4. Amaduzzi alla scuola di Planco

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Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Iano Planco, di Antonio Montanari

4. Amaduzzi alla scuola di Planco

Fu Amaduzzi, come confida lui stesso ad Aurelio Bertòla [1] , e come racconta pure il breve necrologio di Planco apparso sulle Novelle di Firenze[2] del 1776, a fargli ottenere il raddoppio dello stipendio e la nomina a medico segreto onorario del pontefice. A sua volta Bianchi, citando i favori ricevuti da Clemente XIV, inserisce anche i due incarichi attribuiti ad Amaduzzi: la cattedra di Greco alla Sapienza, e la Soprintendenza della Stamperia di Propaganda Fide [3] . Se dapprima i rapporti fra Planco ed il giovane savignanese furono quelli che intercorrono tra maestro e discepolo, poi essi sono improntati ad una reciproca benevolenza con conseguenti scambi di favori, resi possibili soltanto dalla protezione che a Roma poteva loro assicurare il papa conterraneo.

Giovanni Cristofano Amaduzzi, come lui scrisse, attende «per sette anni allo studio della Filosofia e Lingua Greca sotto la disciplina del Ch: Dott. Giovanni Bianchi» [4] , cioè dal 1755 al 1762, quando Planco lo avvia a Roma. Sono sette anni importanti anche per la biografia intellettuale di Bianchi: al 1761 risale un suo testo, Congressi letterari della nostra Accademia [5] , in cui egli si preoccupa di segnare i limiti della propria esperienza di maestro, precisando che nelle varie radunanze lincee non si trattano questioni o materie in particolare, perché esse richiedono «che pensiamo gli argomenti da noi medesimi, e che con nostre proprie ragioni ed osservazioni gli confermiamo»: «eziandio nelle più copiose Accademie d’Europa, quali sono quelle di Parigi, di Londra, di Pietroburgo, di Berlino, di Bologna, pochissime sono le dissertazioni di quegli accademici sopra cose particolari, e che contengano veramente qualche cosa di nuovo e di particolare». Bianchi avverte la distanza tra la funzione pedagogica, di grande rilievo, che giustamente si attribuisce, ed i risultati concreti molto ridotti rispetto alle sue aspettative.

Ad una crisi dei Lincei [6] , Planco aveva già accennato in altre due precedenti occasioni. Il 30 aprile 1751 ha accusato «buona parte de’ nostri Academici di Rimino» d’essere diventati «non so come Pittagorici fuori di tempo essendosi fatti mutoli la maggior parte», preferendo di «marcire nell’ozio, o d’affaticarsi solamente per qualche poco per un picciolo guadagno, o per rendersi abili a gli amoretti di qualche femminuccia» [7] . Nel 1755, ha spiegato che le adunanze dei Lincei non sono frequenti perché molti accademici abitano fuori Rimini, dove esistono poi varie scuole, al posto di quella sua unica che forniva ai Lincei parecchi relatori [8] . L’isolamento che Bianchi denuncia è forse provocato, più che da negligenza o futili motivi degli accademici, dalla loro paura di esporsi in un ambiente diventato ‘pericoloso’ nei riguardi del potere ecclesiastico-politico dopo la condanna all’Indice per l’Arte comica.

«Recherà forse meraviglia», dichiara Bianchi all’inizio dello scritto del 1761, «che dopo due anni io ora torni ad aprire i congressi letterari della nostra accademia, ma i meglio informati non si maraviglieranno punto, considerando che molti de nostri accademici sono in altri luoghi trapassati, ed alcuni anche sin morti, onde solamente qui in due i tre siamo rimasti». Ma costoro, aggiunge Bianchi, sono tutti occupati «in molti affari e di premura», per cui non possono comporre «dissertazioni da recitarsi qui ogni settimana, come quando eravamo molti, una volta si faceva, od in ispazi di tempo più lunghi, come dopo s’incominciò a fare, avendo osservato che sul principio tanto i nostri accademici di Rimino quanto quei di fuori componevano più facilmente loro dissertazioni da recitarsi qui, perché io aveva loro suggeriti argomenti generali per far vedere al Pubblico l’utilità della geometria, o quella della fisica, o della lingua greca, o della poesia, o della musica, o d’altra scienza, o d’altre cose d’erudizione in generale […]».

Sottolineando il rapporto che è sempre esistito fra l’Accademia ed i propri allievi, Planco scrive: «ho procurato che i Giovani della nostra Scuola espongano varie Tesi e che le difendano per avvezzarli ad essere atti a tratar cose particolari, quando nell’età saranno più maturi, ed alcuni in questo non piccola disposizione dimostravano animati anche dalla presenza di valorosi uditori, che loro applaudivano, ma essendo mancato anche questa, essi sembra, che si sieno, come raffreddati, onde io non so come anderemo avanti, tanto più che nella Città nostra essendo ora cresciuto il numero delle Scuole, queste vengono a distruggersi l’una coll’altra per la scarsezza degli Uditori, che ha ciascuna, né per avventura possono i Giovani ricevere que’ Lumi, che una volta da una sola copiosamente ricevevano. Ma di questo sia come si voglia, finché io avrò vita non cesserò giammai di animare la Gioventù, che mi frequenterà ai buoni studi, e quando per me si potrà, aprirò i pubblici Congressi della nostra Accademia facendo anche pubbliche le cose particolari, che in essa da me, o da altri si reciteranno» [9] .



[1] Cfr. lettera del 3 gennaio 1776 (copia autografa con annotazione di diversa mano del destinatario, FGMR, AGC), in memoriam di Iano Planco: «Perfine furono coronati gli ultimi anni della sua gloriosa vita dalla bella considerazione, che a mia petizione a lui del tutto incognita, si compiacque a fare della sua virtù, e della sua celebrità l’immortale Clemente XIV, la di cui memoria desterà sempre nel mio cuore la più tenera sensibilità, e la più alta ammirazione nella mente. Egli il dichiarò uno de’ custodi della sua salute, onde per Archiatro segreto onorario Pontificio fu indi riconosciuto, ed in tale occasione interpose pure quel gran Pontefice l’autorevole, e generosa sua mediazione perché la Patria il consueto onorario gli perpetuasse, ed insieme glielo duplicasse, come infatti seguì».

[2] Cfr. tomo VII, coll. 21-27 e 37-41. Questo «compendio dei pregi d’un tanto letterato», si dice comunicato «da uno dei migliori suoi Allievi». Circa la paternità dell’articolo, essa fu erroneamente attribuita ad Amaduzzi medesimo («che per qualche tempo fu discepolo del nostro Monsignore», col. 25): cfr. I. Bianchi, Elogio dell’abate G. C. Amaduzzi, cit., p. 59, nota 14. Amaduzzi scrive ad Anna Tommasi Sernini il 3 febbraio 1776: «L’Elogio di Giano Planco, lodato da voi, ha ora un pregio, di cui mancava. Quello, che fu ultimamente inserito nelle Novelle Fiorentine, non è mio, e perciò servirà ad escludere quello, che io avea già mandato, forse non tanto melenso, quanto è quello già stampato» (Manoscritti n. 24, BFSA). Secondo Amaduzzi, l’Elogio di Planco poteva invece essere attribuito a G. A. Battarra (1714-1789, ex allievo e collaboratore di Planco, nonché naturalista) o forse ad «un tal Drudi, medico che studia ora a Firenze» (cfr. Fabi, op. cit., p. 24: da lettera a Bertòla). Lorenzo Drudi «fu un sapiente Medico, profondo filosofo, libero Pensatore, e in ogni genere di letteratura assai erudito, e buon critico, gran Bibliografo», nonché bibliotecario della Gambalunghiana tra 1797 e 1818: cfr. G. Urbani, Raccolta di Scrittori e Prelati Riminesi, SC-MS. 195, BGR, p. 265. (Planco, nel proprio testamento, aveva inserito Drudi nella terna di autori tra cui scegliere l’incaricato per la sua orazione funebre, assieme a don G. P. Giovenardi, che poi, come si è visto, la compose, ed al dottor Cesare Torri di Jesi, altro ex alunno.)

[3] Cfr. Novelle letterarie, n. 30, 27 luglio 1770, coll. 471-474.

[4] Cfr. G. C. Amaduzzi, Manoscritti n. 33, c. 35, BFSA: questo documento è stato già presentato in A. Montanari, I compiti del giovane Amaduzzi alla scuola riminese di Iano Planco, «Notiziario dell’Accademia dei Filopatridi», 1993, nn. 3-4; e «Riminilibri» n. 5, marzo 1994. Nella cit. lettera a Bertòla del 3 gennaio 1776, Amaduzzi parla di «sei anni».

[5] Cfr. fasc. 75, FGMB.

[6] Forse alla crisi dei Lincei, è legata l’accettazione da parte di Planco, nel 1756, della carica di principe dell’Accademia modenese dei Medici Conghietturanti.

[7] Cfr. il prologo alla dissertazione di Gaspare Adeodato Zamponi, De Lumbricis Corporis Humani, fasc. 219, FGMB.

[8] Si tratta della prefazione a due sue epistole mediche.

[9] Il brano appartiene alle pp. 4-5 del fasc. 75, FGMB.

 

Giovanni Cristofano Amaduzzi e la scuola di Iano Planco, di Antonio Montanari

1. La formazione di Giovanni Amaduzzi: fanciullezza

2. Il Seminario di Rimini

3. La scuola di Planco

4. Amaduzzi alla scuola di Planco

5. Amaduzzi e i Lincei

6. L'insegnamento filosofico di Planco

7. Amaduzzi e l'"elogio" di Planco

8. Differenze generazionali

9. Amaduzzi e l'esperienza romana.

 



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