Paestum 1976 La forza e i problemi del femminismo

Un articolo di Norma Rangeri su Il Manifesto del 9/ 12 del 1976

di Redazione Sherazade - sabato 13 ottobre 2012 - 4145 letture

Un salto dal 1976 al 2012

Paestum 1976 La forza e i problemi del femminismo Ripubblichiamo, con lo stesso titolo di allora, il commento di Norma Rangeri al convegno di Paestum 1976 uscito sul manifesto del 9/12. di quell’anno. Una citazione dalla memoria del femminismo, ma anche uno spunto per misurare tanto i temi ritornanti quanto le distanze, di contenuto e di linguaggio, fra allora e oggi.

Norma Rangeri

Più di mille donne, di provenienze sociali e di età diverse si sono ritrovate e hanno discusso per quattro giorni nel convegno nazionale che il movimento femminista ha tenuto a Paestum. Da questo siamo state colpite; non dalle gonne fiorate, non dagli abbigliamenti eccentrici, non dalla presenza di «streghe», né dalla «rivolta delle giovani». Ed è proprio questa enorme partecipazione che ci sembra il primo stimolante dato su cui tutti dovrebbero riflettere.

Perché questa enorme affluenza nei convegni femministi? Cosa spinge ogni singola donna a mettersi su un treno lasciando figli e marito, o la famiglia, o il lavoro o la scuola? Cosa significa questa enorme crescita quantitativa del movimento che smentisce ogni voce che vede a ogni pié sospinto la sua crisi? Paestum a questo ha risposto con molta evidenza: le donne vogliono partecipare in prima persona, vogliono incontrarsi e capire insieme i problemi e i destini del movimento perché sentono che in discussione sono i problemi e i destini di ciascuna.

Ed è per questo che l’incontro di questi giorni ha visto una grande partecipazione di tutte, non solo nelle sedi «specifiche» del dibattito, ma anche in tutti gli altri momenti (a pranzo, nelle stanze dei vari alberghi, per la strada) di queste giornate.

Questa salutare eterogeneità ha però anche significato una enorme difficoltà di comunicazione, anche in ciascuno dei gruppi. Come riportare all’interno di un confronto allargato i modi di parlare e di porsi l’una nei confronti dell’altra sperimentati e vissuti nei singoli collettivi, nelle proprie città, fra realtà cioè conosciute e «familiari»? Come evitare quel che succedeva nelle organizzazioni politiche oppure nella propria famiglia, che cioè a parlare fossero le più «esperte»? Come mantenere aperta la volontà, presente in tutte, di esprimersi? Come eliminare i ruoli?

Il movimento femminista che questi problemi sempre si è posto, ad esempio con la struttura del piccolo gruppo, ha affrontato di petto la questione. Il discorso del linguaggio, della comunicazione fra donne, è stato il filo che ha unito un po’ tutti i gruppi in cui il convegno si è articolato; la presenza di realtà diverse per livelli di elaborazione, di pratica, ha creato infatti molto disagio.

Chi prendeva la parola, in qualunque modo 1o facesse, (mettendo al primo posto la sua emotività o la volontà di razionalizzare) era scarsamente seguita da tutte le altre e le accuse reciproche di essere o solo «testa» o solo «corpo» rimbalzavano. Finché una compagna si alza e dice: «Siamo lo specchio della realtà che è fuori di qui, siamo diverse l’una dall’altra, prendiamo coscienza delle nostre differenze, non andiamo alla ricerca di linguaggi “taumaturgici”, l’espressione verbale è ancora quella che più ci accomuna».

In realtà, affrontare il problema di come comunicare fra donne rimanda, ed è qui che si esprime la massima difficoltà, al rapporto con le donne che il movimento non riesce a raggiungere. Il dibattito ha approfondito il tema del rapporto tra movimento femminista e «esterno», tra emancipazione e liberazione. Cosa vuol dire che le donne che compongono il movimento femminista sono donne già «emancipate», cioè già inserite nel lavoro, nella scuola, nelle strutture pubbliche della società? Significa, come sostiene l’Udi, che vanno fatte battaglie per avere più occupazione femminile? E se a questo il movimento femminista non si associa, quali altri strumenti si dà per coinvolgere, ad esempio, le donne più emarginate, come le casalinghe? Sono i problemi su cui il movimento si confronterà con i suoi tempi nei mesi a venire.

Una riflessione importante si è concentrata sulla «spontaneità» del movimento. «La spontaneità si è trasformata spesso in puro spontaneismo; il Sessantotto prima e la risposta dei gruppi della nuova sinistra poi non hanno offerto alcuna soluzione alternativa», dice una compagna di Milano. «Mi viene in mente l’esperienza del parco Lambro e la nascita dei circoli del proletariato giovanile. Il movimento deve riflettere sulla spinta alla disgregazione dei soggetti sociali e quindi anche di quel particolare soggetto sociale che noi siamo per riconoscere le nostre differenze. E’ un contributo alla comprensione profonda delle difficoltà che abbiamo».

Manifesto 3 ottobre 2012, p. 4.

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