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Notizie dal movimento studentesco catanese

È tempo di una generazione che non ha nulla da perdere e che deve disimparare l’etica della rassegnazione.

di Antonella Cartarrasa - lunedì 15 novembre 2010 - 2384 letture

Il Movimento Studentesco Catanese nasce nel 2008, in concomitanza con il movimento dell’Onda che ebbe risalto sul piano nazionale per il numero di persone che vi aderirono: in migliaia in piazza per un corteo contro la Riforma Gelmini, la quale altro non si è rivelata che una mannaia di tagli alla scuola e alle Università, che travolge interamente il mondo dell’istruzione non risparmiando alcuna categoria e di cui a farne le spese sono sempre i soggetti più deboli e svantaggiati.

“L’onda del sapere travolge ogni potere”, recita lo striscione degli studenti che apre il corteo di giorno 8 ottobre del 2010. Di fronte alla drammatica concretizzazione dei tagli del ddl 1905, il progetto del governo appare sempre più chiaro: approfittare delle crisi economica per ridurre la spesa pubblica in un settore che fa paura ad ogni potere, perché assicura competenza e cultura ai suoi cittadini e quindi critica e dissenso, mentre nello stesso tempo trova le risorse per salvare banche e finanziarie che la stessa crisi hanno generato.

L’effetto di questo copioso taglio è stato l’aumento delle tasse universitarie e la riduzione delle borse di studio che, sommato all’introduzione del numero chiuso, da quest’anno in tutte le facoltà dell’ateneo catanese, ha inferto un duro colpo al diritto allo studio senza risolvere il problema dell’individuazione dei meritevoli , che di certo non può essere effettuata tramite una preselezione basata su un asettico test “a crocette“.

Ciò esclude in maniera classista un sempre più crescente numero di giovani dall’accesso all’università e quindi dalla possibilità di trovare un lavoro che rispecchi le proprie aspirazioni, condannando, specialmente al sud, chi non è raccomandato, a “scegliere” tra il lavorare in nero, il rimanere disoccupato o l’emigrare.

Il disimpegno della mano pubblica, oltre che dalle tasche delle famiglie degli studenti universitari, sarà colmato dall’intervento dei privati (in buona sostanza banche e multinazionali) , consentito dalla possibilità di trasformare le università in fondazioni private. Così accadrà che, in cambio del finanziamento, i privati pretenderanno di ingerirsi nella gestione dell’università asservendola ai propri interessi in rispondenza alle logiche del mercato e del profitto.

A completare il quadro, il ddl 1905 prevede un governo autocratico degli atenei con: l’accentramento dei poteri al rettore e al c.d.a. , in cui si inseriscono membri esterni nel segno della privatizzazione; il senato accademico destinato a funzioni consultive e marginali; la rappresentanza studentesca, già irrisoria, ulteriormante ridotta. Per di più la categoria del ricercatore a tempo indeterminato viene dichiarata in esaurimento ed eliminata per lasciare spazio all’unica figura di ricercatore precario che al limite, dopo un odissea di contratti a termine che tra proroghe e rinnovi può protrarsi per ben 8 anni, potrà diventare professore associato dopo aver conseguito l’abilitazione scientifica e superato con esito positivo la valutazione del suo operato, altrimenti vedere interrotta la sua carriera.

 Contro questo disegno “universicida” si batte il Movimento Studentesco, abbracciando le proteste di tutte le categorie coinvolte all’interno del mondo accademico (ricercatori, docenti precari, personale tecnico-amministrativo, ordinari) e scolastico.

Si sente la necessità di unire le lotte, per aprire una stagione di conflitto, di protagonismo sociale, di opposizione senza deleghe alle destre e a Confindustria.

Cosa lega le rivendicazioni al salario minimo sociale con il diritto allo studio? Perchè il migrante che sbarca in un paese intollerante e non accogliente come il nostro dovrebbe avere qualcosa in comune con un operatore di un call-center? Tutte questi tipi umani hanno il volto della precarietà, hanno impresso sul loro viso il criminoso progetto di subalternità alla finanziarizzazione. Rappresentano la classe sociale più vulnerabile ed assieme più grande che la modernità abbia mai conosciuto ma sono anche in grado di innescare sin da domani la più forte opposizione sociale che abbia attraversato il paese negli ultimi decenni.

Noi, purtroppo, rappresentiamo ogni singola caratteristica di questa condizione generalizzata e diffusa: le nostre scuole sono precarie, le nostre esistenze sono in balìa dei profitti, i nostri studi dipendono dai consigli d’amministrazione, i nostri lavori saranno a progetto, se e quando ci saranno, le nostre pensioni saranno del tutto contributive e probabilmente saremo la prima generazione più povera dei propri padri. È tempo di una generazione che non ha nulla da perdere e che deve disimparare l’etica della rassegnazione. Esigiamo un futuro privo di sfruttamento e precarietà.

Lo vogliamo adesso e decidiamo di lottare per ottenerlo, prima che sia troppo tardi.


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