stenti nel deserto o bruciati vivi, rinchiusi in caverne o annegati nel fiume Eufrate e nel Mar Nero. A queste atrocità scamperanno solo i pochi armeni di Costantinopoli vicini alle ambasciate europee, quelli di Smirne, protetti dal generale tedesco Liman von Sanders, gli armeni del Libano e quelli palestinesi.

Nell’autunno del 1918, quando le forze inglesi del generale Edmund Allenby dopo avere sconfitto i turco-tedeschi a Megiddo, occuparono la Palestina e la Siria, trovarono ancora in vita nei bordelli alcune decine di ragazze armene, tutte marchiate a fuoco dagli stenti e dalle malattie veneree. Sorte ancora peggiore toccò ai bambini armeni rinchiusi nei campi siriani. Gran parte di questi vennero infatti sottratti alle madri e inviati anch’essi in bordelli per omosessuali o in speciali orfanotrofi per essere rieducati come turchi musulmani da Halidé Edib Adivart, una mostruosa virago alla quale il governatore della Siria aveva affidato il compito di "raddrizzare la schiena alla ribelle gioventù armena".

Nelle regioni orientali e settentrionali dell’Impero Ottomano, la situazione delle comunità armene che erano riuscite a trovare rifugio nelle valli del Caucaso si fece improvvisamente drammatica. In seguito alla rivoluzione bolscevica del 1917, l’esercito russo aveva infatti iniziato a ritirarsi dall’Anatolia orientale e dalla Ciscaucasia, abbandonando gli armeni al loro destino. Rioccupata l’importante città-fortezza di Kars, le forze ottomane, ormai libere di agire, iniziarono una meticolosa caccia all’uomo, arrivando a sopprimere circa 19.000 persone in poche settimane. Identica sorte che toccò a quei profughi cristiani che, rifugiatisi preventivamente in Transcaucasia, soprattutto in Georgia e nella regione caspica di Baku, vennero massacrati dalle locali minoranze mussulmane tartare e cecene. Nel settembre del ’18, nella sola area di Baku furono eliminati 30.000 armeni.

La comunità armena contava circa 1.800.000 persone: solo 600.000 riuscirono a salvarsi, o perché scapparono in Russia, o perché vivevano nella parte occidentale della Turchia. In pratica i 2/3 della popolazione armena residente nell’impero ottomano è stata soppressa, e regioni per millenni abitate da armeni non vedranno più in futuro nemmeno uno di essi. Circa 100.000 bambini vennero prelevati da famiglie turche o curde e da esse allevati, smarrendo così la propria fede e la propria lingua. Nel 1927 il primo censimento della Repubblica turca indicò che la popolazione armena ammontava a sole 123.602 persone.

L’intervento del Vaticano, tramite il papa Benedetto XV, non produsse alcun effetto, in funzione anche del fatto che i turchi avevano proclamato la guerra santa.

Successivamente, approfittando degli sconvolgimenti in corso in Russia a causa della rivoluzione, gli armeni sotto il controllo dell’impero zarista si ribellarono e il 28 maggio 1918 dichiararono la propria indipendenza.

In seguito, dopo la presa di alcuni territori nell’Armenia turca, verrà proclamata la nascita della Repubblica Armena. Durante i lavori del Trattato di Sevrès venne perfino riconosciuta l’indipendenza al popolo armeno e la sua sovranità su gran parte dei territori dell’Armenia storica ma, come altre volte in futuro, tutto resterà solo sulla carta. Infatti il successivo Trattato di Losanna (1923) annullerà il precedente, negando al popolo armeno persino il riconoscimento della sua stessa esistenza.

La caduta del regime turco alla fine del conflitto mondiale e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 e il 1922, con l’attacco alla Cilicia armena ed il massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio.

I PROCESSI

La disfatta ottomana nella grande guerra spinse i principali responsabili del genocidio ad abbandonare il paese e molti di essi fuggirono in Germania. Quando, nell’ottobre 1918, la Turchia si arrese alle forze dell’Intesa, i principali dirigenti e responsabili del partito dei Giovani Turchi e del Comitato di Unione e Progresso vennero arrestati dagli inglesi e internati per un breve periodo a Malta. Successivamente, un tribunale militare turco condannò a morte, in contumacia, Enver Pascià, Ahmed Gemal e Nazim, accusati di avere architettato e portato a compimento, tra il 1914 e il 1918, l’olocausto armeno.

A loro carico venne intentato un processo svoltosi nel 1919 a Costantinopoli sotto la direzione di Damad Ferid Pascià. Lo scopo non era evidentemente quello di rendere giustizia al martoriato popolo armeno, ma di addossare le colpe dell’accaduto sulle spalle dei Giovani Turchi, discolpando al tempo stesso la nazione turca in quanto tale.

Il risvolto pratico del processo fu minimo, in quanto, nei confronti dei condannati, non vennero mai presentate richieste di estradizione e successivamente i verdetti della corte vennero annullati. L’importanza del procedimento sta comunque nel fatto che, durante il suo svolgimento, vennero raccolte molte testimonianze che descrivevano le varie fasi del genocidio, a partire proprio dalle dichiarazioni di chi ne era stato artefice.

Altri processi vennero tenuti a riguardo di specifiche situazioni. A seguito di quello per i massacri del convoglio di Yozgat venne condannato il vice-governatore Kemal. Nel processo di Trebisonda si ammise la responsabilità del governatore e si descrisse il modo in cui venivano perpetrati gli annegamenti di donne e bambini. Nel processo per il massacro nella città di Karput venne giudicato in contumacia Behaeddin Chakir e si descrisse dettagliatamente il ruolo dell’Organizzazione Speciale.

A seguito però della riluttanza delle autorità turche ed alleate ad eseguire le sentenze da loro stesse emesse, il partito Dashnag creò un’organizzazione di giustizieri armeni che si incaricò di eliminare alcuni tra i principali responsabili del genocidio. Vennero così freddati Behaeddin Chakir, Djemal Azmi (il boia di Trebisonda), Djemal Pascià (componente del triumvirato dirigente dei Giovani Turchi) e l’ex Ministro degli Interni Talaat, ucciso per le strade di Berlino il 15 marzo del 1921 da Solomon Tehlirian. In quest’ultimo caso le colpe a carico di Talaat emerse durante il processo furono talmente terrificanti da far assolvere Tehlirian per l’omicidio da lui compiuto.

Enver Pascià, il più intelligente e "idealista" dei Giovani Turchi, il propugnatore fanatico e determinato del Pan-Turanismo, si rifugiò tra le tribù turche della remota regione asiatica centrale di Bukhara, dove pensava di portare a compimento la realizzazione del suo sogno, cioè la creazione di una Grande Nazione Turca.

Agli inizi degli anni Venti Enver si mise a capo di una rivolta turco-mussulmana contro il potere sovietico. Ma il 4 luglio 1922, egli venne circondato con il suo piccolo esercito da un grosso reparto bolscevico (combinazione guidato da un ufficiale armeno) e ucciso. Con la morte di Enver tramontava per sempre il progetto revanchista, di chiara matrice nazionalista e razzista, che non soltanto aveva trascinato la Turchia nel disastro del Primo Conflitto, ma che aveva contribuito a riaccendere l’atavico e mai sopito odio della popolazione turca nei confronti della minoranza armena cristiana.

Oggi, a distanza di tanti anni, quell’impetuoso rigurgito di intolleranza etnico-religiosa che scatenò la persecuzione contro gli armeni, sta - paradossalmente - interessando un’altra minoranza, quella curda, che da colpevole fiancheggiatrice di una strage si è trasformata a sua volta in vittima di una logica di persecuzione spietata.

Nel 1991 a seguito della dissoluzione dell’URSS è nata la Repubblica Armena sulle ceneri dell’ex Repubblica Sovietica Armena. Il 90% dell’Armenia storica, comunque rimane sotto il controllo della Turchia che, oltre a non voler ammettere alcuna responsabilità riguardo al genocidio, rifiuta categoricamente la restituzione anche parziale dei territori da loro occupati.

Nel 1989 è scoppiata la guerra con il vicino Azerbaigian per il controllo dell’Artzak (Nagorno-Karabach) l’enclave armena in territorio azero, conclusosi con la conquista dell’indipendenza della provincia armena. Recentemente i rapporti tra curdi ed armeni sono migliorati in seguito alle persecuzioni turche che hanno colpito entrambi i popoli, ma il governo di Ankara si ostina ancora a non voler riaprire la frontiera kurdo-armena.

Inoltre i rapporti tra l’Armenia e l’Azerbajan turcofono sono tuttora tesi a causa delle rivendicazioni azere sul territorio del neonato stato di Artzak e per le rivendicazioni armene sul Nakitcevan, provincia affidata all’Azerbajan dal trattato russo-turco del 1921, area che taglia i rapporti diretti tra lo Stato di Armenia e la provincia armena di Tabriz in territorio iraniano.

DOPO LA FINE DELL’IMPERO OTTOMANO

Nel 1917, dopo il crollo dell’impero turco, l’Inghilterra, nella speranza di penetrare in Russia, occupò l’Armenia, l’Azerbaigian e la Georgia.

L’armistizio di Mùdros (ottobre 1918) segnò la fine dell’impero ottomano. Agli imperialisti dell’Intesa i territori turchi servivano non solo per ragioni commerciali, ma anche come piazza d’armi per scatenare i loro interventi antisovietici. Il ruolo guida apparteneva all’Inghilterra, che voleva controllare la Grecia, l’Armenia dei dašnaki, il progettato Stato curdo indipendente, la zona degli stretti (Bosforo e Dardanelli) e Costantinopoli. Ma esisteva anche un piano per l’egemonia statunitense in Anatolia e Armenia.

Nell’estate del 1919 i territori armeni vennero inclusi di fatto nella sfera d’azione degli Stati Uniti. Un colonnello americano fu investito della carica di "Commissario supremo" in Armenia.

Il movimento turco kemalista (da Mustafà Kemal Pascià, noto col nome di Atatűrk) si oppose agli imperialisti, ma nel marzo 1920 l’Intesa, guidata dall’Inghilterra, occuparono Costantinopoli, sciolsero il parlamento e arrestarono i deputati.

Si formò in Anatolia un nuovo governo. Allora gli inglesi imposero il trattato di Sèvres del 1920, con cui si sanciva lo smembramento totale dell’impero turco (che sarebbe stato ridotto a una piccola regione dell’Anatolia centrale): l’Armenia riuscì ad ottenere una parte delle province orientali dell’Anatolia. La Grecia si alleò con l’Inghilterra nella speranza di veder aumentare i propri territori.

Kemal si rese conto che la Turchia poteva essere aiutata solo dall’Urss, che diede gratuitamente al popolo turco più di 10 milioni di rubli-oro e una notevole quantità di armamenti. Gli imperialisti reagirono cercando di aizzare l’Armenia dei dašnaki contro i turchi, per poi abbandonarla al suo destino. E ci riuscirono, appoggiati in questo anche dai menscevichi georgiani.

Sarà l’Armata Rossa a cacciare gli ultimi focolai degli interventisti e dei controrivoluzionari in Transcaucasia: il Comitato rivoluzionario costituito a Karavansarai proclamò alla fine del 1920 la Repubblica Socialista Sovietica di Armenia.

Riorganizzata militarmente la Turchia riuscì a sconfiggere gli interventisti negli anni 1921-22. Il trattato di pace fu firmato a Losanna nel 1923. La Turchia riottenne i propri territori (quelli attuali) e il riconoscimento della propria indipendenza. Sulle rovine dello Stato feudale ottomano venne creato il moderno Stato borghese nazionale turco: infatti furono liquidati il sultanato e il califfato.

Al termine del conflitto mondiale, in seguito alla sconfitta della Turchia, cadde il regime dei Giovani Turchi ed il nuovo governo istituì - controvoglia e per ingraziarsi le potenze europee vincitrici - una corte marziale per giudicare i responsabili dello sterminio degli Armeni.

Fu giustiziato un prefetto, ma molti fra i colpevoli, con il compiacente sostegno non solo delle autorità turche, ma anche delle potenze vincitrici, poterono fuggire o comunque vivere indisturbati.

Poco dopo, e senza aver terminato i propri lavori, anche la corte marziale fu sciolta. Solo alcuni fra i principali organizzatori del genocidio armeno furono poi uccisi da parte di giustizieri armeni. Non ci fu quindi una Norimberga per il genocidio armeno che rimase così impunito.

Lo stato turco smise di perseguire i responsabili, incamerò tutti i beni mobili e immobili appartenenti agli armeni e diede inizio alla mistificazione della storia, prima non parlando mai dello sterminio degli armeni e, negli ultimi decenni, negando apertamente l’avvenuto genocidio.

Venne steso così un velo di silenzio sullo sterminio degli armeni tanto che Hitler stesso, nell’agosto del 1939, poco prima di aggredire la Polonia, per vincere le titubanze dei suoi collaboratori a proposito dei suoi piani di sterminio, disse loro espressamente: "Chi si ricorda più del massacro degli Armeni?".

LE AMMISSIONI DI COLPEVOLEZZA

A differenza dell’olocausto ebraico, riconosciuto e condannato da parte tedesca, quello armeno non è stato né riconosciuto né tanto meno condannato da parte della Turchia attuale, che anzi, in ogni occasione, sia pubblicamente che riservatamente, continua a negare il fatto che sia mai avvenuto un genocidio degli armeni.

Negli ultimi tempi, poi, sono stati messi in circolazione da parte della Turchia dei falsi documenti storici per depistare le ricerche degli studiosi del genocidio armeno.

Come se ciò non bastasse ad Istanbul e ad Ankara sono state intitolate vie e piazze ai nomi dei principali responsabili dello sterminio degli armeni. In onore di uno di essi, poi, è stato eretto un vero e proprio mausoleo ad Istanbul.

Inoltre la Turchia odierna non ha rinunciato alle sue mire espansionistiche, tant’è vero che il presidente Demirel ha ripetutamente affermato che la zona d’influenza turca si estende dall’Adriatico alla Cina. Il suo predecessore Ozal, ricordando il contenzioso con l’Armenia, ha affermato che forse la "lezione" data agli Armeni all’inizio del secolo non era stata sufficiente ed occorreva darne loro un’altra.

Anche negli anni successivi al genocidio non è mutato l’atteggiamento ostile della Turchia nei confronti degli Armeni là residenti, che, ridotti ad alcune decine di migliaia di persone quasi tutte concentrate a Istanbul, sono sottoposti tuttora ad un regime di discriminazioni e di vessazioni striscianti. Nel 1996 con il massimo degli onori e alla presenza del capo dello stato turco, furono traslate dall’Asia Centrale, e tumulate in Turchia, le spoglie di Enver pascià, un altro dei maggiori responsabili dello sterminio degli armeni.

Il semplice fatto poi che il 24 aprile - data in cui vengono commemorate le vittime del genocidio armeno - uomini politici stranieri, in varie parti del mondo, rendano omaggio alla memoria di queste ultime, suscita rabbiose e scandalizzate reazioni in Turchia.

E’ evidente che una Turchia che ha un simile atteggiamento costituisce un serio pericolo non solo per gli armeni, ma anche per la democrazia, la libertà e la pacifica coesistenza fra i vari popoli. Sarebbe come se in Germania attualmente non solo non venissero condannate le azioni di Hitler, ma venisse eretto un mausoleo in suo onore e in varie città tedesche vi fossero vie o piazze intitolate a Himmler, Goebbels, Goering ed inoltre le più alte cariche dello stato negassero l’esistenza stessa dell’Olocausto.

Ancora oggi gli stessi storici turchi non ammettono la verità del genocidio, in quanto sostengono non esistano documenti ufficiali che la comprovino, ovvero l’intenzione di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il fatto è che la Turchia ha sempre respinto il termine di "genocidio" nei confronti degli armeni, limitandosi a riconoscere che c’è stata solo "persecuzione" (solo 300.000 furono uccisi, secondo gli storici turchi). [Si vedano tuttavia queste importanti eccezioni]

Ma nonostante la negazione della Turchia e le sue reticenze, lo sterminio armeno è un dato di fatto incontestabile, ampiamente documentato oltre che dalle narrazioni dei superstiti, anche da parte di testimoni stranieri ed imparziali, quali l’ambasciatore americano Morgenthau ed altri diplomatici statunitensi, il pastore evangelico tedesco Lepsius, gli inglesi Lord Bryce e A. Toynbee, lo scrittore e filantropo tedesco Armin Wegner, il francese Henri Barby, per citare solo alcuni dei più noti.

Negli archivi americani, inglesi, francesi, tedeschi ed austriaci c’è poi una ricca documentazione al riguardo.

Infine vi sono i documenti di diretta provenienza turca, prodotti dalla corte marziale convocata per giudicare i responsabili del genocidio.

Il termine stesso "genocidio" è stato creato all’inizio degli anni ’40 del Novecento dal giurista americano di origine ebreo-polacca Raphael Lemkin, che ha coniato questa parola proprio in seguito all’impressione subita nell’apprendere le modalità dello sterminio degli armeni.

Negli anni immediatamente successivi al genocidio armeno, sebbene non fosse stato ancora coniato il termine "genocidio", questo crimine fu condannato dai governi alleati già nel 1915 e inoltre dal Senato degli Stati Uniti, nel 1916 e 1920, dal Tribunale Militare turco nel 1919, nel 1921 dalla Corte Criminale di Berlino che assolse un giustiziere armeno che aveva ucciso Talaat pascià, principale responsabile dello sterminio armeno.

In seguito però venne steso un velo di silenzio sullo sterminio degli Armeni che fu sempre più dimenticato. In epoca più recente, e nonostante le pressioni esercitate da parte della Turchia, varie istituzioni nazionali ed internazionali hanno riconosciuto e condannato il genocidio armeno.

Nel 1984 è stato il Tribunale Permanente dei Popoli che nel corso della sessione dedicata a questo argomento, dal 13 al 16 aprile 1984, ha riconosciuto fra l’altro che "lo sterminio delle popolazioni armene con la deportazione ed il massacro costituisce un crimine imprescrittibile di genocidio ai sensi della convenzione del 9/12/1948 per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio".

L’anno successivo è stata la "Sottocommissione per la lotta contro le misure discriminatorie e per la protezione delle minoranze" della Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’ O.N.U. che nella seduta del 29/8/1985 ha riconosciuto, fra gli altri, anche il genocidio armeno.

Infine il Parlamento Europeo, nella seduta del 18/6/1987, riconoscendo il genocidio armeno e condannando l’atteggiamento della Turchia, ha invitato gli stati membri della Comunità Europea a dedicare un giorno alla memoria dei genocidi armeno ed ebreo. Oltre a ciò, proprio in considerazione dell’attuale atteggiamento turco nei confronti del genocidio armeno, il Parlamento Europeo ha posto quale precondizione all’unione della Turchia alla Comunità Europea il riconoscimento da parte turca dello sterminio degli armeni.

In epoca più recente, il 14 aprile 1995, la Duma (il parlamento) della Russia ha riconosciuto all’unanimità il genocidio armeno. Lo stesso anno il genocidio armeno fu riconosciuto dai parlamenti di Bulgaria e Cipro. Così pure il vice-ministro degli esteri israeliano, Iosi Beilli, nel corso della seduta del parlamento d’Israele del 27 aprile 1994, affermò che lo sterminio degli armeni era stato un vero e proprio genocidio. Nel 1996 esso venne riconosciuto da parte del parlamento della Grecia e l’anno successivo da quello del Libano. Nel 1998 furono i senati del Belgio e dell’Argentina a riconoscerlo. Infine il 29 maggio 1998 fu riconosciuto all’unanimità da parte dell’Assemblea Nazionale francese, nonostante la forte opposizione e le minacce ricattatorie della Turchia; mentre il 29 marzo 2000 il genocidio armeno è stato formalmente riconosciuto dal parlamento svedese.

Parallelamente a ciò, nell’ultimo decennio, anche vari parlamenti locali, come quelli dell’Ontario e del Quebec in Canada, del Nuovo Galles del Sud in Australia, quello dell’Uruguay e quelli di undici Stati degli Usa hanno condannato lo sterminio degli armeni (Massachusetts, California, New Jersey, New York, Wisconsin, Pennsylvania, Rhode Island, Virginia ed Illinois in ordine di tempo a partire dal 1978 al 1995).

Affermazioni simili, con sfumature diverse, sono state fatte da eminenti uomini di stato, come per esempio il presidente francese Mitterand, quello statunitense Clinton o da personalità politiche, da parlamentari e diplomatici europei ed americani.

In Italia, negli anni 1997-98, il genocidio armeno è stato riconosciuto da 21 Consigli Comunali di varie città: Roma, Milano, Genova, Firenze, Venezia, Padova, Parma, Ravenna, Bagnacavallo (RA), Camponogara (VE), Castelsilano (KR), Conselice (RA), Cotignola (RA), Faenza (RA), Feltre (BL), Fusignano (RA), Lugo (RA), Imola (BO), Russi (RA), Sant’Agata sul Santerno (RA), Solarolo (RA), Thiene (VI) e così pure dal Consiglio Regionale della Lombardia. Nel settembre 1998 una proposta di riconoscimento del genocidio armeno è stata presentata dall’onorevole G. Pagliarini (Lega Nord) alla Camera dei Deputati e sottoscritta da parte di più di 170 parlamentari, appartenenti a tutti i gruppi politici presenti in Parlamento. Il 31/3/2000 è stata posta all’ordine del giorno una mozione che mira al riconoscimento, da parte del governo italiano, del genocidio armeno.

A tutt’oggi il riconoscimento del genocidio da parte della comunità internazionale sembra ancora ben lontano dall’essere una realtà e i timidi tentativi, quali quello dell’Assemblea Nazionale Francese, di dare dignità storica ai fatti avvenuti in quegli anni sono stati tutti immediatamente insabbiati dalle inconsulte reazioni turche e dal vergognoso silenzio-assenso delle grandi potenze, primi fra tutti gli Usa, che hanno sempre dato maggiore importanza ai legami politico-militari con la Turchia.

La Francia è stato il primo paese europeo ad aver riconosciuto pubblicamente "il genocidio degli armeni". L’Assemblea Nazionale francese, approvando all’unanimità una dichiarazione solenne, ha dato atto agli armeni (1,2-1,5 milioni di persone) di essere stati massacrati dai Turchi tra il 1915 e il 1918.

Si tratta di ’’un gesto di riparazione morale nei riguardi di quel popolo’’, ha sottolineato il Presidente della Commissione Esteri francese, Jack Lang. ’’Non abbiamo niente contro l’attuale governo turco né contro il popolo turco", ha specificato. Ma la reazione della Turchia all’approvazione del testo è stata durissima: "Questo gesto avrà conseguenze nefaste sui rapporti bilaterali", hanno fatto sapere importanti esponenti del governo. Ankara ha già fatto sapere che intende boicottare le società francesi con una ritorsione economica.

L’Istituto di Studi Armeni di Monaco di Baviera ha recentemente dato inizio alla compilazione dell’elenco nominativo delle vittime del genocidio armeno. Si tratta di elencare i nomi di quegli armeni che nel corso degli anni 1915-1922 sono stati vittime del genocidio perpetrato ad opera dei turchi, sia ottomani che kemalisti e cioè tutti quegli armeni che negli anni 1915-22 sono morti o sono stati uccisi, rapiti o scomparsi a causa del genocidio, o della tragedia di Smirne del 1922, o dell’espulsione degli armeni dalla Cilicia nel 1920-21, oppure delle offensive turche contro l’Armenia orientale negli anni 1918-20.

Institut für Armenische Fragen e. V. Steinsdorf str. N° 20 80538 München (Germania)

GLI ARMENI IN ITALIA

In Italia la principale comunità armena, nata dalla diaspora, è quella residente a Milano, composta da un migliaio di elementi. La comunità, pur essendo perfettamente integrata nella società che li ha accolti, costituisce una realtà molto coesa nella quale vengono mantenute vivissime le tradizioni della lingua d’origine, la religione storica e la lingua madre parlata anche dalle generazioni più giovani.

Il luogo di ritrovo è situato in Piazza Velasca dove ha sede il Centro Culturale Casa Armena, mentre il luogo di culto è costituito dalla Chiesa Armena gestita da Padre Sarkissian.

Anche Venezia è sede di una storica comunità e proprio nella città lagunare è sito il monastero della Congregazione Mechitarista sull’isola di S. Lazzaro, mentre fino a un paio di anni fa era attivo il Collegio degli Armeni presso il Palazzo Zenobio, ora adibito a centro culturale. Anche a Roma, comunque è presente una numerosa e laboriosa comunità.

Alcune chiese Armene si trovano anche in Calabria e sono risalenti probabilmente al IX sec., site a Brancaleone (borgo con varie grotte artificiali), Ferruzzano e Bruzzano Zefirio (conosciuto come Rocca Armenia). A Cosenza vi è una chiesa antica. Vi sono poi dei toponimi come Discesa dell’Armeno, e cognomi come "Armeno" ed "Armeni" e "Trebisonda". Sono anche stati trovati un centinaio di palmenti scavati nella roccia e portanti croci armene, ed un abbeveratoio nel paese di Staiti. Il fenotipo di Staiti come di Samo ricorda molto quello armeno. Un libretto sulla storia di Samo dice che i samesi sono di origine armena.

TAPPE DELLA CIVILTA’ ARMENA

3.000 a.C.: Fonti storiche greche e assire testimoniano di una presenza armena in Anatolia. 93 a.C.: Fondazione del primo impero armeno. 69 a.C.: Lucullo sconfigge Tigrane, che nel 66 a.C. deve accettare la protezione romana di Pompeo. 301: Gli armeni sono il primo popolo a riconoscere il cristianesimo come religione di stato. 387: L’Armenia viene spartita tra i bizantini e i persiani. 885: Ritorno dell’impero armeno indipendente. 1070: L’Armenia è invasa dai turchi selgiuchidi e poi dai mongoli. 1502: L’Armenia è divisa dai turchi ottomani, che si annettono la parte occidentale, e i persiani ad oriente. 1828: I russi sconfiggono i persiani e li sostituiscono nell’occupazione dell’Armenia orientale. 1915: Il governo dei "Giovani Turchi" dà il via al genocidio degli armeni residenti in Turchia. 1918: La Russia, sconvolta dalla rivoluzione bolscevica, si ritira dal conflitto mondiale e perde il controllo del Caucaso: l’Armenia russa ne approfitta e il 28 maggio dichiara la propria indipendenza. 1919: Gli armeni riconquistano qualche territorio anche nell’Armenia turca e dichiarano la fondazione della Repubblica armena unificata. 1920: Il trattato di Sevrès riconosce l’indipendenza armena e curda; si dovrebbero ristabilire i confini tra Turchia e Armenia ma tutto rimane sulla carta. Di fatto esiste solo una repubblica socialista sovietica armena con capitale Erevan, in quanto il genocidio ha eliminato quasi del tutto gli armeni in Turchia. 1921: Dal 1921 al 1936 con la Georgia e l’Azerbaigian forma la Repubblica Federativa Sovietica della Transcaucasia. 1923: Il trattato di Losanna annulla quello di Sevrès. 1936: Nasce la Repubblica Socialista Sovietica dell’Armenia, che si stacca da quella transcaucasica. 1989: Inizia il conflitto tra la repubblica sovietica armena e quella azera per il controllo sulle terre armene del Nagorno-Karabakh. Gli azeri, di lingua turca e di religione musulmana scita, si oppongono agli armeni di queste terre, che in tutto sono circa 180.000 persone (l’80% della popolazione) e che vorrebbero ricongiungersi con la loro repubblica limitrofa. I nazionalisti azeri hanno compiuto un pogrom anti-armeno nella città di Sumgait. 1991: Dopo il crollo dell’Urss, l’Armenia si dichiara indipendente e diventa semplicemente repubblica d’Armenia. 1992: La repubblica armena aderisce alla CSI. 1994: Il movimento nazionalista panarmeno HHSh (il partito del presidente) mette fuori legge, nel Nagorno-Karabakh, gli azeri, aprendosi la strada per le modifiche costituzionali (rafforzamento dei poteri presidenziali) e per l’elezione della nuova Assemblea nazionale nella quale lo HHSh conquistava 119 dei 190 seggi (luglio 1995). 1996: Le elezioni presidenziali riconfermano Petrosyan alla guida del paese, nonostante l’accusa di brogli elettorali. Nel novembre successivo viene nominato il nuovo primo ministro, Armen Sarkissan, e si procede a un ampio rimpasto del governo. 1997: Sarkissan viene sostituito da Robert Kotcharian, presidente dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabah. La crescente tensione tra le due nazioni sfocia, nell’aprile 1997, in nuovi scontri alla frontiera che provocavano la morte di numerosi militari. Per un approfondimento della situazione del Nagorno-Karabakh clicca qui. Oggi l’Armenia ha un territorio di 29.800 kmq e una popolazione di 3.459.000 di abitanti.

IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI di Emanuele Giordana

Emanuele Giordana, giornalista, fa parte dell’esperienza di "Lettera 22"

* * *

"Nel 1914, quando ebbe inizio la prima guerra mondiale, i turchi vennero nel nostro villaggio, radunarono gli uomini armeni e li portarono via per arruolarli nell’esercito ottomano. Ma ci fu poi chi portò la notizia che, lungo la strada, li avevano uccisi tutti a colpi di accetta. Tra quegli uomini c’era anche mio padre". Mesrop Minassian aveva 4 anni nel 1914. Nato a Samsun in Anatolia, é uno dei sopravvissuti al genocidio che novant’anni fa si consumò in Turchia nel tentativo (quasi riuscito) di eliminare un intero popolo. La data simbolo é il 24 aprile 1915: ma in realtà il progetto era già iniziato nel 1894 col sultano Abdul-Hamid, che aveva organizzato battaglioni di curdi detti appunto hamidies e che, scrive Claude Mutafian, "sarebbero diventati la punta di diamante della repressione contro gli armeni". Ma se per l’impero ottomano battevano gli ultimi rintocchi della storia, furono poi i "Giovani Turchi" a riprendere in mano il progetto di sterminio con maggior vigore.

L’uomo che vide il genocidio "Arrivarono - continua Mesrop - e ci fecero uscire tutti dalle case. Ragazze, donne, bambini: ci portarono tutti nel deserto. Così, come un agnellino, mi hanno strappato da mia madre. Mi misero sottoterra, mi seppellirono lasciando fuori solo la testa e si allontanarono dicendo ’Domani uccidiamo anche questo qui. Poi se andarono a scegliersi le ragazze più belle: quelle brutte le uccidevano o le gettavano nel fiume. Aprivano la pancia alle donne incinte, per vedere se il figlio era maschio o femmina. Alle ragazze vergini tagliavano i capezzoli, mentre alle donne tagliavano i seni e glieli mettevano sulle spalle. Io, dal buco dove ero interrato, vedevo tutto con i miei occhi".

Mesrop é uno dei pochi che ha potuto raccontare quella tragedia. Tutto il resto è fatto di ricordi. Per molti versi simili. Gerard Chaliand, come Antonio Arslan, si sono affidati alla memoria e ai racconti che si facevano in famiglia. Yves Ternon o Vahakn Dadrian invece si sono basato su archivi, carte, documenti. Ma le testimonianze dirette di quanto accadde a ridosso della grande guerra, quando i "Giovani Turchi" inseguivano il sogno panturco (che prevedeva la pulizia etnica dei non turchi), restano i più vividi.

A Mesrop capitò, dopo aver assistito alla tragedia di amici e parenti, di essere anche lui rapito: "Un turco che passava da quelle parti, sentì i miei lamenti. Venne, mi tirò fuori e mi portò a casa sua. Poi mi condusse dal mullah e mi fece circoncidere. Mi fecero stendere per strada, in mezzo al paese, in modo che chi passava vedesse che c’era un musulmano in più. Io rimasi con il mio padrone turco, badavo alle sue pecore. Mia madre era una donna molto bella ed era stata rapita da un altro turco. Il mio padrone un giorno mi lasciò andare da lei, perché la vedessi: arrotolavano le foglie del dolma. Mi vide e non disse niente, fece finta di nulla: intinse soltanto una foglia nell’acqua e me la diede perché la mangiassi... Il mio padrone mi utilizzava come servo. Ogni giorno mi diceva: ’Infedele! Porta le pecore al pascolo e torna!’. Mi davano i compiti piu umili. Lui si accucciava per fare i suoi bisogni e poi mi diceva: ’Infedele! Porta una pietra e puliscimi il sedere!’. Un giorno tardai e si infuriò, prese una grossa pietra e me la voleva tirare in testa, ma la moglie si mise in mezzo e io mi salvai".

Il primo genocidio del XX secolo Lo sterminio degli armeni però non c’entrava con la religione. Era uno sterminio in nome della purezza della razza, ossessione dell’efferato "secolo breve", come l’ha chiamato Eric Hobsbawm.

All’alba del sabato 24 aprile 1915 si cominciò a "ripulire" Istanbul e poi via via, dalle città alle campagne dell’Anatolia orientale. I paesi occidentali voltarono la testa e a poco servirono le resistenze eroiche come quella di Mussa-Dagh, ricordata dal romanzo di Franz Werfel. Infine Ataturk concluse il programma, e nel ’21 turchi e bolscevichi si accordarono sulle frontiere di una piccola Armenia sovietica.

Tra sterminio, deportazione, fuga restavano in Turchia qualche decina di migliaia di armeni. Due milioni di persone con i cognomi in "ian" erano scomparse nel primo genocidio del XX secolo.

La donna salvata dal soldato Araxi Onpashian aveva 7 anni nel 1915. É di Sivas, un’altra città dell’Anatolia. Il suo racconto é fatto di ricordi confusi. "Ci portarono in esilio dalle parti del deserto di Surudj. Non ricordo come avvenne, mi persi: mi guardai intorno e non c’era piu nessuno. Iniziai a piangere... Ad un tratto vidi che da lontano, in sella a un cammello, un uomo si avvicinava... Forse aveva capito che mi ero persa; mi prese e mi portò nella sua tenda. Mi diede del pane e mangiai, mi diede del latte e bevvi, mi indicò un angolo e là mi addormentai. Così rimasi con lui. Di giorno spazzavo, mettevo ordine dentro la tenda e andavo a prendere l’acqua al pozzo. Il mio padrone era un beduino arabo. Mi voleva bene e diceva sempre:

’Sei molto bella, ragazzina. Aspettava che crescessi un pò per darmi in sposa a suo figlio: ero di carnagione molto chiara e forse voleva rendere piuù bianca la sua stirpe...".

Gli andò meglio che a Mesrop, che la tragedia dello sterminio organizzato aveva visto coi propri occhi nel giorno stesso della deportazione. "Un giorno, a piedi scalzi, vestita come sempre di stracci, ero andata al pozzo. Mentre tiravo su il secchio pieno d’acqua ad un tratto - non capii come -qualcuno colpì la mia schiena con qualcosa, forse con una cintura". Non é il padrone beduino. "Mi colpisce e subito mi tira su a cavallo con lui. Frusta e inizia a galoppare. Dove mi porta? Il mio padrone beduino assieme ad altri arabi iniziò a inseguirci con il cammello. Ma noi eravamo già lontani... Mi voltai e guardai il viso del mio rapitore: era un soldato europeo, sembrava una persona perbene. Mi teneva in braccio come se fossi una sua parente. Arrivammo presso una specie di accampamento. Il militare pagò una donna curda gentile che ci fece entrare e ci nascose nella sua casa. La donna pensava che il soldato fosse mio padre... Il cavallo del soldato trottava nel buio. Continuammo la nostra strada. Era già mattina quando arrivammo a Istanbul. Il soldato fermò il cavallo davanti a una bella casa. Il padrone di casa era un medico greco a cui i turchi avevano rapito la figlia, una bambina di sette, otto anni. Il medico aveva incaricato questo soldato di cercarla, in cambio di una ricca ricompensa. Gli aveva dato una fotografia e gli aveva chiesto di trovarla e di riportarla a casa". Il militare europeo aveva infatti licenza di libera circolazione nelle province turche.

"Il soldato si era messo subito in viaggio. Quando quel giorno mi aveva visto vicino al pozzo, scalza e vestita di stracci, aveva pensato: Porterò questa piccola al medico, al posto della sua bambina: meglio di niente...

Per questo mi aveva rapito. Il medico greco ordinò alle cameriere di lavarmi per bene: ero molto sporca. Le donne mi strigliarono per bene; poi, mentre mi vestivano, una di loro vide sul mio braccio alcune lettere armene. Quelle lettere me le aveva incise mia madre, pensando che in questo modo se mi fossi perduta mi avrebbe potuto ritrovare. Nel vedere quegli strani segni le cameriere chiamarono subito il medico e gliele mostrarono. Questi, che era un uomo colto, guardò con gli occhiali e disse: ’armenikos!’, armeno. E così, nonostante il suo lutto improvviso, mi condusse fino all’orfanotrofio armeno della città. Per qualche tempo rimasi nell’orfanotrofio. Un giorno si presentò un uomo; cercava una ragazzina sul cui braccio erano impresse in armeno le lettere A e O... Non ci crederete, ma quello era mio zio.

Appena viste le lettere sul mio braccio, per la grande felicità iniziò a baciarmi. Mi ritirò subito dall’orfanotrofio e mi portò in una casa".

A volte anche una tragedia finisce con una nota di speranza. Conclude Araxi: "Aprì la porta una donna con i capelli completamente bianchi. Come mi vide, esclamò: ’É la mia!’. Povera madre mia, dopo avermi perduto aveva pianto talmente tanto che i capelli le si erano imbiancati. Anche lei aveva molto patito. Era stata serva presso un pascià arabo che voleva darla in sposa al figlio cieco. Il giorno del matrimonio mia madre riuscì a scappare e, a piedi, cammina cammina, arrivò a Istanbul. Là ritrovò suo fratello, e lui nell’orfanotrofio ritrovò me e mi portò a casa di sua sorella... Questa é la vita... Eh, figlia mia... Quando uno mette il piede fuori da casa sua, trova mille e una difficoltà. Cosa dire a quelli che ci hanno gettato in testa queste disgrazie? Chi ha provocato esodo, non veda il paradiso".

Il genocidio e il silenzio Il paradosso del genocidio degli armeni è che, ancora oggi, per molti paesi questa vicenda non esiste. Nessuno ama ricordare perché e grazie a quali silenzi milioni di persone furono sradicate dalla loro terra, deportate e uccise dalla fame, dalla sete, dalla malattia e ovviamente dalle pallottole e dalle sciabole. La Turchia prima di tutto. Il ministero delle foreste turco ha deciso in marzo che cambierò i nomi di animali che contengano termini come curdo o armeno, come la volpe rossa. Vulpes Vulpes Kurdistanicum o Ovis Armeniana. Un altro modo per cancellare quella pagina di storia.

Per saperne un pò di più Nonostante nel caso degli armeni il termine "genocidio" sia ancora un tabù, molto è stato scritto anche in italiano.

I racconti sintetizzati nell’articolo a fianco fanno parte di una raccolta di testimonianze inedite che Sonya Orfalian sta curando per l’editore Argo, cui si deve anche il bellissimo "Memoria della mia memoria" (2003) di Gerard Chaliand che cura tra l’altro "L’imputato non é colpevole", atti del processo a Talaat Pasha, sempre in uscita per Argo.

L’editore Guerini é forse il piu prolifico: tra i tanti titoli segnaliamo Flavia Amabile e Marco Tosatti che hanno raccontato nel 2003 "La vera storia del Mussa Dagh" (l’originale di Werfel è edito da Corbaccio), mentre è appena uscito "Condannato a uccidere" di Arshavir Shiragian, sull’uccisione a Roma nel ’21 di Said Halim, primo ministro ottomano all’epoca.

La sezione storica é molto ricca: il poderoso e documentato "Storia del genocidio armeno" di Vahakn N. Dadrian (collana Carte armene) alla terza ristampa, e la recente breve storia del genocidio di Claude Mutafian, dal titolo "Metz Yeghern", ossia "il grande male", come gli armeni chiamano il genocidio. Il saggio é la traduzione dal francese di un libretto del ’95 a cura del Comité pour la Commemoration du 24 Avril

Sul versante storico da segnalare "Gli armeni" di Yves Ternon (Rizzoli, 2003), l’autore francese che ha scritto tra l’altro il bellissimo "Lo stato criminale" (Corbaccio, ’97), analisi dei genocidi del xx secolo.

Sempre con Rizzzoli, Antonia Arsan ha pubblicato "La masseria delle allodole" (2004), memorie sul popolo "mite e fantasticante".

Su un altro versante, quello archeologico, da segnalare i "Documenti di architettura armena" (volumi illustrati di Oemme).

Infine, un titolo a caso: "Missione a Dzablvar. Epistolario socialista del compagno Phanciuni" di Yervant Odian (Edizioni Lavoro 2004).

Unica in Italia è la video edita dalla EMI (Bologna) DESTINAZIONE IL NULLA

Emanuele Giordana Il Manifesto (22 aprile 2005) - www.emi.it/articolo.asp?id=553

FONTI SULLA CIVILTA’ ARMENA

Un utile testo di riferimento per approfondire la vicenda armena, ma anche molti altri genocidi del XX secolo, è costituito dal testo di Yves Ternon, Lo Stato Criminale. Un altro testo molto sintetico ma altrettanto significativo è Breve Storia del Genocidio Armeno di Claude Mutafian e Metz Yeghérn (ed. Guerini ed Associati) che ripercorre tutte le fasi del genocidio in modo preciso ed essenziale. Un testo fondamentale è I quaranta giorni del Mussa Dagh, scritto nel 1933 da F. Werfel ed edito da Mondadori 1963. A questo testo si deve in pratica la memoria che in Italia si ha del genocidio. Un secondo romanzo molto toccante e significativo scritto da V. Katcha è Il pugnale nel giardino. La saga degli Armeni, edito da Sonzogno nel 1982. Il testo HAYASTAN, Diario di un viaggio in Armenia, scritto da Alice Tachdjian Polgrossi, è un reportage che parla degli armeni e della loro repubblica (Edizioni del Girasole). Tutti i volumi di P. Kuciukian come Le terre di Nairì. Viaggi in Armenia, editi da Guerini. A.T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915. Immagini e testimonianze, Edito Guerini e Associati 1996. David Marshall Lang, Armeni, un popolo in esilio, Edizioni Calderini, Bologna 1989 E. Bauer, Arménie. Son histoire et son présent, Lausanne and Paris, 1977. M.S. Anderson, The Eastern Question, 1774-1923, London, 1966. Henry Morgenthau, Ambassador Morgenthau’s Story, New York, 1919. Rafael de Nogales, Four Years beneath the Crescent, London, 1926. Ulrich Trumpener, Germany and the Ottoman Empire, 1914-1918, Princeton, 1968. R. G. Hovannisian, The Armenia Genocide, Londra 1992 B. Chaliand, Y. Ternon, Le génocide del Arméniens, Parigi 1984 M. Buttino, Sull’altare dei giovani turchi, in "Storia e Dossier", n. 67/92. www.armenian-genocide.org/index.htm web.infinito.it/utenti/a/armpap/ members.xoom.virgilio.it/Voce_Armena/index.htm Le mappe delle deportazioni e dei massacri tinyurl.com/6l9r6

Marcello Flores, Il genocidio degli armeni, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 295, euro 22. http://www.unive.it/nqcontent.cfm?a_id=30409

Questo studio di Marcello Flores - corredato da un’interessante appendice curata da Benedetta Guerzoni: Fotografie del genocidio armeno. Memoria, denuncia, uso pubblico - costituisce un importante contributo alla conoscenza di un evento che per troppo tempo è stato quasi assente nella memoria storica del nostro paese. Su tale tema, infatti, sino ad oggi il lettore italiano poteva disporre di alcuni testi tradotti dall’inglese o dal francese (Y. Ternon, Cl. Mutafian, V. N. Dadrian, T. Akçam), mentre gli studiosi italiani ne hanno preso in considerazione solo alcuni aspetti, in particolare sulla base della documentazione vaticana (M. Impagliazzo, M. Carolla). Nessuno storico italiano, cioè, aveva ancora affrontato il genocidio armeno nella sua interezza. Che a farlo sia adesso uno studioso di rilievo come Marcello Flores (docente di Storia comparata all’Università di Siena e autore tra l’altro di un recente ed importante volume sui genocidi novecenteschi: Tutta la violenza di un secolo, 2005) e per un editore prestigioso come Il Mulino conferma quanto afferma lo stesso autore alla conclusione del suo testo: “Il genocidio degli armeni è ormai entrato a pieno titolo nella storia del Novecento” (p. 232). I primi capitoli di questo volume (I. La questione armena nell’impero ottomano; II. La rivoluzione dei Giovani turchi; III. Dalle guerre balcaniche alla guerra mondiale; IV. Dalla guerra europea alla Grande guerra) inquadrano con molto equilibrio il contesto storico in cui è maturato il genocidio armeno, alla cui descrizione sono invece dedicati solo due capitoli (V. La dinamica del genocidio; VI. Le responsabilità del genocidio). Il merito principale di quest’opera, del resto, non consiste nell’apportare elementi di effettiva novità nella ricerca sulle dinamiche che hanno portato alla pressoché totale scomparsa degli armeni dai loro territori ancestrali. L’autore, infatti, non conosce le lingue fondamentali della documentazione storica di questa tragedia (turco, armeno e russo) e non ha quindi potuto affrontarla direttamente sulle fonti primarie. Il suo lavoro si colloca quindi in un ambito diverso, vale a dire quello della riflessione storiografica su un evento la cui realtà è innegabile, ma che ancora deve essere in larga misura interpretato. Ciò significa che mentre il fatto del genocidio non può quindi essere realmente essere messo in dubbio a livello storiografico, le sue origini e modalità possono e debbono invece divenire oggetto di approfondimento. In particolare, osserva Flores, “I problemi che continuano a costituire l’agenda del dibattito storico sono quelli dell’esistenza o meno di una continuità tra i massacri di fine Ottocento e quelli perpetrati durante il conflitto mondiale; del carattere del nazionalismo turco, delle divisioni al suo interno e della sua contrapposizione e intreccio con la tradizione ottomana e con le spinte liberali presenti negli ultimi venti anni dell’impero; del ruolo della minoranza armena (e, più in generale, di quelle cristiane e non musulmane) nello sviluppo economico e nel processo di modernizzazione della seconda metà dell’Ottocento; delle divisioni e modificazioni sociali che si accompagnano a una trasformazione demografica di grande rilievo; della ridefinizione dei confini che segue alla perdita di estesi territori come risultato della nascita di Stati autonomi e indipendenti che accompagnano la crisi Aldo Ferrari DEP n.5-6 / 2006 398 dell’impero ottomano; del ruolo delle potenze occidentali nell’accentuare la questione armena e del loro atteggiamento nel corso del genocidio; della natura dell’alleanza tedesca con l’impero ottomano e della responsabilità della Germania nella violenza contro gli armeni; dell’importanza che il contesto di una guerra totale come il primo conflitto mondiale riveste nelle dinamiche dei massacri e delle deportazioni; del ruolo dell’ideologia dei Giovani turchi e dell’egemonia del nazionalismo radicale nella società turca; dell’organizzazione del potere attorno ad un partito che tende a farsi Stato (il Comitato di unione e progresso) e del ruolo dell’esercito e di organizzazioni fiancheggiatrici e paramilitari (p. 9)”. Dal punto di vista di questa concettualizzazione storiografica il lavoro di Flores appare estremamente pregevole e la sua parte più interessante è costituita non a caso dagli ultimi capitoli (VII. Dall’impero alla nazione; VIII Giustizia e vendetta; IX. La memoria e la storia) in cui vengono prese in considerazione proprio tali questioni. Un vasto e meditato utilizzo degli ormai numerosi studi prodotti da specialisti del genocidio armeno e di genocidi comparati consente in effetti all’autore di muoversi con competenza ed equilibrio su problemi storiografici di notevole complessità. Particolarmente rilevanti sono le sue considerazioni sul negazionismo turco (peraltro notevolmente influenzate dall’opera di T. Akçam), sulla recezione di questa posizione da parte di alcuni storici statunitensi (S. Shaw, J. Mc Carthy, H. Lowry), sul problema della “continuità” tra i massacri hamidiani degli anni 1894-96, quelli di Adana del 1909 e il genocidio vero e proprio, nonché sulla dibattuta questione della “intenzionalità” dell’eliminazione degli armeni da parte del governo dei Giovani Turchi, necessaria per poter parlare – anche a livello giuridico – di genocidio. Da sottolineare soprattutto l’impegno di Flores ad intendere la natura storica del genocidio armeno evitando il ricorso a schematismi e interpretazioni monocausali non più accettabili dopo decenni di produttivo lavoro storiografico: “Un evento come il genocidio armeno non può quindi essere compreso riducendo le sue cause ad una sola delle componenti di medio e di breve periodo che si sono catalizzate all’inizio della guerra mondiale e in cui hanno avuto peso gli attori interni dell’impero ottomano e le potenze internazionali, la casualità e imprevedibilità di alcuni esiti (le battaglie e le dinamiche militari) e le convinzioni e le percezioni dei gruppi più forti e determinati”. (p. 232). L’autore dedica molta attenzione anche alla progressiva, e certo non facile, diffusione della consapevolezza del genocidio armeno all’interno della Turchia odierna: “Il confronto storiografico… ha fatto proprio negli ultimi anni passi da gigante, sia con gli storici turchi sia all’interno delle università e dei centri di ricerca turchi. Anche se non con l’estensione e la rapidità che si vorrebbe – il cui auspicio appare legittimo a novant’anni dall’accadimento dei fatti – il genocidio armeno è ormai divenuto un evento storico la cui conoscenza cresce e l’informazione sul quale aumenta di anno in anno. Certamente, nei dieci anni che separano la Turchia dal suo ingresso in Europa, esso diventerà anche lì oggetto crescente di dibattito, ricerca, libero confronto di opinioni” (p. 12). Vedremo se i prossimi anni confermeranno l’ottimismo di queste parole, dalle quali in ogni caso emerge chiaramente come la questione del riconoscimento del genocidio armeno da parte di Ankara sia una fondamentale cartina al tornasole del processo di democratizzazione interna della Turchia ed abbia quindi un’importante Aldo Ferrari DEP n.5-6 / 2006 399 valenza “europea”. Anche se il riconoscimento del genocidio armeno non è una conditio sine qua non per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, non vi è dubbio che la candidatura di Ankara ha molto aumentato negli ultimi anni la sensibilità europea nei confronti di tale questione, politica assai più che scientifica. Il riconoscimento del genocidio armeno favorirebbe da un lato l’avvicinamento - non solo politico ed economico, ma anche culturale e morale – della Turchia all’Europa, contribuendo a lenire la diffidenza che ancora oggi quest’ultima nutre nei suoi confronti; dall’altro sarebbe un momento importante per una liberazione della memoria che appare tanto necessaria per restituire al popolo turco l’interezza della sua storia e non solo una selezione arbitraria, in larga misura monca e fuorviante, forzosamente imposta da uno stato autoritario alla ricerca di legittimazione.

Aldo Ferrari


- Ci sono 3 contributi al forum. - Policy sui Forum -
Il genocidio degli Armeni
20 maggio 2008

I TURCHI PRIMA O POI DEVONO CHIEDERE LA SCUSA A POPOLO ARMENO E NON SOLO.... E UNA VERGOGNA!!!
    Il genocidio degli Armeni
    6 luglio 2012, di : yyaddi

    ::Credo che chiedere scusa sia solo il minimo, chiedere scusa pubblicamente davanti a tutto il mondo, eliminare tutte le restrizioni che ci sono attualmente per il popolo Armeno e promulgare e rendere immediatamente attive leggi atte a tutelarli e ad salvaguardarli con principio di preferenza rispetto ai turchi, restituire tutte le ricchezze sottratte ai legittimi discendenti e ove non possibile, in modo forfettario a tutti gli Armeni, nessuno escluso, elevare il popolo Armeno a popolo di fatto con un proprio territorio, tutelato e difeso dove nessun turco possa prevalere con diritti di nessun tipo e per nessun motivo e per ultimo(si fa per dire) indennizzare tutto il popolo Armeno, persona per persona, con un denaro sufficiente, interessi compresi a titolo di risarcimento morale, biologico, esistenziale, emotivo, il quale non potrà certo riportare le persone trucidate in modo barbaro ai loro cari, ma potrà almeno aiutare i sopravvissuti e loro discendenti di oggi a ritrovare la serenità ed il loro giusto posto nel mondo..un abbraccio a tutto il popolo Armeno..un saluto rispettoso a Charles Aznavour
    Il genocidio degli Armeni
    5 luglio 2013, di : maurizio carucci

    Sono d’accordo. Finchè i turchi non riconoscono il genocidio degli armeni non possono entrare in Europa. Tra l’altro turchi illuminati, come Oram Pamuk lo hanno riconosciuto ( lui stava per esere arrestato, altri sono stati uccisi o sono andati in volonaraio esilio. Comunquei queto crimine va ricosciuto e stigmatizzato, a parte il fatto che la Turchia, come lingua e cultura nulla ha a che fare con l’Europa. Maurizio Carucci MILANO