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Vostre le guerre, nostri i morti

La guerra, sbagliata in qualsiasi manifestazione e per qualsiasi credo, mistico o materiale che sia, miete morti innocenti e lascia conseguenze destabilizzanti. Il punto di vista dell’Unione Sindacale di Base.

di Redazione Lavoro - mercoledì 18 novembre 2015 - 3182 letture

Ancora una volta, venerdì a Parigi, qualche giorno prima a Beirut, la settimana scorsa sull’aereo russo in Sinai gente comune, lavoratrici e lavoratori, giovani, famiglie intere pagano con la vita per guerre che non hanno voluto né deciso. Così come la pagano le popolazioni innocenti che subiscono continui bombardamenti.

La bestialità con cui il terrorismo dell’Isis attacca nei Paesi che li combattono è la drammatica risultante della scelta di portare la guerra nei Paesi a noi vicini per l’accaparramento delle risorse o per destabilizzare governi non allineati. L’Unione Europea è anch’essa artefice di questa situazione. Oggi è vittima ma è contemporaneamente carnefice.

I lavoratori non hanno scelto la guerra. Il movimento internazionale dei lavoratori sa perfettamente che le lavoratrici e i lavoratori hanno solo da perdere dalla guerra, comunque questa si manifesti, con i bombardamenti o con gli attentati terroristici.

I lavoratori sanno anche che la guerra “esterna” produce sempre un inasprimento della guerra “interna”, fatta di repressione del conflitto, di saccheggio ulteriore delle risorse interne, di tagli alla spesa pubblica per finanziare un prevedibile esponenziale innalzamento delle spese militari, di demonizzazione dell’opposizione, di militarizzazione del territorio.

Non c’è altro modo per il movimento dei lavoratori di replicare a quanto sta accadendo che proseguire nelle lotte e nelle mobilitazioni, anche contro la guerra e gli interventi militari. Il Governo Italiano, l’Unione Europea, in nome della comune lotta al terrorismo, stanno già rilanciando l’unità al di là delle differenze. Mentre esprimiamo tutta la nostra solidarietà al popolo e ai lavoratori francesi, non possiamo che respingere questa parola d’ordine che ogni volta viene agitata per farci digerire altre drammatiche scelte in tema di politica estera e di politica interna.


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