La Grande Faida dei petrolieri texani
«Io ritengo che la giustizia altro non sia che l’interesse del più forte»
La morte di Saddam Hussein al-Majid al-Takriti è per George W. Bush «un esempio di quella giustizia che negò alle vittime del suo brutale regime».
Morte scaturita da ciò che il giurista Antonio Cassese ha definito «un processo farsa», perché il modo in cui si è svolto –sotto il totale controllo della potenza occupante- rivela «quanto è fallace l’affermazione della Casa Bianca secondo cui l’impiccagione dell’ex dittatore dimostrerebbe che oggi la “rule of law", e cioè lo stato di diritto, è subentrato alla tirannide ("rule of a tyrant"). In realtà le gravi irregolarità del processo, la violazione dei diritti della difesa e l’irrogazione della pena capitale (vietata da tutti i tribunali penali internazionali) provano che ciò non è vero».
Morte che Vittorio Zucconi ha ben situato nel suo contesto e significato come l’ultima di una serie di «pantomime organizzate per dare una parvenza di legittimità giudiziaria alla vendetta finale del vincitore contro il vinto, soprattutto contro l’uomo che aveva “tentato di uccidere il mio papà”. Nella guerra insieme globale e privata che da quasi sedici anni, dalla Tempesta nel Deserto, vede in campo Stati Uniti e Iraq ma senza che mai l’Iraq abbia aggredito gli Stati Uniti, alla fine il clan texano dei Bush ha saldato il conto con il clan sunnita dei Takriti. (…) George W. Bush ha avuto la “pietra miliare” che ha comperato con la vita di 2.992 soldati uccisi, 42 mila feriti e 600 miliardi di dollari, ma anche questa somiglia tristemente soltanto a un’altra pietra tombale».
Ma il commento più consono e attuale è quello che Platone fa pronunciare al sofista Trasimaco: «Ogni governo pone delle leggi in vista del proprio vantaggio: la democrazia porrà leggi democratiche, la tirannia tiranniche, e così via. E una volta istituite, essi dispongono che il proprio utile diventi per i sudditi ciò che è giusto, sicché il trasgressore viene perseguito come nemico della legge e della giustizia. Ecco qui, ottimo amico, quello che in ogni forma di governo io sostengo esser il giusto; in fondo è sempre la stessa cosa: ciò che serve al potere costituito. Questo, infatti, ha dalla sua la forza, e, quindi, chi sa ben ragionare non può non convenire che, in ogni caso, la giustizia si identifica con il vantaggio del più forte» (Repubblica, 338 E – 339 A).
Quanto sta accadendo in Irak e nel Vicino Oriente è l’ennesima conseguenza della guerra totale, inventata dalla potenza marittima e calvinista inglese, imposta al mondo prima dall’Impero britannico e poi da quello statunitense, sempre comunque alleati. Come le analisi di Carl Schmitt hanno argomentato, la potenza dell’elemento marino –il Leviatano- ha contribuito allo sviluppo dell’aviazione e del fuoco che distrugge dall’alto. I due nuovi elementi –l’aria e il fuoco- delineano un’ulteriore trasformazione tesa alla sconfitta e al controllo dell’antico elemento terrestre. Nella prima metà del Novecento è nato così, attraverso scontri e distruzioni immani, un nuovo Nomos della Terra, quello che dal 1945 al tempo presente ha controllato il pianeta, sottomettendo l’Europa continentale, lanciando un fuoco immane e distruttore sul Giappone, imponendo ovunque la globalizzazione dei suoi modelli di vita e della sua economia. L’intera umanità è carne da macello asservita agli interessi finanziari e petroliferi degli USA e del suo cane da guardia israeliano nel Vicino Oriente. Nulla a che vedere con democrazia, pace, libertà, parole buone per le masse e per i loro imbonitori, alleati dell’Impero.
Il finto processo contro il dittatore iracheno è la clamorosa conferma del fatto che anche “i diritti dell’uomo” rappresentano una delle forme mediante le quali nei conflitti contemporanei il nemico viene criminalizzato e privato della sua dignità di uomo. Chi non rispetta i diritti umani, o viene accusato di non rispettarli, diventa per ciò stesso un mostro, contro il quale nessun’arma è illegittima. Il nemico, in realtà, andrebbe ucciso sul campo –questo impone l’onore- e non strangolato in catene quando non può più difendersi. Da Norimberga a Baghdad corre il filo rosso dell’infamia anglosassone, della sua profonda viltà, tipica di gente per la quale il danaro –solo il danaro- è tutto.
L’uccisione di Saddam Hussein è un omicidio politico perpetrato in nome della democrazia, una pena di morte comminata in nome dei diritti umani –clamoroso ma significativo ossimoro!- e soprattutto è un avvertimento a tutti i tiranni del mondo non perché rinuncino alla loro tirannide ma perché la impongano sempre con il controllo, l’alleanza, il beneplacito degli Stati Uniti d’America, come ben sapeva Saddam Hussein fino a quando i suoi massacri furono compiuti col sostegno attivo e amichevole dei Bush e dei loro amici. E come sanno ancora i suoi colleghi, feroci quanto lui ma di lui più fortunati, che hanno dominato o dominano tuttora i loro popoli col sostegno della potenza statunitense: da Pinochet e Videla in America Latina ai dittatori dell’Arabia Saudita e del Pakistan in Asia e agli spietati tirannelli africani ai quali gli USA continuano a fornire armi, sostegno, giustificazione. Ma per i petrolieri texani padroni del mondo «giustizia è fatta». Ancora una volta Trasimaco ha ragione.
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Come al solito, Biuso centra il bersaglio polemico con dovizia di argomenti e pertinenza di riferimenti storici. Solo un 1% di perplessità: mi piacerebbe che, en passant, si ricordasse che gli Stati Uniti non sono solo Bush (come gli italiani non siamo solo Prodi né tanto meno eravamo solo Berlusconi) e che gli Stati Uniti non sono stati (e non sono) solo prevaricazione planetaria (certe strategie belliche ed economiche sono state anche, ma non esclusivamente, dettate da biechi interessi nazionali). Siamo noi cittadini del mondo che dobbiamo utilizzare sempre più intensamente i meccanismi (imperfetti, ma non sostituibili) della democrazia. Augusto Cavadi (Palermo).
Caro Augusto, ti ringrazio della condivisione “al 99%” :-)
So bene che anche negli USA ci sono persone per bene. Come Jimmy Walter, il quale ha finanziato e prodotto un’inchiesta sui fatti dell’11/9/2001 che dimostra con numerosi argomenti e prove che le Torri di New York vennero demolite tramite delle esplosioni dall’interno, che dei presunti attentatori morti quel giorno ben 9 sono vivi e vegeti, che il volo 93 diretto verso la Casa Bianca non è mai caduto da nessuna parte e che il Pentagono venne colpito da un missile (probabilmente Cruise) e non da un aereo.
E perché tutto questo? Per ragioni finanziarie (una quantità inimmaginabile di danaro nei circuiti mondiali è legata a quell’evento), assicurative (sui due edifici) e politiche, visto che in nome di quei presunti attentati islamisti gli Stati Uniti hanno scatenato l’Inferno in Afghanistan e in Irak e hanno ormai mano libera ovunque nel mondo.
Il film dura 1 ora e 22 minuti e si può scaricare –lo consiglio vivamente- da arcoiris.tv:
http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Unique&id=4661.
Le parole conclusive del documento sono le seguenti: «L’America è stata dirottata. Non da Al Qaeda. Non da Osama bin Laden. Ma da un gruppo di tiranni, pronti e disposti a qualunque cosa pur di mantenere il loro controllo paralizzante su questo Paese».
La tirannide che oggi governa gli USA e il mondo –e il cui uomo fantoccio si chiama George W. Bush- è menzognera e sanguinaria come neppure un Trasimaco avrebbe mai potuto immaginare…
Ciao e buon anno, Alberto
Ciao Alberto, ho letto il tuo articolo ma immaginavo che anche in questo caso saremmo stati d’accordo. Essere dispiaciuto per la morte di un tiranno! è quello che Bush mi costringe ad essere. Purtroppo qui le cose vanno veramente male e temo che sarà sempre peggio. Non vedo speranze, anche perchè chi si oppone a questo modo di fare, lo fa in modo per nulla incisivo, è spesso un opposizione di facciata, un atto dovutom, ma non sentito. Io in questo sono molto estremista e ne sono contento. Se una persona per me è un pericolo, io la COMBATTO (democraticamente, sia chiaro) e quindi non scendo facilmente a patti con esso. Invece tutti gli stati si lamentano, ma presto, oggi, domani, sarà tutto come sempre e della morte di un dittatore da parte di texano petroliere sempre più pericoloso per il mondo intero, non se ne parlerà più e vedremo Prodi o chi per lui andare in america, ridere di gusto, strigere mani, e fare accordi con il DEMOCRATICO Presidene AMMMMMMMERICANO. Nonostante tutto, Buon Anno anche a te.
Maurizio Rallo
ci sono tanti modi per ’assoggettare’. c’ è la pentrazione brutale dei comunisti e quella vasellinata dei capitalisti, che volendo ti piace pure. per questo è la peggiore, perchè non ti accorgi di quanto ti si insinua dentro e nel profondo. il piano Marshall puoi consideralo un preliminare all’ amplesso. l’ Europa supina, e dietro la grande e forte America che la unge dandole sollievo. noi siamo figli di quel connubio, siamo cresciuti con le mode e i film americani, i polizieschi, i panini di macdonald, i jeans, le lampade al neon, un discreto benessere... tutte cose che ci permette papàmerica. a condizione che stiamo dalla parte di papà però, e facciamo i suoi interessi. sennò ci tira il collo.
(buon anno figlioli)
Molto…fisica ed efficace la sua immagine! Grazie Gaia.
L’Europa, comunque, è rinata soprattutto per merito degli europei, grazie agli uomini e alle donne del nostro continente, alla loro tenacia e intelligenza.
Una regola fondamentale della storia e della vita è individuare con esattezza chi è, di volta in volta, il proprio “nemico”. Questo hanno insegnato i grandi filosofi della politica, da Machiavelli a Schmitt. Oggi il principale nemico dell’Europa sono gli Stati Uniti: per l’Euro vs Dollaro, per gli interessi nel Mediterraneo, per i ritmi di crescita economica (superiori nell’UE rispetto agli USA), per il ruolo di interlocutore con la potenza cinese…Anche a causa di tutto questo il concetto geopolitico di “Occidente” è uno strumento ideologico di sottomissione all’unica superpotenza rimasta. L’Occidente non esiste. Esistono gli USA e l’Europa, con molti elementi affini ma con ancor più elementi di differenziazione e di contrasto.
I padroni degli Stati Uniti lo sanno bene e infatti sono –legittimamente- antieuropei (ma accusano di essere noi antiamericani…grottesco!). Fin quando i governi e soprattutto i popoli dell’Europa non capiranno da chi devono soprattutto guardarsi, l’effetto sarà quello descritto dalle sue parole. :-(
Insonnia. L’unica colpa che davvero mi sento di rinfacciare agli Stati Uniti. Mal sopportabile, e forse anche mal contagiosa. Gli Usa sono fatti così: un po’ li ammiri, un po’ li detesti, un po’ sbadigli. Fose tutti noi li abbiamo voluti, proprio così come sono. Forse li vogliamo tuttora. Perché, nonostante tutto, sono gli unici Stati Uniti che abbiamo. Perché hanno sempre creduto e sperato nei segreti, e così si sono fatti grandi. Ma ora non vogliono accettare che i loro segreti siano molto mento segreti di quanto confidavano... Dunque, sorridono dolcemente ai nostri slavati cenni di disappunto, e ci rispondono, come il Dio di Giobbe: "Dov’eri tu, quando io comandavo alla cerva di partorire?"
Io non conosco bene l’umanità, sono troppo giovane; perciò non so immaginare le ragioni di tanto odio. Ma ho imparato che possiamo impedire agli uomini di mostrarsi per ciò che sono, non farli divenire altro. Essi sono animali che sperano: sperano sempre di riprendersi con l’odio ciò che hanno perduto con le armi. A proposito di Saddam, più si è visto morire, più morire diventa facile: per questo dico che la morte può essere un supplizio, ma non sarà mai un’espiazione. Qualunque processo può esser concluso in fretta: ovunque si trovano un albero e una corda. A proposito dei nostri attuali nemici, Alberto, tu conosci la parola "necessario": con questa parola si fanno molte cose. Io ti seguo sempre. L’elmetto è indossato.
Giulia
«…possiamo impedire agli uomini di mostrarsi per ciò che sono, non farli divenire altro. Essi sono animali che sperano» Bellissima riflessione, Giulia!
Quanto ai nostri nemici, e in generale ai veri terroristi che dobbiamo temere, alcune risposte si trovano in un recente e profondo libro di James Hillman, Un terribile amore per la guerra (Adelphi). A pag. 75 si ricorda che «i mercenari marocchini furono ufficialmente autorizzati a violentare le donne italiane nel 1943» (se ne trova traccia anche nel film di De Sica La ciociara); a pag. 78, a proposito dei tiranni africani sostenuti dagli USA, Hillman scrive che «l’iniziale alternativa al dominio devastante di Mobutu era stato Patrice Lumumba, un idealista, il cui assassinio fu autorizzato dal direttore della CIA Allen Dulles, e il cui cadavere fu trasportato nel bagagliaio di una macchina della CIA per essere scaraventato in una fossa anonima».
Saddam Hussein è stato ucciso e il suo Paese devastato, mentre Joseph Désiré Mobutu –dittatore del Congo e carnefice di popoli al pari del suo collega iracheno- fu accolto alla Casa Bianca da Bush padre con le parole «ho avuto l’onore di invitare il presidente Mobutu»…
E, per tornare all’Italia, la presenza statunitense è stata costante nel rimettere in piedi la mafia in Sicilia già a partire dal 1943, in ogni trama terroristica e fino alla vergogna del Cermis, nella quale il 3 febbraio 1998 dei cittadini italiani (e non solo) morirono in modo orrendo per il desiderio di un paio di ragazzotti statunitensi di giocare coi loro aerei. Ragazzotti che gli USA hanno sempre negato alla giustizia italiana. Perché la giustizia –appunto- è quella del più forte. Ma almeno non chiamiamoli amici e benefattori…
[L’articolo dal quale è partita questa discussione è stato tradotto in francese da Denis Collin e pubblicato sulla Rivista La sociale: http://www.la-sociale.net/article.php3?id_article=242 ]
Concordo sul suo riferimento a Machiavelli e Schmitt e sul bisogno di individuare un nemico da combattere. Ma continuo a dissentire sull’idea che gli Stati Uniti rappresentino un nemico. Purtroppo nessuno in Europa ha compreso ancora pienamente la portata della sfida imposta dal terrorismo di matrice fondamentalista. I terroristi che inneggiano ad Allah, hanno in realtà disegni e progetti molto secolari: vogliono cioè armi e denaro per esercitare una nuova egemonia di carattere imperiale che sappia sostituirsi a quella americana. E’ un processo ancora estremamente fluido, che attende soltanto di trovare uno Stato forte e potente che raccolga il testimone della sfida contro gli Stati Uniti aperta dal terrorismo. Purtroppo, la mancanza di un nemico con un volto ben definito (come era invece la Germania nazista o l’Unione Sovietica al tempo della Guerra Fredda) ha determinato negli ultimi anni da parte degli Usa risposte militari e diplomatiche quasi sempre errate (l’Iraq di Saddam Hussein non era un asilo nido di terroristi) e politicamente disastrose. Ma resta il nodo indiscutibile di una sfida posta all’Occidente da un nemico ancora senza volto. La Storia dirà quale sarà il paese capace di raccogliere l’eredità spirituale di Osama Bin Laden e di Al Qaeda. Ma quella che si sta combattendo è l’ennesima sfida per l’egemonia del sistema internazionale: una sfida purtroppo (dico purtroppo perché il millennio dell’amore fraterno tra popoli e stati è lontano da venire) che caratterizza perennemente i processi storici.
P.S. Solo un annotazione. Cara Gaia, amo i film americani (che tra l’altro sanno mostrare il lato oscuro degli Usa meglio di quanto non accada nel cinema delle nostre parti), porto i jeans da sempre, e mangio volentieri al McDonald. Non credo per questo di essere uno schiavo. Né tanto meno di avere il cervello lobotomizzato.
P.S. Solo un annotazione. Cara Gaia, amo i film americani (che tra l’altro sanno mostrare il lato oscuro degli Usa meglio di quanto non accada nel cinema delle nostre parti), porto i jeans da sempre, e mangio volentieri al McDonald. Non credo per questo di essere uno schiavo. Né tanto meno di avere il cervello lobotomizzato.
Ma ci mancherebbe, non è che ci rincretiniscano totalmente (tranne i casi già predisposti per conto loro che bisogna ammettere sono molti),il benessere piace a tutti. però tutto questo ha un prezzo e se non siamo disposti a pagarlo finiamo nel libro dei sovversivi. fortuna che almeno non abbiamo giacimenti di diamanti o di petrolio, altrimenti quando berlusconi era al potere, con tutte le violazioni, gli insabbiamenti, le leggi ad hoc e i conflitti di interesse saremmo rientrati perfettamente nel quadro di paesi antidemocratici a cui si rendeva necessario portare la democrazia e i diritti umani a suon di bombe.
Un bel cahier de doleances e di orrori del “secolo breve”, inutile negarlo, professore. Non basta certo, tuttavia per considerare gli Stati Uniti un paese terrorista. Anche perché gli avvenimenti storici, lei dovrebbe saperlo, andrebbero anche contestualizzati. I delitti e le trame che ha accuratamente elencato (escluso l’ “affaire Cermis” che è invece un tragico incidente) sono infatti figli o della guerra mondiale o della Guerra Fredda e dell’ “equilibrio del terrore” che hanno retto il sistema internazionale per oltre cinquant’anni. Per cinquant’anni gli Usa hanno dovuto fare i conti con la presenza pericolosa dell’Unione Sovietica, imponendo, a volte, necessariamente, anche con la violenza, regimi che sapessero contrastare l’infiltrazione del comunismo. Metto subito le mani avanti per evitare di essere frainteso. Quando parlo di comunismo non mi riferisco a quell’inesistente mostriciattolo che usa Berlusconi come spauracchio per difendere i propri interessi personali. Piuttosto mi riferisco al comunismo reale e storico. Cito solo qualche statistica, attinta dal bellissimo volume “Stati assassini” di Rudolph Rummel (Angeli). Dal 1917 al 1987 in Unione Sovietica i cittadini uccisi dal proprio governo furono 54 milioni. Nella Cina di Mao dal 1949 al 1987 i morti furono 35 milioni. Nel Vietnam contro il quale gli americani hanno combattuto la “sporca guerra” (ma tutte le guerre sono sporche, non solo quella) dopo la fine delle ostilità le vittime (relegate in Gulag analoghi a quelli descritti da Solgenitsyn) superarono di un milione il numero totale degli uccisi durante la guerra. È forse per evitare queste tragiche avventure politiche che gli Usa hanno di frequente cercato di imporre governi a loro alleati. E’ una normale legge di sopravvivenza storica. Legge che, purtroppo non senza errori, sono ritornati ad applicare, anche adesso che incombe la minaccia fondamentalista. Basterebbe legger che uno Stato teocratico e fondamentalista come l’Iran progetta l’arma atomica, che in molti paesi arabi si nega nelle scuole l’esistenza dei campi di concentramento nazisti, che in Medio Oriente vanno a ruba vecchi libelli della Germania hitleriana che accreditano l’autenticità dei Protocolli dei Savi di Sion (per caso ci crede anche lei?), ecco, basterebbe solo questo per sorridere davanti a quanti vedono un nemico nella Coca Cola o nei McDonald’s.
Credo che Saddam Hussein sia stato giustiziato in tutta fretta per l’autentica paura che incominciasse a parlare riguardo ai suoi rapporti con gli USA quando i due erano alleati, sarebbero state sicuramente rivelazioni imbarazzanti e intollerabili per il governo statunitense.
Saddam era intelligente, furbo, chissà cosa è accaduto in tutti i mesi della detenzione prima del processo, chissà quali sono state le tecniche psicologiche di liminale e subliminale convincimento per fargli pensare che forse si sarebbe salvato tenendo la bocca chiusa.
Invece avrebbe dovuto parlare, anche con il rischio di non essere creduto, oddio non esistono dittatori che non siano dei grandissimi bugiardi, però l’unica opportunità che aveva, secondo me era proprio quella della memoria, raccontare il peggio, giocarsi il tutto per tutto.
La necessità di metterlo a tacere ha fatto correre ai suoi carcerieri il rischio di farne un martire o per lo meno di essere strumentalizzato in tal senso per una guerra infinita.
Noi comunque con Mussolini non abbiamo fatto di meglio, anzi abbiamo anche saltato ogni ombra di processo a pie’ pari, anche lì si dice che siano stati gli inglesi a ucciderlo perché non fossero rivelati i carteggi con Churchill...ecco forse la necessità di ammazzare insieme al duce una innocua Petacci forse semplice testimone di quel che accadde.
Cara Ornella, cerchiamo di non fare della fantastoria. Nei giorni precedenti il 25 aprile Mussolini ricevette dal cardinale di Milano Schuster la disponibilità ad ottenere asilo e protezione, in attesa di essere consegnato agli anglo-americani. Mussolini rifiutò la richiesta, preferendo l’idea di morire in battaglia. Com’è noto, la battaglia non ci fu perché tutto il settentrione era già in mano ai partigiani. E infatti puntualmente i partigiani catturarono il duce sulla via della Svizzera. Il carteggio con Mussolini-Churchill, durante la guerra, esisteva solo nella fantasia di uno storico in declino come Renzo De Felice, preoccupato sul finire della sua vita soltanto di "sdoganare" Mussolini per bieche ragioni di bottega, tutte legate all’evoluzione pseudo-democratica del Msi.
Quanto ai rapporti tra gli Stati Uniti e Saddam Hussein sarebbe ora di chiarire una volta per tutte, che maturarono in un contesto storico preciso. E cioè tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta. Nel 1979 era andato al potere in Iran l’ayatollah Khomeini con l’appoggio dell’Unione Sovietica, che parallelamente aveva invaso anche l’Afghanistan. L’Iraq di Saddam Hussein poteva essere (e di fatto è stato, per dieci anni) un solido scudo contro l’avanzata del comunismo sovietico in Medio-Oriente. Nessuna trama e nessun segreto. Solo una questione di Realpolitik e di "equilibrio di potenza", un concetto, quest’ultimo, che esiste nella scienza della politica dall’epoca rinascimentale e del quale si trova traccia per la prima volta addirittura nella "Storia di’Italia" di Francesco Guicciardini (i termini sono "bilancia" e "peso" del potere).
A sintetizzare così la storia dell’umanità si scriverebbe in una cinquantina di pagine...non puoi non considerare tutte le zone d’ombra, in qualche caso veri e propri buchi neri.
Sulla morte di Mussolini esistono tante versioni oltre a quella ufficiale e in ogni caso perché i partigiani avrebbero dovuto uccidere anche la Petacci.
Un dittatore che fugge con l’amante...nella tragicità della situazione c’è una vena di patetico ridicolo, due disgraziati...e in ogni caso tutta la luce non è stata fatta sulle modalità dell’uccisione, e i soldi? il tesoro di Dongo, i diari del duce... fantasticherie popolari o realtà?
Una cosa è certa, la risposta che tu citi è in linea con la retorica mussoliniana, ma figurati se Mussolini voleva cadere sul campo di battaglia, chissà quello che aveva in mente, forse accettando quell’invito avrebbe potuto perdere il controllo su qualcosa che a lui premeva tanto...è fantasia? Sì, può darsi, ma un po’ di fantasia è utile anche per interpretare la Storia, conosci qualcuno più fantasioso degli uomini?
Per quello che riguarda i segreti di Saddam solo il fatto magari che potesse far trapelare una vendita di armi chimiche da parte degli USA all’Iraq, precedente di molti anni, solo questo sarebbe stato forse decisamente "imbarazzante" per Bush, considerando le motivazioni addotte per la guerra in Iraq.
Guarda che purtroppo non è assolutamente retorica mussoliniana la mia: il cardinale Shuster aveva proposto asilo al duce proprio per consegnarlo agli americani. Lo testimonia un incontro in arcivescovado il 23 aprile. Molti gerarchi (tra i quali il generale Rodolfo Graziani, capo di stato maggiore dell’esercito repubblichino) ottennero la protezione del vescovo, furono consegnati agli alleati, ed ebbero salva la vita (naturalmente con una pena da scontare in carcere: nel caso di Graziani furono dieci anni). La morte della Petacci non si può spiegare se non pensando al clima di rabbia e assoluta disperazione nel quale l’Italia era sprofondata in quei giorni. Anche considerando gli enormi privilegi che la famiglia della suddetta Claretta aveva goduto nei giorni più difficili della guerra. Una dimostrazione, raccapriciante doverla ricordare, è anche la sadica crudeltà con la quale la folla milanese infierì sul corpo della Petacci, in piazzale Loreto. Altro che segreti! Solo la sete di sangue del popolo ridotto alla miseria!
Il tesoro di Dongo e i diari di Mussolini, invece, sono soltanto una leggenda metropolitana alimentata dai reduci di Salò: qualunque storico serio non dovrebbe nemmeno prendere in considerazione le testimonianze di gente come Almirante o Giorgio Pisanò. Sarebbe come cercare segreti sugli anni di Berlusconi leggendo i libri di Emilio Fede!
Quanto alla vendita di armi di distruzione di massa da parte degli americani all’Iraq, non ci sono prove, ma può benissimo esserci stata. E non mi meraviglia alla luce del contesto che ho spiegato nel precedente post. Le relazioni internazionali sono governate da queste leggi: l’amico di oggi è il nemico di domani. Nel 1941 Winston Chruchill, il cui anti-comunismo credo sia arcinoto, pronunciò una frase famosa: "Se Hitler muove guerra contro il Diavolo (l’Urss comunista, cioè), io mi alleo con diavolo". E’ la cruda realtà effettuale della Storia.
Non metto in dubbio la veridicità delle parole di Mussolini, metto in dubbio le sue reali intenzioni...nello stile della risposta c’è, appunto, tutta la retorica mussoliniana, ma, ripeto, figuriamoci se il duce voleva morire sul campo di battaglia.
A mio avviso, i motivi che lo spinsero a rifiutare l’offerta del cardinale dovevano essere altri che non quello di voler fare una "gloriosa" morte.
E comunque non si possono trovare le giustificazioni che si vuole perché la Petacci non fu uccisa dalla folla imbestialita ma, secondo la versione ufficiale, dal gotha della resistenza partigiana, quelli che si presuppone agissero nel pieno delle loro facoltà mentali.
Il Gotha della Resistenza non prendeva certo ordini dagli anglo-americani (che, ribadisco, trattavano per via diplomatica tramite il cardinale Schuster), ma agiva sulla base di un sentimento comune, che dopo è esploso nella maniera che tutti conosciamo a piazzale Loreto. Intendevo dire questo.
Penso sia anche giusto sottolineare che non si puo’ stralciare la Storia sulla base di considerazioni generali, valide o meno, ma che usate a mo’ di giustificazione degli eventi rischiano di diventare dei semplici luoghi comuni.
Il " si sa che.." in realtà non giustifica nulla perché ogni situazione, ogni fatto devono essere scandagliati nella loro specificità, altrimenti il ragionare per assiomi rischia di far assolvere chiunque dalle proprie responsabilità.
E’ come se di fronte ad una strage familiare si dicesse << d’altra parte la maggiore violenza è all’interno della famiglia >>, un’affermazione che nella sua genericità dice tutto e nulla.
Il "si sa che.." dunque è sempre pericoloso perché può non evidenziare le reali responsabilità storiche che esulano e travalicano, nella loro concretezza, tutte le migliori considerazioni generali, ragion per cui il pensiero del Guicciardini non potrà mai giustificare gli errori degli uni e degli altri.
A proposito di mondo che cambia.. volevo aggiungere che durante la seconda guerra, il fascismo in America era visto veramente male: Il celebre Gary Cooper era uno degli agenti segreti politici che sorvegliava la democrazia americana contro il fascismo dilagante(quindi era veramente un uomo d’azione e nel senso buono).
Non maligniamo troppo! il mondo cambia, e poi vengono altri uomini a cui non bisogna rimproverare mai nulla dei precedenti.
L’America ha preso molto, ma ci ha dato anche molto. Molti uomini americani hanno uno spirito indomito..
E quanti italiani sono diventati americani?
Beh, vorresti non amare quelle quattro canaglie che ogni tanto vengono in estate e che sono nipoti nati in America, e che non parlano nemmeno una parola in Italiano?
E quante cose mi hanno mandato dagli USA!
Ecco gli USA sono così! e anche noi siamo pure capaci di rompere.
Dalla Stampa del 2 gennaio scorso, leggo questo articolo di Gianni Vattimo, che mi sembra molto interessante.
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L’esecuzione della condanna a morte contro Saddam Hussein è stata certamente una violazione dei diritti umani - non la prima né l’ultima perpetrata dalla coalizione dei «volonterosi» che occupano l’Iraq dopo una guerra di conquista iniziata sulla base di informazioni menzognere e per motivi che hanno assai poco da fare con la difesa della democrazia. Quasi nessuno dubita che Saddam meritasse la condanna; e anche la condanna a morte, per i delitti commessi quando governava il suo Paese con la forza di un regime militare spietato - e per altro ben accetto ai suoi carnefici di oggi, che forse anche per evitare di affrontare le proprie responsabilità hanno preferito farlo tacere per sempre.
Ma tra le tante voci che si sono levate a deplorare l’esecuzione del tiranno - quali in nome della sacrosanta opposizione alla pena di morte; quali in nome delle palesi irregolarità procedurali che hanno segnato il processo; quali in nome di una considerazione di opportunità e di realismo politico (abbiamo regalato un martire al terrorismo islamico) - pochi hanno richiamato l’attenzione su quello che è invece secondo noi, il tratto più scandaloso di tutta la vicenda, cioè il fatto che la condanna di Saddam è un tipico esempio di «Giustizia dei vincitori», ossia di pura e semplice sopraffazione del vinto da parte di coloro che lo hanno sconfitto con le armi e che vogliono dare alla propria vittoria l’apparenza di un trionfo del bene sul male. Quelli che hanno salutato come una «pietra miliare» l’esecuzione dell’altro ieri non mancano di buone ragioni. Saddam era stato un tiranno sanguinario, meritava la massima pena: anche se ci sono state tante irregolarità formali nel processo, l’esito è comunque «giusto» - corrisponde cioè a quel senso di equità per cui tutti desideriamo che la violenza arbitraria contro persone inermi e innocenti non rimanga senza una punizione adeguata.
Ma proprio la stessa esigenza di equità che motiva coloro che, almeno in buona fede, non si rattristano troppo della fine di Saddam, dovrebbe spingere a riflettere più a fondo sulle ragioni della «giustizia dei vincitori». Se non si fa attenzione a questo aspetto, alla fine è solo perché non si vuole revocare in dubbio quello che possiamo chiamare lo «spirito di Norimberga». Chi solleva il dubbio sulla legittimità di quelle condanne - pronunciate da un tribunale «alleato» in base a leggi che non erano quelle vigenti in Germania all’epoca dei fatti - viene considerato più o meno un nostalgico fascista con pericolose tendenze al negazionismo. Eppure proprio la sinistra dovrebbe essere sensibile a questi problemi. Non solo la tragica fine di Saddam, ma anzitutto lo stesso diritto alla «guerra preventiva» in difesa delle libertà della democrazia che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno proclamato e praticato negli ultimi anni sono frutto dello spirito di Norimberga: per il quale «noi» siamo i buoni difensori del diritto di tutti - anche degli iracheni, eventualmente anche dei palestinesi moderati che non accettano il governo di Hamas, pure eletto democraticamente - e abbiamo il diritto anzi il dovere di intervenire con ingerenza umanitaria, laddove dove questi diritti ci appaiono violati.
Come è possibile perseguire - a livello privato e a livello internazionale - la giustizia senza pensare che «Dio è con noi»? Forse il tanto vituperato sistema di Westfalia - quello che escludeva ogni diritto di ingerenza negli affari interni di un altro Paese - non era poi così imperfetto. Oggi noi siamo carnefici e vittime insieme in un sistema che afferma l’universalità dei diritti quasi solo per giustificare un rinnovato imperialismo. Vediamo tutti in che stato è ridotta l’Onu. Finché non si riuscirà a costruire un sistema di giustizia internazionale esplicitamente stipulato e regolato, saremo sempre esposti alle pretese di chi, soprattutto quando vince, crede di poter parlare in nome di Dio.
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Sul tema della giustizia dei vincitori e della guerra santa, torno a consigliare lo splendido e recente libro di James Hillman Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2005, nel quale lo studioso statunitense scrive che
"la violenza mondiale dipende in gran parte dalla nostra, perché gli Stati Uniti sono gli armaioli del mondo" (pag. 159);
"Per quella superpotenza (non sappiamo se destinata a durare e per quanto) che gli Stati Uniti sono diventati, è facile scimmiottare l’imperialismo di Luigi XIV e di Federico di Prussia e di tutti gli altri Grandi di quel periodo; ma è evidente che ad essa manca del tutto la straordinaria potenza della cultura estetica che quei sovrani promossero, al punto che, sotto questo profilo, gli Stati Uniti sembrano oggi dei minorati, se non dei poveri ritardati" (pagg. 208-209);
"E’ come se la nazione nel suo insieme fosse immune alla cultura, vaccinata come contro uno scherzo di natura, una malattia della decadenza, una corruzione dei valori profondi del popolo americano: la fede religiosa nel binomio Dio e America, in marcia sotto la bandiera, con il Minuteman armato di moschetto, verso un futuro luminoso, contro tutti i nemici, contro tutti: tutti nemici" (pag. 215).
Interessante l’articolo di Vattimo anche se lascia aperta l’unica vera questione determinante: e cioè il dominio del mondo in una società interdipendente. Perché è proprio questo il problema: l’entropia mondiale che può scaturire da una crisi di leadership. Purtroppo l’unilateralismo statunitense (che peraltro è iniziato nel 2003 con la seconda guerra in Iraq (e chi parla di guerra privata tra Bush e Saddam farebbe bene a ripassarsi la storia della guerra del 1991) è solo uno strumento sbagliato per risolvere invece un problema reale, il crescente disordine del sistema internazionale.
Imbarazzanti, invece, se non addirittura ridicole le chiose di Hillman: altro che luoghi comuni, qui siamo di fronte a una splendida esemplificazione della "boria dei dotti". Gli Stati Uniti paese di ritardati e di minorati senza cultura? Manca solo demo-plutocrazia giudaico-massonica e l’armamentario di insulti è completo. Incredibile. Gli Stati Uniti di Hemingway, Steinbeck, Faulkner, Melville, Allen Ginsberg. La culla della pop art e della beat generation, il paese che meglio di qualunque altro ha saputo, negli ultimi decenni, tematizzare disagi e contraddizioni della post-modernità. Meritano forse di essere ricordate le splendide parole che Pier Paolo Pasolini concesse a Oriana Fallaci, in un’intervista rilasciata nel 1966 dopo un viaggio a New York: "Tutta la mia gioventù - diceva il poeta - è stata affascinata dai film americani, cioè da un’America violenta, brutale. Ma non è questa America che ho ritrovato: è un’America gioviale, disperata, idealista. V’è in loro, un gran pragmatismo e allo stesso tempo un tale idealismo. Non sono mai cinici, scettici, come lo siamo noi. Non sono mai qualunquisti, realisti: vivono sempre nel sogno e devono idealizzare ogni cosa. Anche i ricchi, anche quelli che hanno nelle mani il potere. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa concepire. Ammiro il momento rivoluzionario americano, ovvio che il mio cuore è per il povero negro o il povero calabrese, e contemporaneamente provo rispetto per l’establishment, il sistema americano" (Intervista a Oriana Fallaci, "L’Europeo", 13 ottobre 1966).
Ricevo questo articolo e volentieri lo inoltro. Il titolo è dell’Autore.
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Il condannato non andava giustiziato anche se se lo meritava ampiamente. Questo giudizio è il filo rosso che unisce le varie prese di posizione contro l’esecuzione-linciaggio di Saddam Hussein. Le proteste sono state, essenzialmente, di tre tipi. C’è chi si è dichiarato per principio contro la pena capitale, chi ha detto che la condanna era stata pronunciata da un tribunale senza garanzie per i diritti dell’imputato e chi, schierato dalla parte degli invasori statunitensi, ha ammonito che la morte di Saddam ne farà un martire e ingrosserà ancora di più la resistenza. Nessuno di costoro ha messo in dubbio che il presidente iracheno avesse compiuto crimini tali da giustificarne l’uccisione se solo fosse avvenuta con modalità diverse, magari in un conflitto a fuoco durante la cattura.
Ma è sui presunti crimini di un capo di Stato che vanno valutate la sua detenzione e la sua messa a morte da parte di una potenza vincitrice, per il tramite di un tribunale da essa stessa istituito e condizionato? Chi la pensa così dovrebbe, conseguentemente, chiedere la creazione di una magistratura inquirente e di un tribunale penale internazionale per investigare, ed eventualmente incolpare, tutti i capi di governo del mondo. Se anche ciò fosse possibile, quale sarebbe l’autorità sovranazionale capace di dare vita a queste nuove istituzioni? Non essendo l’Onu, per via dei limiti del suo statuto, altre non se ne vedono all’orizzonte. La selettività del giudizio e della pena (Saddam sì, tutti gli altri no) è contraria a ogni principio giuridico e toglie ogni legittimità all’uccisione del leader iracheno in qualsiasi forma essa sarebbe potuta avvenire. La condanna dell’esecuzione di Saddam si dovrebbe basare, prima di tutto, sulla riprovazione verso una sentenza emessa, di fatto, da una potenza che ha invaso, contro le regole del diritto internazionale, una nazione sovrana, pretendendo poi di giudicarne il legittimo capo di Stato.
Oltre che censurabile sul piano morale e del diritto, l’impiccagione di Saddam è, dunque, un crimine politico. Sostenendo ciò, siamo forse costretti a difenderne l’intera opera politica come, maliziosamente, insinuano i fautori dell’invasione? Certamente no, anche se in sede di giudizio politico e storico, ci disgusta l’abituale caricatura del tiranno pazzo e criminale. Riteniamo che il regime del Baath, pur tra mille ambiguità, avesse garantito all’Iraq il sistema di garanzie sociali forse più avanzato fra quelli arabi (l’ambito in cui correttamente si dovrebbero effettuare le comparazioni) e avesse favorito una salutare modernizzazione del sistema economico e di quello giuridico assai superiore a quelle dei Paesi filoccidentali. Non diversamente dalla Siria, la spinta propulsiva del socialismo nazionale baathista si era, però, molto attenuata, con fenomeni degenerativi di corruzione e di illegalità da parte delle corporazioni statali e di partito. Resta poi, oltre alla sciagurata e tragica scelta di Saddam di aggredire l’Iran, la grave questione della repressione politica interna, della quale non si conosce, però, l’esatta dimensione. Nessuno, con un minimo di onesta intellettuale, potrebbe dire che il numero delle vittime del regime si possa neanche lontanamente avvicinare a quelle provocate, direttamente e indirettamente, dall’invasione Usa che, ad oggi, oscillerebbero tra le seicento e le settecentomila, a causa delle quali Bush non finirà certo i suoi giorni con un cappio intorno al collo.
Gli avversari del nuovo imperialismo Usa devono rivendicare la sovranità dell’Iraq a prescindere da Saddam e dal suo regime, poiché sanno che difendere l’indipendenza degli Stati dalle mire di Washington, o di chiunque altro, significa, nel mondo imperfetto nel quale ci è dato vivere, scegliere quantomeno il male minore. I missionari della democrazia, all’opposto, credono o fingono di credere che, con golpe, invasioni e guerre, si possa creare il regno della giustizia sulla terra. Noi, invece, abbiamo imparato che, su questa stessa terra, non esistono potenze che scatenano la guerra per qualcosa di diverso dai propri interessi, cioè per accrescere la propria forza e controllare le risorse dei Paesi aggrediti, poco curandosi di seminare morte e distruzione.
Quanti, da qualsiasi cultura politica provengano, hanno compreso che le vecchie categorie politiche, come la destra e la sinistra, servono a nulla per comprendere i conflitti e i drammi dei nostri anni, devono però porre attenzione a non infatuarsi acriticamente delle cause che difendono. I problemi del mondo arabo, per esempio, non dipendono solo dagli Usa o dal più generale Occidente. Se, oggi, una parte degli iracheni decide di massacrarsi in una guerra civile, è anche colpa degli invasori ma non solo. Significa che quella società, come altre arabe le quali non sono state in grado di darsi una dirigenza politica decente, soffre di un’arretratezza sul piano culturale e civile che dura da qualche secolo. Se l’Africa affamata produce una quantità di tremende guerre intestine, non è solo per colpa dei cacciatori occidentali di diamanti e di altre risorse, ma anche perché al potere ci sono dei beoti che spendono in armamenti gran parte del bilancio statale.
Oggi, chi si oppone allo stato delle cose non dispone di un modello concreto a cui riferirsi, ma non deve però rinunciare a denunciare le falsità del pensiero dominante e a difendere i germogli di libertà e autentico progresso che, qua e là, sbocciano per il mondo. Ai manichei che chiedono da che parte stiamo, risponderemo che, senza illusioni, stiamo con quelli che ci portano in dono un po’ di speranza.
Roberto Zavaglia