8. Differenze generazionali

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Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Iano Planco, di Antonio Montanari

8. Differenze generazionali

Gli anni trascorsi nella scuola riminese proiettano una loro nitida luce in quelli successivi della vita d’Amaduzzi; contribuiscono cioè a rafforzare la sua capacità intellettuale, fornendole (fortunatamente) anche quegli anticorpi con cui reagire agli aspetti meno convincenti di un insegnamento che, se in taluni momenti piegò verso il dogmatismo dell’erudizione «oratoria o all’antica» [1] , in molti altri invece ebbe come prima caratteristica l’invito alla curiosità, all’aggiornamento, al commercio epistolare ed intellettuale, secondo i canoni di quella parte della società settecentesca che tendeva più al rinnovamento che alla conservazione.

Amaduzzi in età matura compie un ripensamento dell’educazione ricevuta, sviluppando gli strumenti che aveva appreso alla scuola planchiana. Egli non vuole stilare un onesto ed imparziale bilancio di lati positivi e negativi d’una personalità vivace, contradditoria ed anche inquieta come fu quella di Planco. Cerca piuttosto di rintracciare il sottile filo dialettico esistente nella trama di ogni proficua pedagogia, sul quale misurare se stesso. In Amaduzzi, come in altri suoi contemporanei, opera il convincimento che l’esperienza individuale e la storia collettiva siano un processo attraverso cui le novità maturano con la riflessione sulle idee ricevute, e con il loro superamento. Così, ci si obbliga a rimeditare daccapo ogni aspetto della vita, della conoscenza scientifica, della politica, del pensiero. Così, si mira ad un mutamento rispetto allo status quo, con quel desiderio che gli intellettuali nati attorno alla metà del Settecento assorbono dallo spirito del tempo e dagli umori della nuova cultura.

Della differenza culturale che passa fra la generazione di Amaduzzi e quella di Bianchi, ci rendiamo conto esaminando i sette compiti, finora inediti [2] , assegnati da Planco e svolti dal savignanese alla sua scuola: essi sono una preziosa testimonianza dell’attività didattica che vi si svolgeva quotidianamente. I loro argomenti sono relativi alla Filosofia e alla Scienza, e propongono questi argomenti: l’impossibilità di difendere il sistema tolemaico; la funzione della logica artificiale come propedeutica alle altre Scienze; la forza elettrica; gli spiriti degli animali bruti; la sede nel cervello degli affetti dell’animo; i nervi dell’udito; la digestione.

Gli enunciati proposti da Planco ai suoi studenti, confrontati con i temi affrontati negli stessi anni su periodici e libri scientifici, dimostrano che il medico riminese era su posizioni incerte ed arretrate. Costringere, ad esempio, gli allievi a spiegare che il sistema tolemaico non poteva essere difeso «nulla ratione», ad oltre due secoli dall’opera di Copernico, significava discutere di argomenti polverosi, mentre la Nuova Scienza percorreva (seppur con fatica, in tortuose corse ad ostacoli) le strade d’Europa. Planco sembra riproporre ai suoi allievi gli stessi argomenti da lui studiati quand’era giovane, prima a Rimini e poi a Bologna (1717-1719). Nella terminologia usata in quegli enunciati, ci sono talora ricordi cartesiani, come là dove si parla di «spiriti animali» (si veda al proposito il cap. XVII del Discorso sul metodo). Altri argomenti (sede degli affetti, digestione), vanno invece in direzione opposta, negando le tesi di Descartes. In sostanza, Bianchi vi si dimostra più come un vecchio umanista che un nuovo filosofo dell’età dei Lumi.

All’esperienza vissuta nel liceo di Bianchi, si può collegare un passo del terzo discorso, quello intitolato Dell’indole della Verità, e delle Opinioni, dove Amaduzzi polemizza con l’antico maestro, quasi a volere insinuare che Planco nulla avesse compreso delle teorie di Newton [3] . Amaduzzi colpisce nel segno, segnalando un metodo filosofico non troppo rigoroso, già sottolineato nell’articolo commemorativo dell’Antologia romana.

Vent’anni prima, nel 1766, un altro solenne rimprovero era giunto a Planco da Pietro Verri il quale, a proposito di un scritto del medico riminese contro l’inoculazione del vaiolo, aveva osservato che «al fondamento delle opposizioni del signor dottor Bianchi è questo ch’ei chiama effatum philosophicum, cioè che quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur» [4] . L’«effatum philosophicum» (o enunciato filosofico), di cui parla Planco, trasferisce nel campo medico una concezione già di per sé opinabile in quello gnoseologico; e rimanda a teorie messe in ombra dalle nuove idee del sensismo alla Condillac, con le quali si rovescia l’impostazione presente in Bianchi, sostenendo che «l’uomo è soltanto ciò che ha acquisito», e non che le cose sono ciò che l’uomo conosce di esse [5] . Usando, per un fenomeno riguardante la Medicina, un tipo d’indagine che su di essa non può operare perché non ricorre alla metodologia idonea alla materia sulla quale interviene, Bianchi commette un errore epistemologico che rispecchia l’esperienza culturale del primo Settecento [6] , e che ci è confermato in una sua lettera indirizzata a Giovanni Lami [7] , dove Bianchi inserisce «la quistione dell’innoculazione» tra le «cose letterarie» da discutere, magari nel «miglior latino», con il quale mandare «al diavolo tutti i pretesi calcoli [...] e tutte le altre ragioni sofistiche de’ fautori dell’innoculazione, giacché tutti costoro non sono filosofi e meno medici, ma sono sfaccendati [...]». Planco tuttavia, e lo apprendiamo proprio da Amaduzzi, cede «in appresso all’evidenza del buon esito» dell’innesto del vaiolo, «con quel candore, e coraggio, che suole ispirare l’amore della verità nei cuori degli uomini grandi» [8] .

Anche quest’intervento a difesa di Bianchi, se da un canto dimostra altrettanto amore per la verità nel comportamento del savignanese, dall’altro testimonia un affetto (onesto e non di convenienza) verso quel «chiarissimo, e benemerito Precettore, per la cui istituzione, ed addottrinamento io son divenuto non affatto indegno» della nomina a sopraintendente della Stamperia di Propaganda Fide» [9] : così Amaduzzi scrive a Bianchi il 10 febbraio 1770, quando la sua carriera pubblica ha (come si è già visto, grazie all’antico maestro ed a papa Ganganelli), una nuova promozione dopo che era stato fatto l’anno precedente Lettore di Greco alla Sapienza.



[1] Cfr. E. Raimondi, I lumi dell’erudizione. Saggi sul Settecento italiano, Milano 1989, cap. «Ragione ed erudizione  nell’opera di Muratori», pp. 79-97 (ripubblicato in Id., I sentieri del lettore, ii, Dal Seicento all'Ottocento, Bologna 1994, pp. 133-150). Raimondi, sulla scia di L. A. Muratori, contrappone ad un’erudizione «oratoria o all’antica», quella «di gusto moderno, sul tipo scientifico, [...] legata allo spirito critico e nutrita di ragione moderna».

[2] Della loro esistenza ho dato per primo notizia nel 1992 nel cit. volume Lumi di Romagna (p. 102, nota 1). Conservati in BFSA, essi si riferiscono soltanto agli anni 1757-59.

[3] La cit. è tolta da p. 51. Cfr. la mia Appendice all’ed. an. del discorso amaduzziano La Filosofia alleata della Religione, Rimini 1993, pp. 58-59. (Su tale ed., cfr. la mia dissertazione nel Quaderno XVII dell’Accademia dei Filopatridi, Savignano 1995, pp. 119-126.)

[4] Cfr. «Il Caffè», 1764-1766, Torino 1998, p. 770.

[5] Secondo Condillac, in quanto «cause fisiche», le «qualità» esistono realmente «nei corpi», ma esse danno soltanto «occasione alle impressioni che provocano sui nostri sensi»»: cfr. G. Paganini, L’io e le idee, in Storia della Filosofia. 4. Il Settecento, a cura di P. Rossi e C. A. Viano, Roma-Bari 1966, p. 248. Bianchi è completamente al di fuori del dibattito su questo tema.

[6] Grazie proprio a J. Locke (1632-1704) di cui parla Amaduzzi (soprattutto nel terzo discorso filosofico), l’«Europa éclairée» conosce quella che Sergio Moravia chiama la «liberalizzazione epistemologica», la quale approda a molteplici opzioni metodologiche grazie alla lezione dell’empirismo, che sostituisce «tutta una serie di categorie o di strumenti di indagine con altri strumenti e categorie»: cfr. S. Moravia, Filosofia e scienze umane nell’età dei lumi, Milano 2000, p. 5. Sulla fortuna di Locke nel 1700 e la diffusione del suo pensiero da parte di Amaduzzi, cfr. A. Montanari, Amaduzzi, Scipione De’ Ricci ed il ‘giansenismo’ italiano, ne «Il carteggio tra Amaduzzi e Corilla Olimpica, 1775-1792», a cura di L. Morelli, Firenze 2000, pp. XXVIII-XL.

[7] Cfr. B. Fadda, L’innesto del vaiolo, Milano 1983, p. 192-193.

[8] Cfr. A. Montanari, Le Notti di Bertòla, Storia inedita dei Canti in memoria di Papa Ganganelli, Il Ponte, Rimini 1998, p. 75, nota 85.

[9] La lettera è nel cit. FGMR, AGC. Da altre due precedenti missive (29 novembre 1769 e 21 gennaio 1770), ricaviamo che Bianchi sperava di poter ripubblicare i suoi testi presso la Stamperia di Propaganda Fide, grazie ai buoni uffici di Amaduzzi.

Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Iano Planco, di Antonio Montanari

1. La formazione di Giovanni Amaduzzi: fanciullezza

2. Il Seminario di Rimini

3. La scuola di Planco

4. Amaduzzi alla scuola di Planco

5. Amaduzzi e i Lincei

6. L'insegnamento filosofico di Planco

7. Amaduzzi e l'"elogio" di Planco

8. Differenze generazionali

9. Amaduzzi e l'esperienza romana.

 



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