LITHUANIA: LITUANIA: La guerra invisibile di chi vive sul baltico
Livio 13 Dicembre 2024
Courtesy of East Journal [Website: https://www.eastjournal.net/]
Mentre il fantasma dell’Ucraina inquieta la società lituana, il ritorno di Trump fa suonare le sirene del baltico. La pace fa più paura della guerra, e il governo prepara l’evacuazione nazionale.
Il 2024 è stato un anno nero per il mercato immobiliare lituano, con percentuali di vendita di molto inferiori alle ultime annate. Numeri tanto preoccupanti quanto enigmatici, per chi investe in un paese il cui tasso di crescita annuale è tra i più alti d’Europa. Negli ultimi mesi il PIL lituano è aumentato del 2.2% e con esso anche gli stipendi, in due anni cresciuti del 10%.
Allontanandosi da parametri puramente economici allora, l’agenzia immobiliare svedese Bonava Lietuva ha avanzato la sua ipotesi. Nel mese di ottobre ha condotto un sondaggio sui propri potenziali acquirenti, per capire quanto la possibilità di una guerra imminente ne influenzasse le decisioni quotidiane. Tra gli intervistati, il 76% ha dichiarato di avere concretamente paura di un allargamento del conflitto dall’Ucraina alla Lituania, e poco meno della metà (46%) si è detto indisponibile a comprare una casa a causa della guerra.
Questi risultati, basati su un campione molto specifico e piccolo, fanno eco ai più ampi klausimynas tarptautinis (sondaggi nazionali) che regolarmente vengono pubblicati da agenzie statali e private. Un monitoraggio costante degli umori e dei sentimenti popolari, che a partire da febbraio 2022 racconta di un paese sempre più impaurito, in cui molto spesso la consapevolezza politica di ciò che avviene nel mondo lascia spazio al panico e all’angoscia collettiva.
Per chi vive tra Kaliningrad e Minsk, gli sviluppi internazionali hanno un gran peso. Oltre che da fattori endogeni al paese, l’andamento della “curva dell’ansia” della popolazione lituana dipende dalle manovre politiche di Washinton e Mosca. Stando ai sondaggi, nel marzo ‘22, dopo l’invasione dell’Ucraina, quasi tutti i lituani soffrivano regolarmente d’ansia, indicando la guerra come principale fattore scatenante. Un dato sceso nei mesi successivi e risalito soltanto a ottobre 2023, spinto dalla violenza di Hamas e dalla furia di Netanyahu. Un anno dopo, in attesa del prossimo monitoraggio emotivo della popolazione, è ragionevole pensare che il ritorno di Trump alla Casa Bianca abbia fatto risalire la curva.
Le tentazioni isolazioniste del nuovo commander in chief hanno gettato ombre lunghissime su tutto il litorale baltico. L’Europa si è svegliata con l’improvvisa sensazione che una pace in Ucraina sia possibile, in alcuni casi addirittura auspicabile. Perfino in Polonia, seconda solo ai baltici per russofobia, il primo ministro Donald Tusk ha dichiarato l’imminente annuncio di un cessate il fuoco. Al contrario in Lituania, così come in Lettonia ed Estonia, l’approccio della politica e dei media alla questione ucraina si è radicalizzato, e la paura continua a crescere. La “vittoria finale” e la “sconfitta della Russia” sono rimasti il mantra della politica estera di Vilnius, che vede nell’eventuale accordo di pace la più grande minaccia alla propria sovranità nazionale, e nel proseguo della guerra l’unica vera garanzia.
Non a caso allora, pochi giorni dopo l’esito delle elezioni USA, durante un normale mercoledì di novembre, la pausa pranzo in uffici, scuole e università lituane è stata scandita dal suono delle sirene. Un segnale di tre minuti accompagnato da messaggi di allarme su telefonini e computer, che invitavano gli utenti a mantenere la calma, ad accendere le televisioni e a seguire le istruzioni da esse impartite. Guerra? No, solo un’esercitazione, per testare il nuovo sistema di allarme e, soprattutto, la reazione dei cittadini all’input della minaccia bellica.
Da qualche mese il governo lituano prepara un piano di evacuazione nazionale da attuare nel caso in cui la Russia oltrepassasse i confini del paese, o ne colpisse le infrastrutture militari/civili attraverso missili a lungo raggio. Armi posizionate nell’exclave di Kaliningrad e potenzialmente anche nella confinante Bielorussia: due punti strategici dai quali sarebbe possibile raggiungere tutto il territorio lituano. Eventualità estrema che richiederebbe da Vilnius una risposta immediata, realizzabile solo attraverso una comunicazione efficiente tra governo e popolazione.
Alle paure ataviche di chi vive sul Baltico, dovute alla storia e alla geografia della regione, oltre che al funzionamento dell’attuale sistema mediatico, in Lituania si aggiunge quindi un elemento nuovo: la securitizzazione della società civile. Ovvero il coinvolgimento diretto dei cittadini in dinamiche securitarie, volte a difendere o salvare il paese nel caso in cui scoppiasse una guerra. Non una militarizzazione vera e propria – non verrà chiesto ai civili di imbracciare le armi – ma comunque un’immedesimazione totale in quello che sarà, o meglio potrebbe essere, un conflitto militare contro la Russia.
In questo senso, la psicologia collettiva del popolo lituano non soltanto subisce le conseguenze della guerra ma diventa, potenzialmente, un elemento a servizio di essa. Un progetto come il piano di evacuazione nazionale può essere realizzato soltanto attraverso un’intesa totale tra lo stato e i suoi cittadini, basata sulla convinzione reciproca che il peggiore degli scenari potrebbe accadere. Ma se per il governo una tale convinzione è il frutto di una scelta politica, rigorosa e precisa, per la società civile è piuttosto il risultato di pulsioni emotive, irrazionali e ascientifiche. Così, le ansie e le paure condivise che attanagliano la popolazione lituana acquisiscono un nuovo significato; smettono di generare caos e, al contrario, permettono di impartire ordini e fanno rigare dritto, fino a quando qualcosa non accadrà per davvero.
E allora la domanda qui sorge spontanea, quanto potrà durare tutto questo? La Lituania ha intrapreso la sua battaglia senza che un conflitto militare sia esploso nel suo territorio, e viene difficile pensare che le cose cambieranno nel prossimo futuro. Anche se lo scontro in Ucraina dovesse finire, la Russia non sparirà dalla mappa europea, e lo spirito imperiale non lascerà il Cremlino. Se nei prossimi anni i governi non cambieranno approccio, la società lituana rimarrà in guerra con sé stessa, prima che con Mosca o con chiunque altro.
Allontanandosi da parametri puramente economici allora, l’agenzia immobiliare svedese Bonava Lietuva ha avanzato la sua ipotesi. Nel mese di ottobre ha condotto un sondaggio sui propri potenziali acquirenti, per capire quanto la possibilità di una guerra imminente ne influenzasse le decisioni quotidiane. Tra gli intervistati, il 76% ha dichiarato di avere concretamente paura di un allargamento del conflitto dall’Ucraina alla Lituania, e poco meno della metà (46%) si è detto indisponibile a comprare una casa a causa della guerra.
Questi risultati, basati su un campione molto specifico e piccolo, fanno eco ai più ampi klausimynas tarptautinis (sondaggi nazionali) che regolarmente vengono pubblicati da agenzie statali e private. Un monitoraggio costante degli umori e dei sentimenti popolari, che a partire da febbraio 2022 racconta di un paese sempre più impaurito, in cui molto spesso la consapevolezza politica di ciò che avviene nel mondo lascia spazio al panico e all’angoscia collettiva.
Per chi vive tra Kaliningrad e Minsk, gli sviluppi internazionali hanno un gran peso. Oltre che da fattori endogeni al paese, l’andamento della “curva dell’ansia” della popolazione lituana dipende dalle manovre politiche di Washinton e Mosca. Stando ai sondaggi, nel marzo ‘22, dopo l’invasione dell’Ucraina, quasi tutti i lituani soffrivano regolarmente d’ansia, indicando la guerra come principale fattore scatenante. Un dato sceso nei mesi successivi e risalito soltanto a ottobre 2023, spinto dalla violenza di Hamas e dalla furia di Netanyahu. Un anno dopo, in attesa del prossimo monitoraggio emotivo della popolazione, è ragionevole pensare che il ritorno di Trump alla Casa Bianca abbia fatto risalire la curva.
Le tentazioni isolazioniste del nuovo commander in chief hanno gettato ombre lunghissime su tutto il litorale baltico. L’Europa si è svegliata con l’improvvisa sensazione che una pace in Ucraina sia possibile, in alcuni casi addirittura auspicabile. Perfino in Polonia, seconda solo ai baltici per russofobia, il primo ministro Donald Tusk ha dichiarato l’imminente annuncio di un cessate il fuoco. Al contrario in Lituania, così come in Lettonia ed Estonia, l’approccio della politica e dei media alla questione ucraina si è radicalizzato, e la paura continua a crescere. La “vittoria finale” e la “sconfitta della Russia” sono rimasti il mantra della politica estera di Vilnius, che vede nell’eventuale accordo di pace la più grande minaccia alla propria sovranità nazionale, e nel proseguo della guerra l’unica vera garanzia.
Non a caso allora, pochi giorni dopo l’esito delle elezioni USA, durante un normale mercoledì di novembre, la pausa pranzo in uffici, scuole e università lituane è stata scandita dal suono delle sirene. Un segnale di tre minuti accompagnato da messaggi di allarme su telefonini e computer, che invitavano gli utenti a mantenere la calma, ad accendere le televisioni e a seguire le istruzioni da esse impartite. Guerra? No, solo un’esercitazione, per testare il nuovo sistema di allarme e, soprattutto, la reazione dei cittadini all’input della minaccia bellica.
Da qualche mese il governo lituano prepara un piano di evacuazione nazionale da attuare nel caso in cui la Russia oltrepassasse i confini del paese, o ne colpisse le infrastrutture militari/civili attraverso missili a lungo raggio. Armi posizionate nell’exclave di Kaliningrad e potenzialmente anche nella confinante Bielorussia: due punti strategici dai quali sarebbe possibile raggiungere tutto il territorio lituano. Eventualità estrema che richiederebbe da Vilnius una risposta immediata, realizzabile solo attraverso una comunicazione efficiente tra governo e popolazione.
Alle paure ataviche di chi vive sul Baltico, dovute alla storia e alla geografia della regione, oltre che al funzionamento dell’attuale sistema mediatico, in Lituania si aggiunge quindi un elemento nuovo: la securitizzazione della società civile. Ovvero il coinvolgimento diretto dei cittadini in dinamiche securitarie, volte a difendere o salvare il paese nel caso in cui scoppiasse una guerra. Non una militarizzazione vera e propria – non verrà chiesto ai civili di imbracciare le armi – ma comunque un’immedesimazione totale in quello che sarà, o meglio potrebbe essere, un conflitto militare contro la Russia.
In questo senso, la psicologia collettiva del popolo lituano non soltanto subisce le conseguenze della guerra ma diventa, potenzialmente, un elemento a servizio di essa. Un progetto come il piano di evacuazione nazionale può essere realizzato soltanto attraverso un’intesa totale tra lo stato e i suoi cittadini, basata sulla convinzione reciproca che il peggiore degli scenari potrebbe accadere. Ma se per il governo una tale convinzione è il frutto di una scelta politica, rigorosa e precisa, per la società civile è piuttosto il risultato di pulsioni emotive, irrazionali e ascientifiche. Così, le ansie e le paure condivise che attanagliano la popolazione lituana acquisiscono un nuovo significato; smettono di generare caos e, al contrario, permettono di impartire ordini e fanno rigare dritto, fino a quando qualcosa non accadrà per davvero.
E allora la domanda qui sorge spontanea, quanto potrà durare tutto questo? La Lituania ha intrapreso la sua battaglia senza che un conflitto militare sia esploso nel suo territorio, e viene difficile pensare che le cose cambieranno nel prossimo futuro. Anche se lo scontro in Ucraina dovesse finire, la Russia non sparirà dalla mappa europea, e lo spirito imperiale non lascerà il Cremlino. Se nei prossimi anni i governi non cambieranno approccio, la società lituana rimarrà in guerra con sé stessa, prima che con Mosca o con chiunque altro.
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