Il Caucaso per l’Europa? Silenzi ed omissioni
Pubblicato il 22 luglio sul blog di Vision
La maturità politica – o per meglio dire – geopolitica di un continente che intende ergersi a “luce” del mondo dovrebbe risiedere nella capacità di aver ben presente le multiformi realtà in essere in altre aree del pianeta. Con l’obiettivo di renderle funzionali ai propri interessi strategici. In altri termini, l’Europa dovrebbe avere una politica estera competitiva. Invece, la situazione è differente da quanto enunciato sopra. Spesso e volentieri il nostro continente da l’impressione di andare in ordine sparso e di arrivare un minuto dopo.
Ciò è ancora più evidente se si volge lo sguardo ad aree particolari. Ad esempio il Caucaso. Un’area considerata “esotica” da parecchi occidentali. Forse siamo rimasti fin troppo legati al mito del “vello d’oro”… Voglio rappresentarvi, a tal proposito, due casi di evidente mancanza d’Europa in quella regione. Il 9 luglio è stato ucciso nel villaggio di Semender – e più precisamente nel quartiere di Makhachkala – il giornalista Akhmednabi Akhmednabinev. Chi era Akhmednabi Akhmednabinev? Uno dei tanti giornalisti coraggiosi operanti nel Caucaso. Era giornalista del settimanale Novoye Delo e corrispondente del giornale online Kavkazskiy Uzel. Egli aveva dedicato molto tempo a redigere preziosi report sul terrorismo nel Daghestan, sulle persecuzioni religiose, sulle innumerevoli violazioni dei diritti umani od ancora sui crimini posti in essere da organizzazione criminali. Insomma, dava parecchio fastidio. Orbene, cosa fa l’Europa per sostenere l’azione di tutti questi giornalisti caucasici che hanno un solo desiderio: raccontare lo stato di continua violenza che pervade quell’area? L’Europa se ne lava le mani con dichiarazioni di comodo, qualche trafiletto e nulla di più. Non dovrebbe essere così. Se l’Europa intende giocare un ruolo attivo nell’area deve – prima di tutto – pretendere rispetto dei diritti umani e tutela massima nei confronti dei giornalisti. Solo così l’Europa può diventare un modello positivo nel Caucaso e diventare essa stessa un lievito di democrazia in un’area più nota per la sistematica quanto brutale violazione dei diritti umani.
Ma anche dal punto di vista economico le cose per l’Europa non vanno mica bene. Tutti noi europei pensavamo che l’approvvigionamento di gas caucasico ci sarebbe pervenuto mediante l’attivazione del gasdotto internazionale denominato “Nabucco West”. Non sarà così. Infatti, il 26 giugno scorso è stato firmato il protocollo di costruzione del gasdotto trans-adriatico denominato “Tap” che a partire dal 2018 dovrebbe collegare i giacimenti di Shah Deniz in Azerbaigian al terminal di San Foca (Puglia) passando per Grecia e Albania. Realizzato da un consorzio che comprende la norvegese Statoil, la svizzera Axpo e la tedesca E.On (in joint venture con la britannica BP), il gasdotto dovrebbe trasportare 10 miliardi di metri cubi di gas naturale in Europa, coprendo il 10 per cento del fabbisogno annuale del continente. Si afferma, inoltre, che la cinese Cosco avrebbe espresso interesse a partecipare all’affare in quanto controlla parte del porto greco del Pireo. Ma allora gli accordi che avevano riguardato il “Nabucco West” come infrastruttura fondamentale per l’Europa comunitaria in riferimento all’approvvigionamento di gas dove sono andati a finire? E’ evidente che l’accordo firmato per il “Tap” assuma tutte le caratteristiche per una bruciante sconfitta dell’Unione Europa in materia di energia e reperimento delle fonti energetiche primarie. Il risultato più tangibile è che il vettore di “Nabucco West” – l’austriaca Omv – è rimasta con un groppone difficile da digerire: i 50 milioni di euro fino ad ora spesi per il progetto esecutivo! Per non parlare dell’Europa…
In uno scenario così competitivo a livello internazionale o si è svegli fin dalla prima ora oppure si da l’impressione di essere un pachiderma particolarmente lento a reagire. Insomma, l’Europa nel Caucaso è parecchio silente e assente.
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