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Balcani: Monumenti all’odio

3 ottobre 2011 - Jutarnji List - Zagabria

Per gentile concessione di PressEurop.eu

di Emanuele G. - lunedì 3 ottobre 2011 - 1462 letture

Nei paesi della ex Jugoslavia si sta diffondendo una vera e propria mania per le statue e altri giganteschi simboli dell’identità nazionale e religiosa. Da quando le armi sono state messe a tacere, la rivalità etnica si sfoga anche così. Jurica Pavičić

Pochi giorni prima dell’annuncio della costruzione della più grande statua di Gesù del mondo sul lungomare della città di Spalato da parte del sindaco Zeljko Kerum, un altro "sceriffo" locale, il presidente della Republika srpska Milorad Dodik, accompagnato dal famoso Emir Kusturica, aveva inaugurato il cantiere di Kamengrad a Visegrad, in Bosnia-Erzegovina.

Il progetto di Kamengrad è costituito da un insieme di palazzi, di stili diversi e dal gusto piuttosto dubbio, nel centro storico di Visegrad, sulla riva della Drina, vicino al ponte noto in tutto il mondo per il romanzo di Ivo Andric (premio Nobel per la letteratura nel 1961), Un ponte sulla Drina. Sorta di Disneyland locale, Kamengrad dovrebbe servire da scenografia per l’adattamento cinematografico del romanzo di Andric.

Dopo le riprese, questa installazione costata 30 milioni di euro dovrebbe rimanere e sostituire la vecchia Visegrad, così bosniaca e ordinaria. "Tutte le epoche vi saranno rappresentate, compreso il Rinascimento, da cui i bosniaci sono stati esclusi a causa dell’invasione turca", ha spiega Kusturica che a quanto pare ha una visione molto personale della storia.

Kamengrad e il Gesù di Spalato illustrano bene la mania dei monumenti che si è impadronita dei Balcani negli ultimi tempi. Dopo che in questa parte del mondo le armi sono state messe a tacere, l’architettura è diventata il prolungamento della politica. Una politica che per forza di cose (grazie all’Europa) ha un carattere meno aggressivo, ma che non lesina simboli e proporzioni. A Nis, nella Serbia meridionale, è stata eretta a pochi metri dall’autostrada "la più grande croce del mondo".

A Skopje, in Macedonia, è stato terminato da poco un altro monumento kitsch di 40 metri che rappresenta Alessandro magno [per non offendere i greci è stato ufficialmente chiamato il Cavaliere]. In pochi anni il potere nazionalista macedone è riuscito a distruggere il centro di Skopje, un esempio di urbanismo moderno concepito da Kenzo Tange dopo il terremoto del 1960, trasformandolo in un parco di volgari sculture che rappresentano gli "eroi nazionali". A Spalato il sindaco non vuole limitarsi a Gesù e vorrebbe erigere statue di Giovanni Paolo II, del primo presidente croato Franjo Tudjman e così via.

Nelle società occidentali i monumenti sono stati edificati nell’epoca della costruzione nazionale (fra il diciottesimo e il ventesimo secolo), per offrire al popolo un insieme di immagini, eroi e miti che avrebbero dovuto unire e far dimenticare le divisioni. I monumenti contribuivano al mantenimento di una fraternità che servisse da collante sociale.

Nei Balcani invece i monumenti hanno una funzione completamente diversa: servono a superare i buchi della storia, veri o presunti. L’amore dei nazionalisti per la storia è un’evidente menzogna: la storia del loro popolo non è mai abbastanza, perché non possono fare a meno di immaginare una storia alternativa. Pulizia simbolica

I monumenti balcanici obbediscono alla logica di esclusione dell’altro. Il delirio architettonico del Vmro [il partito di destra al potere in Macedonia] non serve a rafforzare il carattere macedone ma a far dimenticare l’internazionalismo modernista del periodo di Tito e la memoria delle vecchie città ottomane, con il loro fascino orientale e la loro popolazione albanese, di cui bisogna cancellare qualunque contributo all’identità nazionale.

L’operazione Kamengrad a Visegrad non ha altro scopo che quello di "purificare" simbolicamente il vecchio ponte, che peraltro mantiene nonostante tutti gli sforzi di Kusturica il suo carattere ottomano. Nella città immaginata da Kusturica questo ponte è ormai solo un semplice accessorio scenografico, un elemento integrato al nazionalismo serbo.

Umiliare l’altro, ma anche mostrargli che non ha più un posto, è stato anche lo scopo dei preti dell’Erzegovina [la parte croata e cattolica della Bosnia] che hanno "decorato" Mostar con una foresta di croci e campanili per superare in numero e in altezza i minareti locali. (traduzione di Andrea De Ritis).

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