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Jeremy Rifkin “La Terza Rivoluzione Industriale” (Mondadori)

E’ ora di cambiare registro se vogliamo assicurare un futuro sostenibile al genere umano.

di Emanuele G. - martedì 27 dicembre 2011 - 3873 letture

Dopo “La Civiltà dell’Empatia” il prof. Jeremy Rifkin ritorna con un altro saggio – di natura piuttosto corposa – che puntualizza i topic del suo pensiero. Il titolo del saggio in fase di promozione è “La Terza Rivoluzione Industriale”. Poiché il libro è – come ho già accennato – di natura ponderosa e parecchio impegnativo cercherò di evidenziarne le architravi portanti. In modo che i lettori possano farsene un’idea la più definita possibile.

Il punto di partenza è la c.d. “terza rivoluzione industriale”. In cosa consisterebbe questa rivoluzione? L’evo moderno ebbe inizio non solo con la Rivoluzione Francese, bensì anche grazie alla prima rivoluzione industriale. Essa si basava sull’utilizzo del carbone per produrre energia e quindi avviare il successivo processo di produzione industriale. La seconda, più recente, è caratterizzata dall’uso degli idrocarburi. Il petrolio in pratica. L’uso, o per meglio dire l’abuso, di queste materie prime ha causato innumerevoli criticità al mondo. Che spiegano il perché ci stiamo trovando a malpartito nell’affrontare una crisi che non è fisiologica, ma sistemica. Pertanto, si sente l’assoluta necessità di cambiare registro se vogliamo costruire un futuro sostenibile al genere umano. Si tratta della terza rivoluzione industriale. Una nuova fase dell’evo moderno che gira attorno all’uso delle fonti rinnovabili.

Perché dobbiamo andare con piglio deciso verso questa frontiera? Naturalmente per liberare la terra dal disastro ambientale causato dall’utilizzo esagerato del carbone e del petrolio. Ma soprattutto per liberarci dalla schiavitù imposta dalle lobby del settore. E’ il momento di riappropiarci del nostro futuro mediante la governance partecipate delle risorse energetiche. Ciò darà slancio a tutta una serie di profonde risorse a livello mondiale. Immaginatevi i benefici effetti di un mondo che si autogestisce la produzione di energia. Di quella energia che ci serve per soddisfare le mille necessità dell’uomo contemporaneo. Speculari a tale processo di liberazione ci saranno due effetti fortemente innovativi.

Il fatto di produrre e distribuire energia in forma partecipata farà sì che la libertà di comunicazione sarà assolutamente sciolta da qualsiasi vincolo. Un mondo che comunica senza barriere. Senza censure. Senza vincoli mentali. E’ un mondo che vive in maniera positiva la globalizzazione. Proprio perché essa si trasforma da strumento terribile in mano alle multinazionali a mezzo mediante il quale l’umanità entra in contatto con sé e dispone di quelle misure atte alla sua governance.

Inoltre, un mondo dove le fonti energetiche sono finalmente nostre e la globalizzazione è frutto della libertà di comunicazione cambierà in profondità la politica e gli stati. Non ci sarà più quella divisione fra chi governa e chi è governato, fra destra e sinistra… Non avranno più senso alcuno. Le burocrazie – infine – saranno fortmente limitate. Il governo degli stati sarà il risultato dell’interazione della gente e non di accordi fra elite.

Certo quanto prospettato dal prof. Rifkin sembra qualche volta visionario o irrealizzabile. Tuttavia è questa attitudine visionaria a rendere forte la sua proposta.Infatti, non ci possiamo più permettere di andare avanti con le stanche liturgie del passato. Il limite estremo è raggiunto. Oltre al quale si prospetta la disgregazione del mondo. Se non la sua fine. Quindi – finché siamo in tempo – cominciamo un percorso di vera rivoluzione. La scommessa è di trovarci ancora vivi e vegeti fra qualche decenni. Mi pare che si possa accettare siffatta sfida. Oppure abbiamo qualche altra idea alternativa?


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