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"Tre P"

(dai verbali della requisitoria finale del processo per l’assassinio di padre PinoPuglisi il 14 aprile 1998)

Il teste P. G. all’udienza dell’11 novembre 1997 ha confermato le dichiarazioni rese all’udienza (...). Aveva conosciuto padre Puglisi, quando aveva l’età di otto anni (...) gli aveva insegnato a dir messa e con lui aveva instaurato un duraturo rapporto. Don Puglisi era divenuto il suo padre spirituale ed il suo contatto lo aveva portato a scegliere la via del sacerdozio. Nell’ottobre del 1992 era divenuto suo vice-parroco. Col padre Puglisi aveva vissuto esperienze entusiasmanti nel quartiere Brancaccio: “il suo modo di lavorare fuori dall’ombra del campanile .... era un prete.....che appena arrivato in questo quartiere vedendo un po’ tutte le problematiche che aveva, un quartiere senza niente, senza servizi ....... ha cominciato a sensibilizzarsi, sicuramente anche a partire dalla storia dei bambini di questo quartiere che giocavano in mezzo alla strada oppure li vedeva rubare a destra o a sinistra, a rompere i vetri delle macchine, rubare degli stereo e cose varie... cominciò a rivolgersi soprattutto ai bambini, ma non solo a loro, alle ragazze, ai giovani, un po’ a tutta la gente ..... col suo modo di fare sorridente....” Era di carattere schivo e riservato, preferendo l’impegno quotidiano alle azioni spettacolari, ma per il suo attivismo che si esprimeva nell’organizzazione di visite ed incontri con le Istituzioni, nella partecipazione a cortei contro il prepotere criminale, nelle denunce del malaffare, si era esposto prima alle rappresaglie poi all’offensiva della mafia, aveva ricevuto minacce, avvertimenti, che aveva coraggiosamente denunciato ai fedeli nelle omelie domenicali. Era stata incendiata la porta di casa, era stato dato alle fiamme un furgone della ditta che si occupava del restauro della sua parrocchia, erano stati minacciati suoi collaboratori e suoi parrocchiani, ma tutto ciò non lo aveva distolto dalle sue occupazioni silenziose e quotidiane in favore della comunità: soltanto di fronte all’azione implacabile di una mano omicida, il suo spirito indomito di religioso impegnato sul piano etico e civile aveva dovuto soccombere, solo ed inerme. Don Porcaro ha ricordato che padre Puglisi dicendo “Chi usa lo strumento della paura è quasi un animale” cercava di sensibilizzare la popolazione e non solo quelli che erano venuti in chiesa, aggiungendo : “Siamo uniti e non lasciamoci schiacciare dalla paura”. (..) Raccoglieva i giovani dalla strada, tossicodipendenti, e sbandati, utilizzando per il loro recupero e lo svolgimento delle attività sociali luoghi che un tempo erano dominio di “cosa nostra” che li destinava all’esercizio di attività criminali. Aveva dato vita ad un gruppo di giovani volontari diventato presto punto di riferimento per tutti gli emarginati della zona ed aveva creato un centro di accoglienza, “Padre Nostro”, annesso alla chiesa di San Gaetano(..), per articolare cura al recupero dei bambini del quartiere Brancaccio che non frequentavano la scuola. Per rendere più incisiva tale opera, verso la fine del primo anno di parroccato aveva istituito dei corsi di scuola elementare e di scuola media, maturando l’idea di creare un centro di accoglienza. Tale idea si era concretizzata l’11 gennaio del 1991, allorché in occasione della visita dell’arcivescovo di Palermo nella parrocchia, tutti avevano reclamato a gran voce che venisse istituito nella zona un ordine di suore per dare assistenza ai malati, agli anziani e ai bambini. Un altro teste, ha riferito che, prima di iniziare a frequentare padre Puglisi <diventerà poi testimone di giustizia> in occasione delle consultazioni elettorali, si era adoperato per raccogliere consensi per i candidati favoriti, distribuendo buoni benzina o pacchi di pasta. Erano stati organizzati pranzi e cene “con 200 o 300 persone, tutto pagato, tutti buoni e cari...” (...) ha detto che con padre Puglisi (...) si respirava tutta un’altra aria. Lo aveva conosciuto sei mesi dopo il suo insediamento in parrocchia e aveva potuto notare che era già entrato in conflitto con certi soggetti, i quali facevano parte di un comitato di festeggiamenti che organizzavano feste rionali utilizzando tali manifestazioni come trampolino per voti elettorali. Padre Puglisi non aveva accettato che “in un quartiere, dove c’era un disagio sociale grandissimo, si potessero spendere anche 80 milioni per delle feste, ed entrò in contrasto con loro”. Nel gennaio 1993 i ragazzi della parrocchia, i più piccoli, gli adolescenti avevano organizzato un presepe vivente e la manifestazione si era svolta proprio nei locali dello scantinato di Via S. Ciro. Per l’occasione il presidente del Consiglio di Quartiere aveva invitato alcuni uomini politici della D.C. , che egli aveva pubblicamente ringraziato al termine dello spettacolo. Padre Puglisi aveva preso la parola, quasi rimproverando gli illustri ospiti con un tono molto duro; aveva detto loro: “Ecco se voi siete venuti qui per aggiustare questo quartiere siate i benvenuti, se no è meglio che non venite più, non vi fate vedere assolutamente!..... Noi abbiamo bisogno di fatti non solo di parole o di belle parole o di ringraziamento. (...) Qui c’è una situazione nel quartiere disagiato al massimo, senza una scuola media, gente disoccupata .... situazioni familiari assurde, promiscuità incredibile e voi venite qui a chiedere voti, ma perché, con quale faccia vi presentate qui!”(...) Tanto fulgore del coraggioso prete che con la sua infaticabile opera cercava di ridare dignità di “uomini liberi” a coloro che si erano persi nel sottobosco mafioso, non poteva essere ovviamente gradito ai “potenti” della zona che fiutavano il pericolo che il loro vivaio di giovani gregari potesse essere in qualche modo distrutto. (...) Il Graviano fece sapere che l’omicidio non doveva apparire come un omicidio di mafia bensì come l’opera di un tossicodipendente o di un rapinatore. (..) “Dalle rispettive autovetture siamo scesi io e lo Spatuzza. Quest’ultimo avvicinò il sacerdote gli prese il borsello e gli disse: “Padre, questa è una rapina”. Nel frattempo io posizionandomi dietro il sacerdote esplodevo un colpo di pistola alla nuca di quest’ultimo da brevissima distanza. Il sacerdote non si è reso conto di nulla in quanto con un sorriso si era rivolto allo Spatuzza profferendo le seguenti parole: “... Me lo aspettavo”.

 

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