"L'Italia
- erano soliti dire i generali americani - è una
portaerei sul Mediterraneo". Questa tragica verità
ebbe la sua inaccettabile conseguenza alle 20.59 del 27
giugno 1980 quando un aereo civile in volo da Bologna a
Palermo scomparve dallo schermo dei radar. A bordo c'erano
78 passeggeri e 3 uomini dell'equipaggio. Il DC9 I-TIGI,
della società Itavia, s'inabissò nelle acque
dell'isola di Ustica. A più di vent'anni da quella
tragica notte, "Ustica" non ha verità,
non ha colpevoli. Eppure, anche senza una
verità sancita, tutti abbiamo la più chiara
consapevolezza di ciò che accadde: ci fu la guerra.
Una guerra non dichiarata, di cui nessuno apparentemente
sapeva nulla o se sapeva negò. Negarono, omisero,
depistarono i capi di stato maggiore dell'Aeronautica, negarono
i servizi segreti,
negarono, in attesa di indagini, i politici che governavano
il paese.
Un dubbio atroce ci assale: di quella guerra il DC9 era
l'obbiettivo premeditato? Oppure l'aereo dell'Itavia fu
abbattuto per un "errore collaterale"? Nessun'altra
verità è ormai più ipotizzabile. Chi
ancora afferma - con estremo sprezzo del ridicolo - di bomba
a bordo oppure di
cedimento strutturale deve solo fare i conti con la propria
capacità psichica di auto-ingannarsi. Se le ipotesi
di scenario si restringono a due, molti di più sono
gli indiziati della strage: la NATO? L'aviazione americana?
Quella francese? Quella italiana? Quella libica? Risposte
certe
non ve ne sono e come per i troppi misteri d'Italia chissà
quando le avremo.
Per esigenza di verità e per ricordare il ventennale
della strage di Ustica in cui persero la vita 41 uomini,
24 donne, 3 ragazzi e 13 bambini, Marco Paolini, il grande
cantastorie civile del "Vajont", portò
in scena nel 2000,
in compagnia di Giovanna Marini, uno spettacolo teatrale
dedicato a quei fatti. Nel 2002 una nuova versione è
stata riportata a teatro e nelle piazze d'Italia. In occasione
dell'esecuzione dello spettacolo a Gibellina per le
Orestiadi, ne è stato tratto un film per la regia
di Davide Ferrario, trasmesso su Tele + e presentato all'ultima
edizione del Torino Film Festival. Il monologo di Marco
Paolini è un lavoro di rara potenza espressiva che
Ferrario ha saputo cogliere con grande acume, coadiuvato
splendidamente dalla fotografia di Giuseppe Baresi. Destreggiandosi
in un linguaggio tecnico con minuzia da filologo Paolini
ricostruisce, sulla base delle carte processuali (5 mila
pagine dell'istruttoria delgiudice Rosario
Priore), tutti i passaggi della vicenda. Scenario di questa
ricostruzione è il Cretto di Alberto Burri a Gibellina
in Sicilia, a pochi chilometri da Ustica, monumento simbolo
ad un'altra ferita del nostro paese. La più grande
opera di Land art d'Europa ricorda infatti il terremoto
della valle del
Belice del 1968 dove per più di vent'anni i sopravvissuti
hanno vissuto nei prefabbricati.
Nell'inquietante atmosfera che circonda i ruderi di Gibellina,
viene intonato un canto che risveglia le memorie su una
tragedia che mai verrà completamente sepolta, ma
che mai avrà un suo compiuto epilogo. Il testo di
Marco Paolini è coerente, non vuole svelare verità
nascoste, perché nessuno vuole ascoltare banali polemiche,
irritanti ipotesi personali, ma soltanto ciò che
in questi 22 anni è stato e non è stato fatto
e ciò che ha alimentato il "muro di gomma".
Lo spettacolo finisce all'improvviso, così come era
iniziato, e non dà il tempo al pubblico di rendersene
conto.
"La storia del DC9 precipitato a Ustica - dice Marco
Paolini - contiene tutti gli elementi della tragedia classica,
come l'insepoltura, la mancanza di giustizia, il confronto
impari tra vittime e potere, ma in più questa vicenda
contiene alcuni argomenti distruggente attualità.
Questa è una tragedia globale perché vittime,
testimoni e colpevoli appartengono a paesi e sistemi diversi
e non c'è nessun giudice che riesca ad erigersi al
di sopra delle differenze e dei conflitti planetari fra
ragioni del diritto e
ragion di stato, tra richieste di giustizia, esigenza di
verità e
convenienza del silenzio, inconfessabili decisioni, arroganza
dei poteri".
Bisogna recuperare la nostra memoria. In fondo la questione
è sempre la stessa del 1980. Se l'Italia sia soltanto
"una portaerei nel Mediterraneo", come volevano
i generali americani, o non piuttosto "un ponte di
democrazia
verso i paesi arabi", come diceva Sandro Pertini. Il
modo in cui siamo entrati in guerra è da semplice
portaerei". Per finire, un monito e una constatazione,
citando sempre le parole di Marco Paolini: "In Italia
l'indignazione dura quanto l'orgasmo. Poi viene sonno..."
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